“Covid-19: lo stato di salute della democrazia non migliora punendo, ma rieducando”. Intervista alla filosofa Maura Gancitano

by Felice Sblendorio

Che cosa si è rotto, nello scenario sociale italiano, in questi giorni agitati dalla paura del Coronavirus? Quale cortocircuito si è verificato fra percezione e realtà del fenomeno? Quanto hanno retto le istituzioni nel difficile compito di tranquillizzare e stabilizzare l’immagine del Paese all’interno e fuori dall’Italia?

bonculture ha posto queste domande alla filosofa Maura Gancitano, ideatrice assieme ad Andrea Colamedici di “Tlon”, il movimento filosofico molto attivo sui social che attraverso libri, scuole di filosofia, post, iniziative sociali contro l’odio sul web come “Odiare ti costa”, sta cercando di recuperare le capacità di pensiero e di complessità con nuovi linguaggi, strumenti e volti. Gancitano ha studiato con Severino, Cacciari, Rossi, De Monticelli e altri studiosi che hanno alimentato il suo impegno filosofico, soprattutto negli ambiti dell’etica e della teoria politica.

La paura nei momenti di difficoltà può essere anche responsabilizzante. In questi giorni il Coronavirus ha agitato una transizione di sentimenti dalla paura al panico. Cosa succede quando avviene questa mutazione?

Quello che accade in queste condizioni eccezionali è l’emersione di ciò che nello “stato normale” non viene fuori, o che è più facile dissimulare: la generale incapacità di gestire la complessità sia a livello intellettuale sia a livello emotivo. In queste settimane abbiamo assistito ad azioni di massa del tutto irrazionali e controproducenti perché la nostra società – che pensa di essere la più evoluta della storia dell’umanità – non accompagna nello sviluppo della capacità di discernimento e verifica delle notizie, della gestione delle pulsioni e delle emozioni, della responsabilità sociale. Per me è importante sottolineare il fattore generale, perché se così tante persone si comportano allo stesso modo ci stanno dicendo qualcosa della società in cui viviamo. Non possiamo comprenderne le ragioni guardandole solo a livello individuale, e magari ridicolizzando quei comportamenti.


I traumi sono sempre costruzioni simboliche, molto spesso prodotte dai media. Questo pesante basso continuo fatto di notizie, aggiornamenti discordanti, irreali percezioni dei rischi che dibattito pubblico ha costruito? 

È stata creata un’iperstimolazione che ha reso chiunque dipendente dagli aggiornamenti, ma una situazione come questa ha bisogno di essere trattata con grande attenzione, e quindi richiede un po’ di tempo. Il meccanismo di approvvigionamento delle informazioni al tempo dei social impedisce, invece, ogni tipo di riflessione, che sia di natura politica, sociale, economica, sanitaria. Anche a livello medico-scientifico sono state dette imprecisioni o enormi scorrettezze da parte di persone autorevoli, e questo perché si è portati a correre anziché aspettare il tempo necessario per elaborare interpretazioni e previsioni. In questo modo il dibattito è stato inquinato ed è sceso a un livello istintivo: anziché farci delle domande siamo stati sommersi da una valanga di informazioni, dati non interpretati e opinioni che hanno innescato il classico “contagio emotivo” che i social portano alle estreme conseguenze, e che creano un senso generale di confusione, paura e instabilità.


Sono ancora fresche le immagini dei supermercati presi d’assalto, delle mascherine esaurite e di una generale volontà di proteggersi autonomamente dalla paura del virus. Questo comportamento collettivo è frutto di un fallimento? Le istituzioni e chi si occupa di informazione non hanno trasformato, come auspicava Recalcati, la “massa agitata in un collettivo civile e razionale”?

Quello che è accaduto è la dimostrazione del fatto che nel nostro Paese chi fa informazione e opinione ha ancora un potere immenso: in un modo o nell’altro riesce a manipolare le pulsioni e gli istinti delle persone, e questo è pericoloso per la tenuta della coesione sociale. Inoltre, il fatto che così tante persone siano andate a cercare una soluzione individuale, anziché attenersi alle indicazioni del Ministero della Salute, deve farci capire quanto sia debole la fiducia nelle istituzioni e la sensazione di non essere abbastanza tutelati. Credo che le istituzioni, chi fa politica, chi ha un ruolo di responsabilità pubblica dovrebbe rendersi conto di questo, considerato che le stesse istituzioni hanno lanciato segnali contraddittori e non hanno saputo mantenere un’atmosfera equilibrata.

Non sono mancate le polemiche politiche e l’idea di far cadere il governo guidato da Giuseppe Conte. M5S e il PD hanno blindando il premier rifiutando un “governo Amuchina”. Come può essere definita una politica che si approfitta di un disordine generale per ricostruire il grande gioco del potere?

È una politica dello shock, che usa lo stato di eccezione per ottenere ciò che nello stato normale sarebbe più difficile. È un vecchio strumento politico che, però, viene potenziato grazie all’uso dei social network, che agiscono sull’opinione pubblica. Una politica responsabile in un momento del genere dovrebbe fare fronte comune, e questi tentativi sono ancora una volta la dimostrazione che non viviamo in un Paese che ha alla base un senso di solidarietà nazionale, di cui invece tanta politica parla per fare propaganda.

In pochi giorni si è ribaltata una prospettiva che, oltre alle precauzioni più sensate, confina e limita gli spostamenti dei cinesi e ora, in molti Stati, degli italiani. Lo stigma, il pregiudizio, non sempre crea percorsi perfetti? 

Non credo sia una situazione identica, perché sulle persone di origine cinese si è riversato un disprezzo che va ben oltre la paura del contagio, ma che ha trovato nella paura del contagio un argomento per manifestarsi con più ferocia. Ciononostante, al di là delle precauzioni sanitarie, il modo in cui veniamo trattati all’estero come italiani in questi giorni dovrebbe farci capire quanto sia irrazionale il pregiudizio e quanto ancora ci sia da fare per avere un mondo libero da discriminazioni.


Una minima parte ha violato la quarantena e il divieto di allontanamento dalle zone rosse. Quando si rompe il patto di responsabilità sociale che tutela noi stessi e gli altri come si ristruttura il concetto di responsabilità? 

Con la rieducazione. Di fronte a una persona che per interesse personale ha messo a rischio tutti gli altri, cos’è che desideriamo? Se pensiamo subito a una punizione esemplare non siamo meglio di lei, perché stiamo rispondendo comunque a un istinto. In realtà queste persone ci mostrano – come ho già detto – lo stato di salute della nostra democrazia, e questo stato di salute non migliora punendo, ma rieducando. L’educazione civica e il senso di responsabilità sociale dovrebbero essere i veri virus da diffondere, attraverso le famiglie, la scuola, i giornali, e le piccole azioni quotidiane di ognuno di noi.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.