Sperimentare l’idea della morte come il giovane Siddharta

by Michela Conoscitore

A volte percepiva, nella profondità dell’anima, una voce lieve, spirante, che piano lo ammoniva, piano si lamentava, così piano ch’egli appena se ne accorgeva. Allora si rendeva conto per un momento che viveva una strana vita, che faceva cose ch’erano un mero gioco, che certamente era lieto e talvolta provava gioia, ma che tuttavia la vita vera e propria gli scorreva accanto senza toccarlo. Come un giocoliere con i suoi arnesi, così egli giocava coi propri affari e con gli uomini che lo circondavano, li osservava, si pigliava spasso di loro: ma col cuore, con la fonte dell’essere suo, egli non era presente a queste cose. E qualche volta rabbrividì a simili pensieri, e si augurò che anche a lui fosse dato di partecipare con la passione di tutto il suo cuore a questo puerile travaglio quotidiano, di vivere realmente, di agire realmente e di godere e di esistere realmente, e non solo star lì come uno spettatore.

Hermann Hesse, Siddharta

Il periodo che stiamo vivendo sta stimolando tutti noi a riflessioni molteplici, i ritmi di vita sono rallentati e la mente riesce a posarsi, con più concentrazione, su aspetti del nostro vivere contemporaneo che, magari, in tempi normali, passano totalmente inosservati o inesplorati. Io non sono da meno, anche se non ho mai smesso di pensare, è uno dei miei peggiori difetti. Adesso, le mie elucubrazioni si sono approfondite, hanno scavato nei ricordi e, questi ultimi, li ho applicati al momento storico che tutti noi stiamo condividendo insieme.

Ripercorrendo le mie rimembranze di cinefila, mi è capitato di ripensare ad una scena del capolavoro di Bernardo Bertolucci, Piccolo Buddha, film del 1993. La scena in questione narrava la vita di Siddharta Gautama, il ricco principe che poi sarebbe diventato Buddha, fondatore di una delle religioni più antiche e affascinanti nella storia dell’umanità.

Siddharta, nato molto prima del Gesù cristiano, in una zona di confine tra India e Nepal, era figlio di uno dei principi del nord di quel territorio. Figlio desiderato e atteso per molto tempo, quando nacque il vaticinio del saggio di corte decretò che sarebbe stato un essere superiore, e che lo attendeva un destino ineffabile. Ma avrebbe dovuto lasciare il palazzo, e vivere nel mondo. Il padre, il sovrano Suddhodana, temendo di perdere il suo erede, lo crebbe nell’intimità protettiva della reggia, non permettendogli di addentrarsi al di là delle sue mura, imponendogli quindi una vita ‘dorata’ e privilegiata. Ma la profezia, pronunciata il giorno della sua nascita, si avverò: un giorno, a 29 anni, Siddharta si addentrò nel mondo, incontrò la gente e nella sua fuga da palazzo, arrivò in uno dei quartieri più poveri della sua città, Lumbini: sperimentò la morte, la malattia e la povertà.

Siddharta, così, comprese com’era davvero la vita, quali le sue componenti essenziali, sperimentò per la prima volta la compassione, la sofferenza, ma soprattutto il dolore, le lacrime. Un’onda, quella umana che incontrò nelle strade di Lumbini, che travolse la sua anima e che, da allora, non fu più la stessa, avviandolo su un percorso di illuminazione.

Che relazione lega Buddha a questo periodo di quarantena? Se ci pensate, la società contemporanea è paragonabile al Buddha pre-rivelazione, abbiamo abbracciato la vita dorata proposta dal re Suddhodana: benessere, felicità, possibilità infinite e positive di vivere una vita senza dolore che hanno portato tutti a credere di essere intoccabili, invincibili, e fa paura scriverlo, di pensarsi immortali. La specie umana, dalla notte dei tempi, ha sempre sofferto di questo presenzialismo malato e arrogante, e negli ultimi secoli si è ulteriormente acuito portandola a sperimentare credenze false e astratte. Le divinità, che prima erano fuori di noi, sono entrate dentro di noi: ci siamo autoincoronati sovrani di un mondo lisergico e immaginario, quello dove esistono soltanto il successo, la vita comoda e il materialismo, degli oggetti e dei sentimenti.

Andando oltre le riflessioni scientifiche sulla diffusione del virus in tutto il globo, la società umana che era ritornata ad uno stadio immaturo e puerile, e che aveva scelto come valori fondanti ideali effimeri e vanesi, sta sperimentando ora, come Buddha, la vita nella sua semplice essenzialità: siamo mortali, siamo corruttibili, siamo caduchi.

Che sia questa un’occasione di riflessione e comprensione vera dell’esistenza: il dolore che stiamo subendo come comunità globale, serva per rifondarci al termine di ciò come una nuova evoluzione della nostra specie. Il dolore e la sofferenza, la perdita e il lutto non devono essere visti solamente come una mancanza, ma anche come una pienezza perché fanno comprendere, insieme al vuoto, l’errore in cui insistevamo e ripartire, quindi, da quel punto per riconsiderare le priorità non solo della specie umana sulla Terra, ma soprattutto dei singoli, esseri pensanti e viventi nel mondo, quello vero e reale, con le sue crude e importanti nudità.

E tutto insieme, tutte le voci,

tutte le mete, tutti i desideri,

tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male,

tutto insieme era il mondo.

Tutto insieme era il fiume del divenire,

era la musica della vita


Hermann Hesse, Siddharta

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