Riflessioni sulla marginalità e le devianze giovanili

by Davide Leccese

Queste riflessioni sui fenomeni di marginalità e  di devianza giovanili intendono offrire – ai docenti, in maniera specifica, e agli educatori, in senso lato – un’occasione di analisi della società attuale tenendo ben presente che la funzione docente si ritrova a confrontarsi con la delicata condizione dei giovani di oggi di estremo rischio – in ordine ai comportamenti individuali e collettivi – di disagio, di marginalità e di possibile devianza.

S’impone immediatamente un’attenzione all’atteggiamento di analisi di questi fenomeni, prima enunciati: innanzitutto parliamo di “fenomeni” cioè di dati non stabili e definitivi ma transeunti, che possono e non possono verificarsi.

L’educatore prudente evita di inserire nella categoria “giovani” il dato del disagio, come se fosse “tipizzato” dal negativo dei comportamenti e fosse stabilizzato nella devianza tout court. La gran parte dei giovani vive una condizione di serena identità, di equilibrata relazione sociale, di partecipata condivisione delle regole.

LA DEVIANZA

La devianza è una patologia che va circoscritta a precise situazioni che l’educatore affronta con competenza e consapevolezza del suo ruolo; competenza e consapevolezza che non si esprimono solo in un atteggiamento aridamente tecnico ma in una propensione partecipativa che ha nel coinvolgimento la sua prospettiva ideale.

Innanzitutto spieghiamo che cosa s’intenda per “comportamenti a rischio”. Scrive Marilena Pasqua: “Per comportamenti a rischio s’intendono per più attività che possono avere come diretta conseguenza effetti letali o negativi sulla salute degli individui (bere, fumare, rapporti sessuali non protetti, guida pericolosa, cattive abitudini elementari) oppure comportamento socialmente distruttivi (vandalismi, crimine e atti devianti in genere”

Proprio per evitare fraintendimenti interpretativi della marginalità e della devianza giovanile, anteponiamo, alla trattazione specifica, alcune valutazioni in premessa; valutazioni utili per inquadrare il tema trattato e necessarie per una condivisione di ottica di analisi:

  • Oggi parliamo molto (forse troppo) dei giovani e poco con i giovani;
  • Il “fenomeno” giovanile (come appaiono i giovani) esige rispetto e competenza nella trattazione;
  • Nessuno s’illuda e dia l’illusione di parlarne dal di dentro perché giovani non siamo più; se il tempo passa, passa anche il modo di essere giovani;
  • L’accelerazione delle fasi di crescita, imposta da una società in perenne cambiamento e in isterica condizione di complessità, né dominata né compresa, esige che gli educatori non si facciano i propugnatori di letture statiche, rigide e, insieme, non “leggano en passant” l’identità giovanile;
  • Chi si domanda come siano gli educandi, s’interroghi anche come siano – o debbano essere – gli educatori. Prima di essere giudici esigenti dei comportamenti giovanili, gli educatori siano giudici severi dei propri comportamenti;
  • Di fronte all’ipotesi di come sarà il mondo in futuro non possiamo proporre solo com’è stato in passato; anche perché, se scaviamo nel passato, c’è poco da stare allegri;
  • Astuzia vuole che i giovani diventino migliori di noi perché ai giovani dobbiamo affidare la nostra vecchiaia;
  • C’è uno stile di lamentarsi dei giovani di oggi che è molto simile al modo di lamentarsi da parte dei vecchi di ieri nei riguardi dei giovani di ieri;
  • Se qualcosa è cambiato in peggio domandiamoci quanto di nostro si è trasferito nel negativo dei comportamenti negativi dei giovani di oggi;
  • È compito degli educatori individuare il problema della marginalità e soprattutto della devianza giovanile nel contesto più ampio e incidente della marginalità e devianza sociale che incatena anche gli adulti;
  • È anzitutto dovere degli educatori usare con competenza e parsimonia le etichette che classificano negativamente i giovani e i loro comportamenti deviati (Es. Bullismo – Drogati, ecc.);
  • La scuola è chiamata – istituzionalmente – a valutare gli apprendimenti e i comportamenti degli alunni ma la valutazione non dà il diritto di trasferire le negatività scolastiche dagli apprendimenti alla persona (Es. Cretino – deficiente – incapace – fallito);
  • La correzione del gap, dei deficit di apprendimento o di comportamento presuppone sempre – e non in maniera sottintesa – l’esplicitazione della volontà di recupero. Detto in termini pedagogico-didattici, il docente-educatore è chiamato a esplicitare al giovane che, se vuole, può farcela, ha la possibilità di uscire fuori dal limite negativo e varcare il confine verso la positività.
  • Le cordate “positive” fanno fatica a competere con quelle “negative” (gruppo vs branco/banda);
  • Ogni mancato riconoscimento dello sforzo di recuperarsi induce a trovare gratificazioni surrogatorie, di solito nel “negativo” o nel “più facile” o nell’apparentemente gratificante;
  • Non si può pretendere che tutti siano leader, ma non si deve permettere che qualcuno sia sempre scartato dal protagonismo competitivo.

