Gran Caffè Gambrinus, dalla Belle Époque alla vucchella del Vate fino al Commissario Ricciardi. Storia di un mito in tazzina

by Michela Conoscitore

Il rito del caffè a Napoli ha un tempio, consacrato proprio alla bevanda che celebra una socialità tutta partenopea fatta di condivisione e calore umano: il Gran Caffè Gambrinus, fondato nel 1860, accoglie i propri clienti in Piazza Trieste e Trento, il salotto della città che costeggia via Chiaia e immette in una delle piazze più scenografiche d’Italia, Piazza Plebiscito, su cui affaccia anche Palazzo Reale. Appena entrati, la confusione vi avvolgerà immediatamente, soprattutto se vi ci recate nelle ore di punta. Quest’atmosfera potrebbe scoraggiarvi, eppure un magnetismo particolare vi inviterà ad insistere. Il profumo del caffè, il banco dei dolci, la prospettiva di una fragrante sfogliatella vi farà restare e ordinare. Seppure caffè e sfogliatella sarebbero d’obbligo, al Gambrinus c’è anche altro e lo svela proprio il nome.

Il Gran Caffè delle Sette Porte, così si chiamava inizialmente, fu fondato dall’imprenditore Vincenzo Apuzzo, riscuotendo immediatamente un gran successo. La concorrenza con il Caffè Europa di Mariano Vacca, posto poco distante, fu spietata ma a coronare l’intuizione di Apuzzo giunse anche la benedizione dei Borbone: il Caffè fu nominato Fornitore della Real Casa. Nel 1885, a causa di debiti e spese eccessive, il locale chiuse i battenti. Cinque anni dopo, nel 1890 fu lo stesso Mariano Vacca a rilevarlo, dandogli il nome di Gambrinus, dal sovrano delle Fiandre Joannus Primus, considerato il re della birra. Cosa c’entra, vi chiederete, col regno del caffè? Vacca pensò di aggiungere la bevanda nordica al menù per attirare più clientela, e seguire la moda delle birrerie austroungariche, in voga e richieste in quel periodo.

Cominciò l’età d’oro del Gambrinus che, per volere del nuovo proprietario, fu decorato con stucchi e affrescato in stile Liberty dall’architetto pugliese Antonio Vulli, formatosi alla Scuola di Posillipo, che aveva già seguito i lavori della Galleria Umberto I. L’ambiente divenne charmant, all’altezza dei gran caffè europei della Belle Époque, attirando i più grandi artisti e intellettuali dell’epoca che consideravano il Gambrinus una tappa obbligata nel loro soggiorno a Napoli. Pietro Mascagni, Benedetto Croce, Giosue Carducci, Oscar Wilde, Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio che idearono Il Mattino proprio ad uno dei tavolini del caffè, l’imperatrice d’Austria Elisabetta, l’iconica Sissi, che deliziò il suo palato esigente con un gelato alla violetta. Il Gambrinus ispirò, inoltre, Gabriele D’Annunzio nella stesura di una delle canzoni napoletane più celebri, A’ Vucchella, musicata da Francesco Paolo Tosti e cantata, poi, dal tenore Enrico Caruso. La canzone nacque da una sfida con Ferdinando Russo che il Vate incontrava spesso al Gambrinus. Qui il poeta aviatore trascorse molte delle sue giornate napoletane, lo dimostrò la lunga lista di debiti che, malauguratamente, lasciò insoluti.

I Futuristi, Hemingway, Jean-Paul Sartre, fino alla cancelliera Angela Merkel e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Gambrinus ha visto passare la storia tra le sue sale, mantenendo immutata la sua attrattiva negli anni. Ai primi del Novecento si convertì anche in cafè chantant, che insieme agli spettacoli del Salone Margherita, allietarono i napoletani e diedero vita al personaggio della cosiddetta sciantosa, la cantante protagonista di questi divertissement molto amati ai primi del Novecento.

Nel frattempo vi hanno appena servito il caffè al tavolino, magari vi siete seduti proprio accanto a quello riservato al commissario Ricciardi, il protagonista dei romanzi dello scrittore Maurizio de Giovanni, affezionato avventore del caffè. La tazzina è invitante, alla fine avete scelto la sfogliatella che lo è ancora di più, però vi consiglierei di aspettare qualche secondo perché, diversamente, provereste il ‘calore’ dell’accoglienza napoletana racchiusa in dimensioni così piccole: infatti, è tradizione in città servire il caffè in tazzine bollenti. Mi dite che non temete di scottarvi e volete provare quest’esperienza, e io vi rispondo che questa come tante altre, rende Napoli unica al mondo. Allora la sfogliatella potrà aspettare. Nel frattempo che armeggiate con la tazzina, vi racconto del fantasma che si aggira al Gambrinus: una bambina, chi l’ha vista vagare tra i tavolini la descrive vestita alla moda dei primi del Novecento, sorridente e particolarmente golosa del torrone di cui va alla ricerca tra i clienti del bar. Le apparizioni della piccola golosa si dice sarebbero più frequenti in novembre, il mese dei morti.

Il caffè è terminato, la sfogliatella pure, e vi comprendo fate fatica ad alzarvi e lasciare questo luogo così ricco di aneddoti, cuore pulsante di Napoli, che ha rischiato più volte di fermarsi nel corso della sua storia, come nel 1938 quando il prefetto Giovanni Battista Marziali lo fece chiudere, bollandolo come ritrovo di antifascisti. Oppure durante l’epidemia di colera, negli anni Settanta, e ancora più recentemente con la pandemia da Covid. Tra i dieci caffè storici d’Italia, il Gran Caffè Gambrinus è sempre ‘risorto’ non potendo rinunciare a svolgere il ‘servizio’ che ricopre da decenni per la città e i propri clienti: offrire un rifugio d’eccezione e regalare emozioni senza tempo.

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