Mai come in questo momento torna di attualità il dibattito sul rapporto tra sicurezza e libertà ed il delicato equilibrio tra questi due concetti, sul quale ogni Stato si regge, acquistando connotazioni diverse a seconda della prevalenza data all’uno o all’altro.
L’esigenza di sicurezza corrisponde ad una pulsione primaria dell’uomo, che è quella di mantenersi in vita e di veder garantita la propria sopravvivenza dai pericoli. Il bisogno di libertà corrisponde all’anelito, anch’esso primario, di organizzare la propria quotidianità senza subire ingerenze da parte dello Stato o di altre forme di potere.
È pacifico che, in condizioni di pericolo per la sopravvivenza, sia lecito limitare la sfera delle libertà individuali dei cittadini, ma a quanta parte di esse siamo disposti a rinunciare, in cambio della sicurezza? E per quanto tempo siamo disposti a tollerare anche una notevole compressione dei nostri diritti, che trovano fondamento nella Costituzione, la legge di tutte le leggi?
Sull’onda emotiva del panico suscitato dalle prime morti, abbiamo accettato che strumenti di natura amministrativa andassero ad incidere su una serie di diritti e libertà individuali che sono i pilastri della concezione liberale dello Stato, prima ancora che della nostra Carta fondamentale: libertà di circolazione, di riunione, di associarsi liberamente, di professare la propria fede. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, giova ricordarlo, è una fonte di normazione secondaria e, come tale, dev’essere previamente autorizzato con legge ordinaria, non può derogare alla Costituzione e alle leggi ordinarie, né avere ad oggetto incriminazioni penali, stante la riserva di legge assoluta in materia.
Dall’altra parte, però, c’erano la sicurezza dei cittadini e la tutela del diritto alla salute.
Sicurezza e libertà stanno sui due piatti opposti della bilancia. Tutto quello che si carica su uno di essi fa salire l’altro e la differenza tra stati autoritari e stati liberali è tutta nella prevalenza che si accorda all’una o all’altra
Le settimane sono passate e con esse la parte più acuta dell’emergenza. Quello che accadrà da ora in poi potrebbe determinare le sorti della nostra democrazia per il tempo a venire. Nella scelta tra uomo e Stato sta la differenza tra dittature e stati liberali, tra sudditi e cittadini.
Le tentazioni autoritarie hanno sempre trovato alibi e fondamento nelle situazioni di emergenza.
Nell’assetto delle magistrature romane dell’età classica trovava posto la figura del dictator, una magistratura straordinaria alla quale si faceva ricorso in caso di nemici esterni e rivolte. Il dictator era dotato di summum imperium, cumulava in sé i poteri dei due consoli – che in tempi ordinari erano al vertice della Repubblica – e durava in carica sino a quando non avesse svolto il compito per cui era stato nominato, e comunque non più di sei mesi. Tutti gli altri magistrati gli erano subordinati e i suoi ventiquattro littori giravano anche all’interno del pomerium, cioè il perimetro sacro della città di Roma, con le scuri inserite nei fasci, a simboleggiare il potere di vita e di morte (ius vitae ac necis) su tutti i cittadini.
Quando – nel 49 a.C. – Giulio Cesare prese il potere a Roma e si fece nominare dictator con durata decennale, si posero le basi per la fine dell’età repubblicana.
La presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, è intervenuta con voce autorevole nel dibattito sul tema, e ha sottolineato con fermezza che “La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali; e ciò per una scelta consapevole. Ma offre la bussola anche per ‘navigare per l’alto mare aperto’ nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini.”
Questo per dire che occorre prestare la massima attenzione a che la progressiva sottrazione di quote di libertà non porti, una volta ancora, all’affermarsi di forme di governo autoritarie, come avvenuto agli inizi del Novecento, sull’onda della grave crisi economica e sociale seguita alla fine della Grande Guerra.
Possono sembrare preoccupazioni ultronee, in un momento in cui milioni di persone, in tutto il mondo, si ritroveranno sotto la soglia della povertà per effetto del lockdown prolungato, ma le nuove forme di assolutismo possono presentarsi in modo diverso da quelle che abbiamo fin qui conosciuto: dall’imposizione di applicazioni che monitorano i movimenti di ciascuno all’obbligo di un trattamento di profilassi vaccinale, che magari inietti anche microchip volti a controllare e condizionare le scelte di ognuno.
Occorre avere, come singoli, la consapevolezza che stiamo vivendo un momento storico particolare e, finché saremo ancora liberi cittadini di uno stato liberale e non sudditi di una dittatura, farci parte viva e attiva del dibattito: il corso che la storia dell’Italia prenderà dopo queste settimane riguarda ognuno di noi e dipende anche da noi.