LA MARGINALITÀ

Poste queste doverose premesse, possiamo affrontare il primo aspetto delicato e centrale della nostra analisi: la marginalità. Precisiamo subito che il termine richiede la definizione di “centralità”, altrimenti non possiamo comprendere come si sia marginali, se non rispetto a un ipotetico o presunto “centro” sociale di riferimento.

Essere ai margini può, quindi, significare mettersi ai margini, agire border line o essere emarginati, esclusi perché non appartenenti alle categorie “centrali” del sistema sociale.

La marginalità può accompagnarsi ad aggettivi di specificazione diversi e tali da richiedere altrettanta diversificata valutazione.

Possiamo parlare di:

  • Marginalità genericamente sociale
  • Marginalità economica
  • Marginalità culturale
  • Marginalità razziale
  • Marginalità psicologica
  • Marginalità identitaria corporea
  • Marginalità relazionale
  • Marginalità territoriale

Ovviamente queste specificazioni non esauriscono tutte le forme di mettersi o di essere messi ai margini e fuori dell’integrazione e del coinvolgimento sociale di riferimento.

Per chiarirci l’idea di “centro” e di “periferia” utilizziamo una riflessione di Rosaria Désirée Klain, (giornalista e direttrice artistica del festival “Periferie del mondo – Periferia immaginaria”): “La periferia non è “semplicemente” un luogo geografico, ma è una dimensione della mente e dell’animo. Un territorio dai confini incerti, che vive contraddittoriamente la sua natura, in rapporto a un ipotetico centro, dal quale si dipanano forze centrifughe e centripete. Ma in questo perenne movimento che travolge, attrae e contemporaneamente espelle, rifiuta, si generano nuove distanze, nuove esclusioni, nuove deformazioni e nuove marginalità”.

E’ una denuncia forte, quella della Klain che ci porta a chiarire che:

  • La società, sempre più complessa, ha – al suo interno – condizioni ed esigenze funzionali di distinzione che, però, possono anche essere avvertite come frammentazione, emarginazione, estraneazione, espulsione.
  • Quando la funzionale distinzione diventa occasione di divisione-contro, a pagare il prezzo più alto sono i soggetti meno garantiti del contesto sociale.

Come reagiscono i giovani di fronte alla marginalità imposta?

Se i giovani avvertono che, per non essere emarginati dalla società adulto-centrica, devono rinunciare alla loro specificità generazionale, assumono o un atteggiamento di autoesclusione dai modelli dominanti o aprono un conflitto contro la società dominata dagli adulti.

L’atteggiamento polemico o di rifiuto, da parte dei giovani, è ancor più esplicito ed eclatante se avvertono che i modelli organizzativi della società adulto-centrica risultano ripetitivi di schemi che non tengono presenti o non sono coerenti:

  • Ai valori cui dichiarano di fare riferimento
  • Alle istanze di cambiamento degli stili di vita
  • Alle prospettive comuni di “convivenza intra-generazionale”

Approfondiamo gli aspetti della marginalità nelle forme più diffuse: Sempre più influente risulta la frammentazione sociale, basata sul censo, sul gruppo di appartenenza, sul contesto di riferimento ambientale, sulla spendibilità d’immagine (privata e di gruppo). Rientra, questa forma di marginalità-emarginazione, nella considerazione che “avere” sia più importante di “essere”; anzi che il nostro essere – la nostra collocazione identitaria nella società – dipenda da quanto possediamo e da quali spazi il denaro ci assicuri in esclusiva, rispetto a chi non può accedere ai ruoli importanti e appariscenti di chi non è perché non ha. L’avere, a sua volta, è imprigionato in una catena di consumismo per cui gli oggetti – e la stessa persona-oggetto – sono condannati a una vorticosa usura, al rispettare la crudele condizione dell’usa-e-getta. I giovani, già psicologicamente inseriti in questa apparentemente scala mobile del cambiamento continuo, solo se si soffermano a riflettere un poco, sentono l’angoscia di dover continuamente adeguarsi a un “nuovo” che, invece, è antico quanto la “mercificazione della persona”.

