C’era una volta il delfino Filippo: una favola blu nel Golfo di Manfredonia

by Maria Teresa Valente

C’era una volta nel golfo di Manfredonia un vivace delfino di nome Filippo. Sempre amichevole e propenso al gioco, non era raro avvistarlo mentre seguiva le imbarcazioni dei diportisti o in prossimità dei mezzi navali ormeggiati presso il molo di Ponente.

L’eccezionalità del comportamento dell’animale, che si era staccato dal branco di appartenenza preferendo la compagnia dell’uomo a quella dei suoi simili, aveva destato l’interesse degli studiosi e dei mass media, ed in breve tempo il delfino era divenuto famoso in tutta Italia e anche all’estero. A seguirlo e curarlo sin dall’inizio, un docente manfredoniano amante del mare, Giovanni Simone, che creò ad hoc il “Comitato per la tutela del Delfino Filippo” e ancora oggi si batte per preservarne il ricordo nell’istituendo Museo del Mare a Manfredonia.

I primi avvistamenti di Filippo risalgono al 1997 quando due delfini, un maschio ed una femmina, della specie Tursiops truncatus erano stati notati nel tratto di mare adiacente le coltivazioni di mitili presso il porto industriale. Poco dopo quelle prime segnalazioni, il corpo del delfino femmina fu ritrovato senza vita sul litorale sipontino, ucciso da un colpo di pistola. Il suo compagno non lasciò mai più quei luoghi e giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, superò la sua iniziale diffidenza nei confronti dell’uomo fino a diventare l’inseparabile amico di tutti coloro che, come lui, amavano le acque del golfo.

Filippo venne notato con sempre maggiore frequenza dai pescatori e dai diportisti nautici e da questi pubblicizzato attraverso i giornali ed internet, fino a diventare una star. Da quel momento per tutti divenne “il delfino Filippo”, sulla scia della serie televisiva americana in cui si celebrava appunto l’amicizia tra un delfino e gli esseri umani ed il cui protagonista si chiamava “Flipper”. Nella finzione, però, Flipper viveva in un centro di ricerca sui delfini, mentre nella realtà Filippo, in maniera del tutto anomala e straordinaria per studiosi, sociologhi e scienziati, aveva voltato le spalle al branco in cui è solita vivere la sua specie e aveva scelto di diventare amico degli uomini. Sì, quegli stessi uomini che gli avevano ucciso la compagna. Ma Filippo aveva perdonato.

Dicono che i delfini siano molto simili agli esseri umani e, chissà, in questa somiglianza Filippo doveva essere simile a ciò che noi definiremmo un anticonformista idealista; uno diverso e proprio per questo speciale, che nonostante avesse provato quanto potesse essere crudele l’uomo, lo aveva preferito alla sicurezza del suo branco.

Filippo inseguiva i motoscafi dei sub fino alla zona di ormeggio del Porto di Manfredonia, giocava sull’onda di prua e sulla scia provocata dalle eliche delle imbarcazioni, a volte esibendosi con salti spettacolari, e le accompagnava fino alla zona di pesca. Nel 2000 il vivace e socievole delfino balzò agli onori delle cronache salvando un bambino caduto in mare da una barca, che rischiava di annegare poiché non sapeva nuotare. E mentre iniziavano a moltiplicarsi libri, racconti, documentari e servizi televisivi rendendo la presenza nel golfo sipontino di Filippo sempre più leggendaria, nell’agosto del 2004 una mano ignota gli sparò.

“Sai che c’è / non ce ne frega niente / vivremo sempre / noi sorrideremo sempre / siamo delfini / è un gioco da bambini / il mare”, cantava Modugno in una sua bellissima canzone.

Filippo era un delfino ed amava giocare. Aveva stupito il mondo con la sua curiosità e leggerezza, con il suo amore incondizionato verso l’uomo. Quello stesso uomo che crudelmente ha messo fine alla sua vita e ad una splendida favola blu. È un gioco da bambini, il mare. Siamo delfini e vivremo sempre. E il ricordo di Filippo, con un pizzico di malinconia, vivrà per sempre tra le spumeggianti acque del golfo.

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