Cava, bacino idrico, orto giardino, immondezzaio. Ora una Foresta Urbana a Lecce

by Fabrizio Stagnani

Una lupa ed un leccio, questo sullo stemma della città che cela fra le sue strade una foresta incantata. Un luogo magico, dalla storia piena di avvincenti capitoli, non sempre felici. Sentieri, antri, masciare, vetri incantati e piante stregate. A Lecce la Foresta Urbana.

Del diciottesimo secolo i primi scritti a parlare della cava che ha dato origine a questa realtà. Neanche ad un chilometro, in linea d’area, dalla Stazione, neanche a due dalla Villa Reale. Alle spalle della ferrovia, un tempo oltre le periferie, ora, sempre più inclusa nel tessuto cittadino. Cave di Marco Vito si chiamavano, la zona è denominata “delle tagghiate”. Area dalla quale si estraeva calcarenite marmosa, la celebre pietra leccese insomma. Una miniera distesa tutto là attorno, diversi ed articolati gli scavi, ma qui si vuole porre attenzione sulla storia che riguarda la lingua di terra fra le vie dei Ferrari, Enrico Bozzi e San Cesario. 

Sei ettari che vennero scavati sino a creare pareti alte anche venti metri. Il sito fu ritenuto fruttuoso non oltre gli anni trenta del novecento, poi abbandonato. Per un’altra decade, considerata la struttura, fu dedicato a bacino di raccolta delle acque bianche. E detriti iniziarono a depositarsi sul fondo. Poi della terra fu proprio immessa e nacquero i primi orti giardini. L’appezzamento, diviso in lotti, iniziò a fiorire di agrumeti, col tempo di uliveti e frutteti. Insieme a tracce di orticultura anche quelle di apicultura. A testimoniarlo delle arnie dismesse rinvenute in un rifugio scavato nella pietra. Ancora una volta l’abbandono a partire dai ’50. E si sa, se l’essere umano trova un posto dove nascondere qualcosa, il più delle volte, più che tesori, sono cumuli d’immondizia. In pochi anni migliaia i quintali di spazzatura e rifiuti speciali riversati dal piano stradale nello scavo. Dall’altra parte la natura si stava inselvatichendo. I viottoli si infittivano di piante spontanee e di quelle lasciate all’incuria, gli animali non domestici iniziavano ad impossessarsi di uno spazio che gli era sempre stato negato.

Oggi, lì in visita, l’atmosfera è sensibilmente segnata da tutte queste ere. Sulle pareti della cava ancora evidentissimi i segni delle frese, seghe e “zuecchi”, gli strumenti usati dai “cava monti”. Al suolo nette le tracce del periodo “agricolo”, ancor più quelle legate ai tempi in cui pattumiera e scarti dei cantieri edili si ammassavano. Su uno dei costoni, quello più adiacente alla strada, a circa dieci metri la tacca cromatica del livello che lo scempio aveva raggiunto. Mentre incantevole e avvolte spettrale la fitta vegetazione che lascia ben a far intendere da quando si è trovata orfana e libera.  

A studiare l’evolversi degli ultimi tempi, dalla finestra di quella che era casa sua, il Presidente del Wwf Salento, Vittorio De Vitis. Il quale non appena seppe di un bando per la rigenerazione urbana del Comune di Lecce, proprio mirato a riqualificare quella zona, si fece avanti. Cinque anni fa, due furono gli ettari affidati al Wwf, e solo quelli risultavano essere intestati a ben sei proprietari privati. A colpi di macete si fecero strada i volontari, andando a ridisegnare sentieri e passaggi. Per rimuovere l’ammasso di detriti fu necessario l’intervento di un mezzo pesante attrezzato di braccio meccanico.   