LA CULTURA

Diamo la precedenza assoluta – come antidoto all’emarginazione, alla frenesia della mutabilità dell’apparire – al ruolo della Cultura. Ma la cultura, fornita dalla scuola, se non calibrata sulla formazione e sull’educazione, scivola più sullo studio (fine a se stesso, come resa in situazione) che non sull’imparare (acquisizione consapevole e critica delle conoscenze, competenze, abilità).

Studiare le materie deve significare – ad esempio – studiare la Storia come comprendere se stessi nella storia; studiare la Geografia come studiare se stessi nello spazio e tra gli abitanti di quello spazio; studiare la Lingua come studiare se stessi come comunicanti. L’astrazione delle conoscenze, delle competenze e delle abilità porta o al rifiuto di tali apprendimenti o al sentirsi emarginati nel pensare e nel “sentire”.

E’ anche vero, però, che risulta sempre più difficile far passare il valore della gratuità della cultura (imparare senza l’idea ristretta e meschina di “a che mi serve?”.

LA MULTIRAZZIALITÀ

Altra forma, sempre  più comune di distinzione o contrapposizione, è la sempre più diffusa multirazzialità che spinge a porsi il problema della convivenza tra più stili di vita, tra nuove “concorrenze” sociali ed economiche. Mentre i giovani risultano più aperti all’accettazione dell’ALTRO, al di là dell’appartenenza razziale (fatte salve le eccezioni di antirazzismo di alcune frange giovanili), gli adulti diffondono di più la paura della concorrenza, il rischio della perdita d’identità, il pregiudizio della superiorità-inferiorità.

Di fronte alla multirazzialità qual è il ruolo della cultura e della scuola?  La scuola è chiamata a cambiare completamente l’ottica dell’insegnamento:

  • Rinunciando al pregiudizio della centralità-preminenza della “nostra” cultura
  • Rinunciando alla divisione-contrapposizione tra amici-nemici
  • Aprendosi a culture e civiltà non conosciute o dimenticate o disprezzate
  • Riscrivendo i parametri di riferimento culturale a livello mondiale

MARGINALITÀ SOCIALE E CONTESTO TERRITORIALE

Non si combatte la marginalità sociale solo nei contesti specifici educativi (famiglia – scuola – gruppi giovanili) ma anche nel CONTESTO TERRITORIALE, in quella che chiamiamo la CITTÁ EDUCATIVA o la CITTÁ OSPITALE.

Gli spazi urbani, le regole della convivenza sociale devono trasudare socialità rispettosa, rapporto di empatia, accettazione dei diritti-doveri della “cosa-casa” comune.

Accertare la marginalità e l’emarginazione impone alla comunità educativa, alla scuola soprattutto, il pensare al reinserimento: “Sia nel campo dell’emarginazione che della disabilità, il termine implica un sostegno all’individuo affinché sviluppi le proprie potenzialità e possa uscire da quel complesso di situazioni che contribuiscono a destrutturarlo e a escluderlo dall’insieme dei rapporti sociali: la solitudine, la malattia o la minorazione fisica, il disagio psichico o sociale, la difficoltà culturale, ecc”. (Cfr. Ass. Politiche sociali – Prov. di Firenze)

“Un individuo si può considerare inserito nella società non soltanto quando è produttivo, ma anche in base a tutto quanto lo caratterizza come persona: la socialità, l’affettività, la relazione interpersonale, la capacità di (e gli strumenti per) perseguire obiettivi di realizzazione personale. Per questo va accompagnato, in funzione della propria situazione di svantaggio, in percorsi che gli offrano adeguate opportunità di cittadinanza sociale, con la possibilità di sfruttare appieno le proprie risorse per trovare la dimensione di persona compiuta”. (Idem)

Quanto l’ambiente influenzi i comportamenti dei singoli è oramai valutazione acclarata; spesso è proprio l’adeguarsi agli stili di vita dei gruppi di appartenenza a facilitare la devianza e i comportamenti delittuosi. “Chi commette un reato lo fa perché si conforma alle aspettative del suo ambiente. In questo senso, le motivazioni del suo comportamento non sono diverse da quelle di chi rispetta le leggi; a essere deviante non è l’individuo, ma il suo gruppo di appartenenza. In questo caso gli individui non violano le norme del proprio gruppo, ma solo quelle della società in generale. il processo di apprendimento avviene di solito all’interno di piccoli gruppi e riguarda sia le motivazioni per commettere un reato, sia le tecniche per farlo” (Prof. Vincenzo Romania).

Riportiamo anche una giusta riflessione di Gino De Vecchis: “Marginalita ed emarginazione: conflittualità e diversità: Quando la marginalità non si riduce a semplice supporto spaziale, ma si associano, come del resto è naturale all’impostazione geografica, connotazioni sociali, culturali ed economiche il concetto si arricchisce di contenuti e valori.

