Sesso e sangue dietro le mura del convento

by Eugenio D'Amico

A Napoli, l’omonima via su cui sorge il complesso dell’Annunziata sfocia in piazza Calenda, che i napoletani conoscono come “mura greche” o “cippo a Forcella” dai resti delle mura greco-romane, forse addirittura cardini della porta furcellensis che segnavano la fine del Decumano inferiore ed oggi immettono nella zona di Forcella.

Forcella è una delle zone più malfamate di Napoli, ma una volta le vie, oggi teatro di un fiorente mercato di ogni illegalità e degli scontri, spesso sanguinosi, tra bande rivali che si contendono le piazze napoletane della droga e del contrabbando, erano ricche di splendidi palazzi nobiliari e di bellissime chiese e conventi. Il Sedile di Forcella, infatti, è uno dei più antichi sedili napoletani, come indica il suo stemma, una Y che sembra riferirsi alla caratteristica diramazione a forcella della via principale, ma che in realtà è il simbolo dei pitagorici che la popolarono tremila anni fa.

In uno dei vicoli che da Forcella portano al Corso Umberto si trovano le tracce di quella che fu la Chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano e dell’annesso monastero di monache benedettine, di origini antichissime, che nel XIII secolo fu rifatto per volere di Carlo I d’Angiò. La tradizione dice che vi soggiornò Maria d’Aquino, figlia naturale di re Roberto, la donna che Boccaccio cantò con il nome di Fiammetta. Il monastero fu ricco e prosperò fino al XVI secolo accogliendo esclusivamente novizie che provenivano dalle più nobili famiglie napoletane.

Poi nella seconda metà del Cinquecento la Curia napoletana dopo aver ricevuto la relazione di padre Andrea Avellino, un teatino che poi diverrà santo, inviato ad indagare a seguito di voci sullo scandaloso comportamento dello suore, con un provvedimento drastico ed inusuale decretò la sconsacrazione della chiesa, il trasferimento delle monache e la soppressione del convento, che si disse infestato dal diavolo poiché era stato edificato su di un tempio pagano dove si erano praticati antichi riti propiziatori della fertilità.

Cosa sia avvenuto realmente nel convento ancor oggi è un mistero. Si dice che le monache, tutte di nobile lignaggio, incuranti dei voti, ricevevano gli amanti nelle loro celle splendidamente e riccamente arredate, e pare che le mura del convento nascondessero ancor più gravi delitti, nati da invidie, gelosie e vendette, che avevano portato all’assassinio per mano di sicari di alcuni dei giovani frequentatori del convento e all’avvelenamento di due monache e della stessa badessa.

La storia è raccontata in un libello francese dei primi dell’Ottocento, Le Couvent de Baiano, attribuito addirittura a Stendhal, che però, nonostante il successo che ottenne alla sua pubblicazione, non è altro che uno scadente romanzo d’appendice, figlio dell’anticlericalismo dell’epoca, che si presenta come ispirato a fonti originali dell’epoca, ma che in realtà riporta insieme a fatti reali, moltissimi episodi ingigantiti o senza alcun riscontro storico. Di vero c’era però il fatto che i conventi, soprattutto i più ricchi, erano pieni fanciulle nobili che non avevano alcuna vocazione, ma erano forzate dai genitori a prendere i voti per evitare matrimoni che avrebbero provocato dispersioni del patrimonio familiare e questa ignobile usanza favoriva comportamenti licenziosi e immorali. Il libro fu tradotto in italiano e pubblicato nel 1860, sempre con intenti chiaramente anticlericali, con il titolo di Cronache del Convento di Sant’Arcangelo a Baiano e la vicenda fu ripresa nel 1973 nel film Le monache di Sant’Arcangelo che inaugurò il filone di quelli che furono detti film erotici-conventuali.

Eugenio D’Amico

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