“Notizie senza approdo”: le news sull’immigrazione monitorate da “Carta di Roma”

by Felice Sblendorio

Da sette anni, a fine dicembre, l’Associazione “Carta di Roma” pubblica l’interessante e prezioso rapporto dedicato al controllo e al monitoraggio dei linguaggi e dei modi con cui i media sviluppano i temi legati al fenomeno dell’immigrazione. Questa realtà, fondata nel dicembre 2011 e diretta dal giornalista Valerio Cataldi, è nata per sviluppare e attuare un protocollo deontologico per una corretta informazione su questi temi in sinergia con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Quest’anno il report, a cura di Paola Barretta, è dedicato alle “Notizie Senza Approdo”. Il lavoro di ricerca, inquadrato nei primi dieci mesi dell’anno 2019, si è concentrato su due settori dell’informazione nazionale: la carta stampata con ben cinque quotidiani (Corriere della Sera, la Repubblica, Avvenire, La Stampa e il Giornale) e la televisione con i sette principali Tg di prima serata (Rai, Mediaset e La 7). I dati parlano chiaro: l’immigrazione e i temi connessi sono ancora altamente notiziabili, divisivi. Rispetto al 2018 sulle prime pagine dei quotidiani presi in considerazione c’è stato un più 30% di articoli in prima pagina. Di notevole interesse è il dato dei telegiornali: nel primo semestre del 2019, quando in Italia si è combattuta la più aspra campagna elettorale per la competizione europea, i tg hanno dedicato al tema il più alto numero di servizi degli ultimi 15 anni, pari solamente al secondo semestre (preelettorale) del 2017.

Se la quantità resiste all’interesse generale dei lettori e dei telespettatori, il rapporto segnala un cambio di passo sul modo con cui queste notizie vengono recepite. Seguendo il segmento immigrazione-paura-politica, due dati si distaccano dal trend degli anni precedenti. Il primo riguarda i risultati di allarmismo presente nell’approfondimento giornalistico che, nel 2019, diminuisce di ben sei punti percentuali rispetto all’anno precedente: con il 18% di allarmismo il 2019 segna il valore più basso degli ultimi cinque anni. Il secondo dato, invece, riguarda la percezione che i cittadini sentono rispetto ai temi dell’immigrazione e dell’insicurezza. Con un calo di dieci punti percentuali, il 2019 si posiziona a livello degli anni 2013/2014 quando l’esposizione mediatica sull’emergenza migratoria non era così centrale nel dibattito pubblico.

Fra i cinque giornali monitorati due si posizionano su posizioni opposte: Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, che con i suoi 340 articoli conferma una solida e continua attenzione al tema e al destino delle persone che attraversano queste storie, e il Giornale che con 266 notizie agita il discorso pubblico sull’immigrazione con uno stile nettamente differente da quello del quotidiano cattolico (il monitoraggio per Il Giornale segna un 49% di articoli allarmistici).

I fatti che restituiscono all’attualità una viva attenzione sul fenomeno migratorio sono le notizie più discusse del dibattito pubblico italiano: lo stallo della Sea Watch, della nave Diciotti, della Sea Watch 3 con la polemica su Carola Rackete, poi Open Arms e Ocean Viking, lo scontro sul decreto sicurezza fra i sindaci e l’ex Ministro dell’Interno Salvini per al discusso monologo di Baglioni sull’immigrazione e la vittoria di Mahmood a Sanremo. Tutto si tiene e si collega ai principali motivi dell’interesse sull’immigrazione che si dividono, in tv, fra gestione e flussi migratori (48%), accoglienza (7%), società e cultura (15%), criminalità e sicurezza (27%), economia e lavoro (2%) e terrorismo (1%). La rotta del Mediterraneo, come è ben visibile, è il luogo in cui si muovono i protagonisti e le problematiche correlate: si parla di gestione e regolamentazione, contenimento, ruolo dell’Europa, cronaca ciclica degli sbarchi.

In questo grande racconto c’è sempre la politica per il 64%, mentre i migranti non parlano quasi mai. Le persone direttamente coinvolte, quando non si tratta di tragedie, sono parte attiva delle notizie solamente per il 7%. La loro voce, quando c’è, è circoscritta in cinque cornici di significato: fragilità e debolezza (quando si raccontano gli sbarchi), alterità o minaccia, rivendicazione di diritti, razzismo e comunità integrate. Il tema dell’immigrazione, soprattutto nel 2019, è stato raccontato nello storytelling televisivo in primis dalla narrazione dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini; dimostrando una politicizzazione estrema e potente. Il rapporto sottolinea, inoltre, come l’interpretazione conflittuale e perennemente emergenziale del tema non permetta una narrazione aperta e diversa che vada oltre il linguaggio egemonico in un racconto meno usurato.

Così, in una campagna elettorale perenne, i migranti diventano protagonisti evocativi e divisivi: sui loro drammi si incardinano racconti di paura, insicurezza e speranza in una soluzione ripetitiva che, come sottolinea Ilvo Diamanti, diventa banale. Il report si chiude con una sezione dedicata alle parole e alle “voci dell’immigrazione”, troppo spesso dimenticate, inascoltate e, nella lotta politica e comunicativa, svuotate di senso. 

“Se le parole diventano accessorio del dibattito politico si svuotano di significato”, scrive il presidente dell’Associazione, Valerio Cataldi. “Il valore delle parole lo offre il tempo, lo offre la riflessione, l’analisi delle cose che accadono. In un contesto in cui le parole perdono di senso, invece, anche le domande, l’assenza di spazio per le domande, diventa normale. A Lampedusa, vicino alla tomba di Ester c’è un’altra tomba senza nome. Un’altra donna morta nel Mediterraneo e sepolta sull’isola. Un corpo di cui nessuno sa e ha saputo nulla. Qualcuno però si è fatto carico di seppellirlo e di restituirgli un po’ di dignità. Con un dito ha inciso sulla calce una parola: “exstracomunitaria”. Un gesto che appare affettuoso e commovente, fatto da chi ha portato quel peso, si è sporcato le mani e ha sentito la necessità di non lasciare quel corpo da solo, senza qualcosa che dicesse chi era e chi era stata quella persona. Un gesto che restituisce dignità alla persona. Che forse è ciò̀ che più̀ andrebbe recuperato, che andrebbe estratto dal vortice della propaganda e tradotto in termini giornalistici. Con il giusto tempo per pensare e per fare domande”, conclude.

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