Le marginalità socio-culturali ed economiche tendono a generare situazioni di disagio, fino a produrre forme di emarginazione. La marginalità spaziale, in quanto mancanza d’integrazione, si collega così all’emarginazione sociale; ambedue questi termini (marginalità ed emarginazione) sono termini ad ampio spettro semantico.  In ogni caso l’emarginazione porta a rendere difficoltosa l’integrazione delle diversità ed è causa di stati di conflitto.

Alla pedagogia della marginalità e dell’emarginazione occorre, quindi, sostituire la pedagogia dell’integrazione, educando ai valori della tolleranza contrastando gli atteggiamenti aggressivi di rifiuto della diversità.

L’integrazione e l’esclusione rappresentano i due poli antinomici da inserire in un ragionamento didattico forte, che andrebbe affrontato in tutte le sue potenzialità, anche se i molteplici aspetti legati in maniera più o meno esplicita a situazioni di conflittualità raramente trovano spazio adeguato nella riflessione scolastica. Inoltre – ed è quello che qui più importa – gli argomenti legati alla marginalità e all’emarginazione possono rappresentare un fondamento per avviare più mature riflessioni geografiche. È a tutti noto come il conflitto sia presente nelle relazioni interpersonali e tra i gruppi (sociali, culturali…).

In contesti conflittuali è importante adottare le scelte più adeguate, finalizzate al superamento della situazione di crisi e alla messa in moto di processi d’integrazione. Il confronto e la non-violenza sono gli strumenti da utilizzare: riconoscere il conflitto, identificarlo ed esplicitarlo nei suoi molteplici aspetti. In questo modo lo studio del conflitto può costituire una fonte di crescita, portando gli studenti a nuove consapevolezze, innanzi tutto attraverso il riconoscimento della diversità come ricchezza.

Nell’interazione tra uomo e natura le differenziazioni culturali si evidenziano spazialmente nelle variegate articolazioni territoriali, e non devono essere messe a repentaglio dai processi economici. Il rispetto per la diversità delle culture è chiave espressiva degli stessi modi di vita”

IL REINSERIMENTO

Se parliamo di reinserimento, ipotizziamo uno stringente dovere dei sistemi socio-educativi non solo di non accettare come definitive le condizioni di disagio, di marginalità e soprattutto di devianza, ma di interrogarsi sulle proprie responsabilità per il verificarsi di tali condizioni negative e di progettare concrete e produttive azioni di recupero dei soggetti emarginati, in disagio e soprattutto deviati.

LA DEVIANZA

Eccoci a trattare della DEVIANZA, di quel modo di porsi – di fronte a se stessi e agli altri – senza il rispetto delle regole condivise, fuori dei canoni accettati da una società ben ordinata.

E’ bene precisare che la devianza non sempre ha, alla base, volontà esplicita e piena consapevolezza dell’errore, dell’irregolarità e dell’illegalità. Gli psicologi, i sociologi avvertono che molto complesse sono le dinamiche devianti dei giovani: passano attraverso la protesta, la noia, la voglia di apparire e di affermarsi, la totale mancanza di sensibilità verso ciò che è proprio e degli altri.

Le forme più diffuse:

  • il consumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti
  • varie forme di vandalismo nelle scuole, nei parchi, contro le auto e le cabine telefoniche, nei cinema, durante i concerti e le manifestazioni sportive
  • i reati contro l’economia e il patrimonio: si va dai fenomeni prevalentemente sommersi dell’ abusivismo e del contrabbando a quelli tradizionalmente più perseguiti del piccolo furto e dello scippo
  • i reati contro la persona e quelli connessi al sesso: prostituzione e aggressioni carnali. (Fonte CENSIS).

E’ il caso di precisare che i fenomeni devianti, in un contesto sociale e in singoli soggetti, trovano spunto o in assenza di norme regolamentari o, paradossalmente, nell’eccesso delle stesse norme.

“ Una persona diventa delinquente in quanto si trova in presenza di un eccesso di definizioni favorevoli alla violazione delle leggi rispetto a definizioni non favorevoli alle violazioni. Questo è il principio dell’associazione differenziale, che si riferisce sia alle associazioni criminali sia a quelle anti criminali, e che riflette un campo di forze interagenti e contrapposte” (Sutherland e Cressey, Principles of Criminology, 1960).

