«C’è un continuum della musica nata in cattività. Il musicista, in genere, non canta il lager, non canta il gulag, non mette in musica la prigionia o la deportazione. Il compositore sovverte, capovolge, esorcizza il luogo. È raro trovare musica dalla quale desumere direttamente quel clima di terrore. Il dolore c’è, come c’è la tragedia, ma è implicito nelle partiture»
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