Ora è un incanto, un posto magico ed affascinante, la cui percezione non è circoscrivibile dalle parole, va vissuta. Dal livello stradale, sulla via per San Cataldo, un cancello si apre su di una aspra scalinata in pietra antica, una pergola di vegetazione spontanea ne chiude la volta, quasi un condotto che porta, in basso, verso un’altra dimensione. Appena giù si è in una fitta macchia a perdita d’occhio di viburni, melograni, noci, nespoli, purtroppo anche qualche alianto, ma anche olivastri. Uno di questi ultimi, incastonato nel mezzo della Foresta, è simbolo della lotta per la sopravvivenza che si è perpetuata. Gruppi in visita di pugliesi, che ben dovrebbero essere in grado di riconoscere un ulivo, davanti a lui, interrogati, si perdono.

“Questo luogo ci ha insegnato che non dobbiamo affidarci alle apparenze. – parla la Vicepresidente del Wwf Salento, Daniela Palma – Abbiamo imparato a riconoscere le essenze in funzione delle loro tracce.” Sembra una quercia, ma non lo è, rami lunghi, foglie larghe, frutti ridimensionati, corteccia stirata, è stato l’affaticamento per la conquista della luce a modificare la struttura di un ulivo ormai centenario. E sono sempre le tracce a dare suggerimenti sulla presenza della fauna. Ancora nessun video trappolaggio, ma inconfondibili sono le tane dei tassi, le deiezioni di volpi e le borre di rapaci come assioli, barbagianni e civette. Immancabili passeriformi, taccole e gazze. A difendere dall’attacco di qualche topolino una colonia di tartarughe hermanni, in giro per l’agro, sicuramente ricci di terra. Un’ecosistema, una bolla di biodiversità, in simbiosi con le attività proposte dagli attivisti del Wwf. Laboratori mirati all’educazione ambientale, come quelli di semina e piantumazione, ma anche presentazioni di libri immersi nel verde, interventi teatrali e concerti nell’arena autocostruita.

Questo ovviamente prima della pandemia. Ma soprattutto, quelle ancora organizzabili previa prenotazione e contingentamento, escursioni. Visite guidate fra gli orti rigenerati, alla scoperta delle piante nel “sottobosco”, alla ricerca delle casette intagliate nella pietra, come quella “delle arnie”, con volte a botte e vecchio forno di comunità, e quella “dei vetri”. Perché dei vetri? “Al suo interno abbiamo trovato una collezione variegatissima di bottiglie antiche di vetro. – E’ sempre Daniela Palma a spiegare – Qui anche i rifiuti ci hanno raccontato storie, epoche. In cinquant’anni di accumulo stratificato si leggeva la quotidianità delle persone, della società. Il passaggio delle stoviglie di latta a quelle di plastica. Gli stili le forme.”
Un parco urbano inusuale, l’appellativo di foresta è stato adottato a sottolinearne la mancanza di schemi, a differenza di quello che accade, ormai normalmente, con la gestione del verde nelle città, rigorosa, d’arredo, fittizia. Un luogo di conoscenza esperienziale, di comunità, di valore.    

Quali i rischi per questa realtà ormai apprezzata in quanto tale dalla cittadinanza leccese e tutti coloro che ne sono entrati in contatto? Quali gli auspici?  “La zona è tutelata dal vincolo paesaggistico. Non ha valore per il mercato dell’edilizia, improbabile che torni ad averne per quello agrario. I proprietari non ci tornano da ormai trent’anni. I rischi sono tantissimi. Non essendo di nostra proprietà, il minimo che può accadere è che tutto il lavoro vada perso. Potremmo essere sfrattati, fra due anni. – fa presente la Vicepresidente del Wwf Salento – Visto e considerato che ai visitatori ha suscitato sempre grande stupore ed emozione, che questo posto racconta più di una storia della città di Lecce ai suoi cittadini, non dimenticando che è un polmone verde, una nicchia inestimabile di biodiversità, confidiamo di promuovere e portare a buon fine con la comunità un crowdfunding per l’acquisto del terreno al fine di continuare a preservare e far conoscere la Foresta Urbana.”

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