Perché la devianza, quali le cause scatenanti? Gli studiosi del Censis vedono nella vasta devianza sommersa dei giovani il «paradigma simbolico» delle difficoltà di comunicazione tra il mondo degli adulti e quello dei giovani. I comportamenti fuori legge esprimerebbero in particolare:

  • l’aggressività contro la società degli adulti, sentita come distante, poco disponibile e attenta;
  • un disadattamento sociale e un disorientamento individuale;
  • tendenze spontanee e comportamenti ludici, dissacranti, spericolati, spensierati per incertezza, apatia e mancanza di canali sociali di espressione;
  • un esasperato bisogno di protagonismo e di confronto e competitività tra coetanei e con il mondo degli adulti.

Tra le forme più appariscenti e disturbanti della devianza poniamo i gesti di vandalismo, verso persone, luoghi e cose. In particolare, il significato simbolico del vandalismo potrebbe essere:

  • Una contestazione indiretta della politica sociale nelle scuole, negli spazi pubblici, nello sport, nello spettacolo, ecc., luoghi non avvertiti come “propri”;
  • L’indifferenza verso i beni materiali di consumo e una reazione esemplare verso una società satura di valori materialistici ed economistici ma carente di risposte ai bisogni di relazione e di partecipazione individuale e collettiva;
  • La sottolineatura delle condizioni di degrado ambientale e sociale con il sottinteso principio: tanto è già sporco, non curato, appunto degradato.

Molto opportunamente Gerard Lutte – autore, tra l’altro,  di “Psicologia degli adolescenti e dei giovani” – ha dichiarato che “il controllo sociale sui giovani non è statico ma cambia e diventa sempre più complesso, sfumato, articolato man mano che aumentano la complessità e la differenziazione sociale, è anche accertato che i comportamenti devianti hanno una presa maggiore dei comportamenti conformi a norma soprattutto perché questi sono, di solito, proposti nel campo dei “divieti” dei comportamenti contrari e non nell’ambito della positività intrinseca degli stessi”.

Possiamo, quindi, dedurre che delinquenza e tossicodipendenza rivelano tra l’altro difficoltà nei rapporti tra i giovani e la società, le istituzioni degli adulti. A livello simbolico si tratta talvolta di tentativi di uscire dalla marginalità, di agire in modo autonomo, di acquisire uno status nel gruppo dei pari e pertanto un’identità seppur negativa. Ma la ribellione, spesso inconsapevole, che esprimono tossicodipendenza e delinquenza non è senza ambiguità; ambiguità sia nell’ottica della consapevolezza degli attori che del contesto in cui tali comportamenti deviati si esplicitano.

Possiamo, quindi, dedurre, sempre citando Lutte, che il comportamento illegale può rivelare l’assimilazione dei disvalori dominanti quali la sete di potere e di ricchezza, l’ammirazione per i potenti, il disprezzo dei deboli. «È chiaro che per appropriarsi dei simboli del potere, le macchine potenti e tutti gli articoli di lusso di cui la pubblicità vanta l’importanza, il giovane proletario ha solo mezzi illegali a disposizione… In questo caso la rivolta esprime la rabbia contro l’esclusione dei potenti e non un desiderio di cambiare la società» [Lutte 1984].

Soffermiamoci sull’uso di droghe: “L’uso di droghe, soprattutto all’inizio degli anni Settanta, ha fatto parte della contro-cultura di non pochi giovani. Era visto come mezzo per aumentare la percezione, l’immaginazione, per vincere le proprie difese ed entrare in contatto più profondo con gli altri. L’eroina, in particolare, era diventata l’espressione di un antagonismo radicale al sistema sociale. Ma l’uso di stupefacenti si è invece spesso ridotto a comportamenti di fuga”. [Lutte 1984].

Ma quale rapporto possiamo stabilire tra Disagio e Devianza, soprattutto sotto l’interpretazione di “collera generazionale”, come sostiene Gabriele Invernizzi?

Tra le cause individuiamo:

  • Il non veder realizzate le promesse
  • Il veder sfumare le prospettive e i sogni
  • Il veder codificare scientificamente la “riduzione” di realizzazione
  • Il veder prolungarsi l’attesa e insieme la dipendenza
  • L’avere margini fluttuanti di “avere” e margini ristretti di “essere”
  • Il dover “rinviare” e “rinunciare” a un progetto autonomo di vita
  • Il sentirsi defraudati di futuro da chi ha dichiarato di voler accompagnare la crescita à Consumo di presente – da parte degli adulti – a danno del futuro dei giovani.

Walter Tobagi, vittima del terrorismo, scriveva – parlando proprio di questo disagio che esplode – che “Speranze e illusioni si restringono in un “orizzonte tragico”, si trasformano in spinta di “distruzione” e “autodistruzione” che poi significa sparare al “nemico” o iniettarsi una dose di eroina.

Cerchiamo di individuare le radici sia del disagio sia del contrasto, nella visione del mondo e della vita, tra giovani e adulti.

In primis collochiamo la concezione del TEMPO.

I giovani, più degli adulti, sono chiamati a prendere coscienza e consapevolezza del tempo:

  • Cronologico
  • Psicologico
  • Relazionale

Le slabbrature, nella percezione dei ritmi del vissuto, generano disagio e, se non recuperate, devianza.

Quindi la concezione dello SPAZIO: I giovani, più degli adulti, sono chiamati a prendere coscienza e consapevolezza dello spazio:

  • Corporeo
  • Interiore
  • Relazionale

Difendere il proprio spazio – padroneggiandolo – senza rispettare quello degli altri, genera disagio e devianza.

Per quanto riguarda la concezione dello spazio e del tempo, precisiamo anche che Localizzare la propria vita – in relazione al tempo vissuto e a quello vivibile – impone ai giovani d’oggi un impegno maggiore rispetto alla gioventù di ieri perché devono saper coniugare i luoghi “domestici” con gli spazi mondiali, anche multimediali.

Spazio e tempo hanno un terreno con cui confrontarsi; terreno, appunto, della spazio-temporalità nel contesto del “fare”, dell’agire, dell’esprimersi, sempre che si voglia dare un senso alla corporeità come dimensione autentica del nostro “essere al mondo”.

LA CORPOREITÀ

Va evidenziato che l’uso del proprio corpo, come operatore delle gestualità lavorativa e funzionale, si è notevolmente ridotto grazie allo sviluppo della tecnologia. Il corpo non è più visto – rispetto all’uso della mente – come prioritario per la realizzazione del sé professionale.

Abbiamo parlato dell’invadenza delle tecnologie nella nostra vita. Potrebbe apparire una condizione facilitante mentre, se non dosate nella consapevolezza, risultano devianti ed emarginanti dalla relazione effettiva.

Il corpo “appariscente”, estetico, prende il sopravvento sul corpo funzionale e strumentale.

Nella relazione con gli altri si fa a meno del corpo e si supera lo spazio mediante il prolungamento del sé tecnologico (cellulare – mass media).

Sempre trattando del comportamento giovanile, nell’orbita dell’analisi spazio-temporale, dobbiamo evitare interpretazioni sbagliate: Spazio e tempo richiamano, in un rapporto stretto, la motricità, l’agire del giovane:

  • Non fossilizzarsi sull’ipermotricità, come segnale di disadattamento e devianza perché sovente è proprio l’atteggiamento opposto a essere segnale preoccupante di patologia
  • Analizzare con competenza i “sobbalzi” immotivati di motricità (dall’iperattivismo all’apatia, e viceversa)
  • Analizzare con competenza lo squilibrio reattivo tra comportamento e situazione
  • Stare attenti che la motricità, sempre regolata da imposizione, induce a sregolatezza in situazioni non guidate e non controllate.

E’ necessario, invece:

Educare all’uso spazio-temporale nel rispetto dell’equilibrio armonico-funzionale della persona, in relazione ai “compiti” assunti:

  • Tempo del sonno – Tempo del riposo
  • Tempo del movimento
  • Tempo della nutrizione
  • Tempo del pensare – Tempo dell’arricchimento culturale, ricreativo, creativo
  • Tempo del relazionarsi con sé e con gli altri
  • Tempo del “far niente” per immaginare cosa fare (rivalutazione del cosiddetto inutile/trascurato).

LA COMUNICAZIONE

NON VIVERE DI APPUNTAMENTI ANGOSCIANTI CHE EMERGONO SEMPRE ALL’ULTIMO MOMENTO

Marginalità, disagio e devianza richiamano in causa una condizione primaria del sistema relazionale, sia tra pari sia tra adulti e giovani: la comunicazione; è questa la condizione primaria. All’inizio della nostra analisi abbiamo affermato – ed è purtroppo vero – che noi adulti parliamo troppo dei giovani e poco con i giovani. E’ giunto il momento di aprire un dialogo, disposti più ad ascoltare che a “dire la nostra”.

La comunicazione svolge un ruolo insostituibile nel superamento del disagio e nella prevenzione delle forme di devianza, a condizione che:

  • Sia competente e motivato il comunicatore
  • Sia chiaro e praticabile il messaggio
  • Sia disponibile all’ascolto il ricevente
  • Sia disponibile all’ascolto il comunicatore, che diventa – a sua volta – ricevente in una circolarità integrata dei ruoli

La comunicazione non deve essere:

  • Paternalistica
  • Ambivalente, quindi equivoca
  • Frastornante (troppi messaggi contemporaneamente)
  • Ideologica ma valoriale
  • Passivizzante il ricevente
  • Mirata a dare ragione comunque all’emittente ma a conquistare una ragione comune rispetto al messaggio

Ma deve essere

  • Progressiva e rispettosa dei ritmi di esistenzialità giovanile
  • Realisticamente con ottimismo impostata

L’EDUCAZIONE – L’APPRENDIMENTO

Sempre all’inizio dell’analisi abbiamo trattato del ruolo determinante della cultura come antidoto alle forme di devianza. L’educazione, come proposizione di stili di vita, arricchisce il patrimonio delle conoscenze e ogni acquisizione culturale diventa di per sé “educazione civica”, contributo sostanziale alla consapevolezza del proprio agire. L’ignoranza può essere o un comodo alibi per non rispettare le regole e, quindi, trasgredire, o davvero un’attenuante per comportamenti del tutto inadeguati alle esigenze del buon vivere civile.

Ma l’apprendimento è ristoratore quando:

  • Attraverso le conoscenze e le competenze mette il giovane in condizione di trovare ragioni sussistenti per uscire dalla marginalità ed evitare le devianze
  • Le conoscenze e le competenze non rinsecchiscono l’autenticità e la creatività
  • Le conoscenze e le competenze risultano spendibili sul piano delle relazioni sociali, soprattutto tra pari
  • Le conoscenze e le competenze non si propongono come “neutrali”, rispetto alla vita reale, ma offrono sponde valoriali
  • Consentono gli errori per evitare gli sbagli in una situazione sempre problematica
  • Un ruolo determinante, come terapia contro il disagio, è affidato all’apprendimento.

L’apprendimento ristoratore: abbiamo proposto una distinzione tra errore e sbaglio:

In questo modello di apprendimento, l’errore non ha più il significato di “sbaglio”, ma è un passaggio essenziale per il progresso del processo di apprendimento, per l’arricchimento della conoscenza. Assumiamo, quindi, la differenza convenzionale tra errore e sbaglio: il primo come inefficacia nel giungere a un incremento di conoscenza, conseguente in ogni modo a un atto creativo, e il secondo, lo sbaglio, come inefficacia di applicazione di una regola già esistente.

L’apprendimento, per essere efficace, non può essere generico, impersonale.

La “personalizzazione” degli apprendimenti impedisce l’alibi dell’estraneità e insieme invoglia al coinvolgimento del proprio sé nei saperi istituzionali

Duccio Demetrio parla d’intelligenza autobiografica (l’insieme delle capacità cognitive stimolate dalla mente grazie alla riflessione e al raccoglimento che l’atto autobiografico offre). Tra questi procedimenti cognitivi acquista valore la retrospezione, con il compito di arginare la dispersione dei ricordi e di rivitalizzare la memoria; il pensiero introspettivo, con la funzione di giungere a una maggior auto-conoscenza, a una più consapevole riflessione su se stessi e sulla realtà; il pensiero abduttivo, altro strumento cognitivo che si avvale dell’uso di metafore e analogie, permettendo così di potersi esprimere con forme diverse da quelle convenzionali. (Cfr. Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica – Ed. Laterza – Bari)

Ritorniamo brevemente sulla comunicazione: I mezzi di comunicazione sono – per troppe ragioni – potenzialmente “avversari” nella lotta alla marginalità e alle devianze per il continuo propinare di modelli diseducativi o equivoci, funzionali più alle patologie che allo sviluppo positivo delle personalità giovanili.

  • Bambini di fronte all’abbuffata “comoda” di programmi, apparentemente innocui e solo raramente studiati da esperti per la loro crescita;
  • Lo sfondo abituale d’uso = violenza – sesso – estetismo sfrenato – vita spinta al godimento esasperato – furbizia contro progetti di lealtà – omologazione – sostituzione della relazione personale famigliare – mancanza del tempo riflessivo per accettazione/rifiuto del messaggio – ricchezza distinta dal merito di conquista – distinzione/contrapposizione sociale in base all’avere.
  • I mass media, essendo prodotti di largo consumo incontrollato:
  • Non sempre evidenziano i suggerimenti di limitazione d’uso
  • Insinuano la necessità di continue mutazioni, parallele alle continue variazioni di proposte mass mediali (bene di consumo)
  • Generano difficoltà permanente a distinguere verità da finzione, anzi la finzione si sostituisce spesso alla realtà
  • Quando vogliono proporre messaggi positivi spesso sconfinano nel predicatorio e nel paternalistico e non si aggrappano all’AUTOREVOLEZZA del messaggio e del proponente.
  • La lotta dell’AUDIENCE: conta la quantità di spettatori e non la qualità della proposta.

ATTENZIONE:

  • Niente è cattivo, deviante di per sé; deviante è l’uso improprio del mezzo!!!
  • L’educatore non fa a meno dei mass media ma dimostra – con l’uso intelligente e pedagogicamente indirizzato – che i mezzi diventano buoni se i fini sono buoni
  • La visione di situazioni “forti” di marginalità e di devianza, con guida di “lettura”, assume un ruolo terapeutico contro l’idea che o tutto è male o tutto è buono, purché i giovani non si facciano l’idea che esiste un BUON MALE o una CATTIVA BONTÀ.

Tocca ora parlare dell’AFFETTIVITÀ:

  • E’ il prima, il durante e il dopo di ogni intervento contro la marginalità e le devianze
  • I sentimenti – legati all’identità specifica degli adulti di riferimento – nutrono la relazione formativa più di tanta distaccata lucidità raziocinante
  • Voler bene = volere il bene = Mi interessi come persona = Sono indirizzato, nel mio ruolo, alla affermazione della tua vita = Mi tormenta la tua sconfitta perché sarebbe anche la mia, quindi è la nostra sconfitta.

Un riferimento al ruolo della famiglia è necessario, se vogliamo dare completezza alla nostra analisi:

La famiglia, comunque si caratterizzi nella società contemporanea, resta il contesto che maggiormente risponde dell’educazione dei giovani.

La responsabilità dei genitori è accompagnata dal chiaro riferimento a diritti e doveri di ruolo, fortemente condizionanti i risultati di questa educazione, pur non sottovalutando gli effetti collaterali – altrettanto incisivi e responsabili – della scuola, degli altri contesti sociali, della comunità urbana in genere.

Nessuna forma di marginalità o di devianza si concretizza senza attraversare la relazione affettiva (positiva o negativa) con la famiglia.

Quando facciamo riferimento alla famiglia non occultiamo che oggi essa è variamente caratterizzata, nella sua identità, rispetto ad un modello standard di prima: oggi abbiamo sì la cosiddetta famiglia “tradizionale” ma abbiamo anche la famiglia sostituita da genitori separati, divorziati. Varia, in questi casi, la condizione di marito e di moglie degli adulti, ma varia – contemporaneamente – quella di padre e di madre che, se non rispettosa dei diritti dei figli, rischia di generare disastri affettivi, traumi psicologici che possono anche sconfinare in comportamenti deviati.

La famiglia, la vera famiglia:

  • Vive la sua vita con la vita dei giovani
  • Ne accompagna lo sviluppo psico-fisico-affettivo
  • Promuove il senso di appartenenza e di responsabilità
  • E’ autorevole e non autoritaria
  • Testimonia con l’esempio il valore dei “comandi”
  • Cura la “persona” dei figli
  • Non entra in competizione con la loro giovinezza
  • Sa compiere rinunce e sa concedere gratificazioni

Pur consapevoli di non aver affrontato tutti i temi raccordati alla questione marginalità, disagio e devianza, traiamo delle conclusioni, affidando all’impegno di ciascuno di noi i necessari approfondimenti che la questione merita:

  • Il tema della marginalità e della devianza giovanili non può essere trattato solo in caso di fenomeni di eclatante cronaca negativa, sempre più frequente. I giovani, la loro educazione devono costituire la priorità sociale se non vogliamo che diventi la vera, prima emergenza nazionale.
  • Affrontare marginalità e devianza dall’esterno della vita dei giovani, senza il loro coinvolgimento, significa continuare con stili educativi non solo sorpassati ma pericolosi.
  • Atti, decisioni senza “motivazioni” e “valori”, sono destinati a fallire con conseguenze disastrose su tutto il sistema sociale.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

  1. Striano M. (a cura di) Pratiche educative per l’ inclusione sociale, Franco Angeli, Milano, 2010
  2. Barone P.,Pedagogia della marginalità e della devianza. Modelli teorici e specificità minorile,
    Guerini e Associati, Milano, 2001.
  3. Ghedin E., Ben-essere disabili. Un’approccio positivo all’inclusione, Liguori, Napoli, 2010.
  4. Izzo D., Mannucci A., Mancaniello M.R., Manuale di pedagogia della marginalità e della
    devianza, ETS, Pisa, 2003.
  5. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani (Feltrinelli, 2007)
  6. Galimberti, I miti del nostro tempo (Universale Economica Saggi, 2009)
  7. Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile (Carocci Faber, 2010)
  8. Giacinto Froggio, Il trattamento della devianza giovanile. L’approccio psicosociale orientato in senso ecologico e cognitivo comportamentale (Franco Angeli,
  9. Alessandro Dionigi e Raimondo Maria Pavarin, Sballo.Nuove tipologie di consumo di droga nei giovani (Edizioni Erickson, 2010)

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.