Il Pnrr e la Grande Alleanza che non c’è. La sveglia di Impresa Puglia

by Enrico Ciccarelli

La “p” è una consonante occlusiva, di quelle che alcune vecchie grammatiche chiamano esplosive. Era quindi normale che un convegno intitolato “Pnrr, Public procurement e partenariato pubblico-privato” facesse il botto. Scherzi a parte, il vernissage di Impresa Puglia, l’associazione imprenditoriale costituitasi a seguito dei travagli di Confindustria, non avrebbe potuto riuscire meglio. Per la qualità della partnership con l’Università di Foggia, innanzitutto, e per il buon livello complessivo dei relatori (guest star Alessandro Hinnà, docente a Tor Vergata), ma anche e soprattutto per il tema, quel Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza che finora in Capitanata è stato un illustre sconosciuto,

Ha quindi avuto pieno titolo Michele D’Alba, presidente di Impresa Puglia, a ricordare nella sua introduzione che l’associazione si propone di sviluppare identità, senso di appartenenza e cultura di impresa tra le variegate realtà del sistema produttivo pugliese.

Sistema produttivo che tra Ofanto e Fortore vive, al momento con quasi totale inconsapevolezza, una sfida epocale. Non c’è solo da fare attenzione alla vagonata di miliardi che Next Generation Eu indirizza verso il Mezzogiorno d’Italia (circa ottanta), ma anche da rivisitare le programmazioni dei fondi europei passate e presenti che tutte assieme ammontano a circa 213 miliardi, più dell’intero montante del Pnrr Italia (a sua volta superiore all’intero celebratissimo Piano Marshall del dopoguerra).

Il problema è che questi tre ettari cubici di danaro, per dirla con Paperon de’ Paperoni, devono essere spesi in modo strategico; sia perché saranno almeno in parte figli unici di madre vedova, sia perché –anche senza che il Covid-19 ci si mettesse di mezzo- i deficit strutturali della nostra economia e la permanente doppia velocità del sistema Paese sono antichi e sempre meno tollerabili.

Proprio per questo, come ha ricordato il professor Antonio Corvino, docente di Economia Aziendale di Unifg, servirebbe un lavoro comune di territorio, con il coinvolgimento di tutti i players e gli stakeholders della filiera pubblica e di quella privata. Perché i numeri sono nulla, se non hanno dietro le persone, e le persone sono nulla se non se ne considerino estri e talenti. Ma questo operoso pensiero di rete non trova sbocchi né sedi.

Intanto il tempo stringe: il timing di NGEU è proibitivo, e considerata la “simpatia” con cui le opinioni pubbliche dei Paesi frugali guardano alle cicale del Sud Europa, è temerario giocare sull’equivoco dei termini ordinatori o perentori. E più ancora delle scadenze di Bruxelles, c’è da temere il ritardo dell’innovazione, la cui vertiginosa marcia è stata illustrata in modo egregio da Flavio Deveglia, della sede di Bari di EY ( la vecchia Ernst&Young, probabilmente la più importante società di consulenza del mondo). La Puglia può essere la Florida d’Europa ha detto Deveglia (in effetti paludi e alligatori ne abbiamo; speriamo non faccia la stessa fine della California di qualche decennio fa). Ma deve predisporsi ad apprendere il duro alfabeto dell’innovazione. Se riconoscete la vostra azienda di cinque anni fa, vuol dire che la vostra azienda ha dei problemi ha spiegato Deveglia, descrivendo il nuovo mondo che è il nostro. Un mondo nel quale il vantaggio competitivo derivante dalla maggiore qualità di un prodotto o servizio dura sei mesi e non di più, in cui le vecchie abitudini della crescita lineare sono state spazzate via dalle nuove leggi della crescita esponenziale, come insegnano gli assiomi di Metcalf, di Gilder, di Moore.

Meno suggestive, ma ugualmente utili, le comunicazioni di Michele Trimarchi, docente di Amministrativo nel nostro Ateneo, che ha cercato di guidarci nella selva oscura delle modalità di acquisto di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione, fra restringimento della platea dei committenti (sempre meno centrali di committenza) e delicati equilibri fra statualità Consip e stazioni d’appalto regionali, e di Caterina D’Anzeris, dell’Area Legale di Tre Fiammelle (azienda leader del territorio per i servizi di pulizia), che ha sottolineato, anche alla luce delle osservazioni dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione, quali criticità devono essere superate, nel segno della trasparenza, per la finanza di progetto, lo snodo cruciale del partenariato pubblico-privato.

Il lavoro sul Pnrr dell’Università di Foggia è stato illustrato da Caterina De Lucia, del Dipartimento di Economia, Management e Territorio. L’opera di un team di docenti e ricercatori che ha seguito la via di un largo coinvolgimento dei portatori di interesse, individuando più di duecento schede progettuali in vario modo collocate nelle sei missioni del Piano. È significativo che tra i fattori di criticità del nostro territorio ci siano una bassa informatizzazione e soprattutto una diffusa misconoscenza delle lingue straniere. Tradotto: senza apertura al mondo, né Rinascita né Resilienza.

Anche perché, e sul punto le conclusioni di Alessandro Hinna sono state illuminanti, la Capitanata, la Puglia, il Sud e l’Italia non hanno bisogno solo di un parco progetti, ma di una strategia. Perché è evidente che gli interventi materiali e immateriali da mettere in campo non sono tutti uguali. Dovranno avere priorità assoluta quegli investimenti che producano nel tempo riduzioni della spesa corrente, o il debito mangerà le future generazioni; e bisognerà impegnarsi allo spasimo sul fronte dell’occupazione, perché la transizione ecologica e digitale distruggerà posti di lavoro e ne creerà altri (basti pensare alle enormi opportunità dell’economia circolare o della cybersecurity), ma non in modo automatico o simmetrico. I processi di accompagnamento e di sostegno richiederanno risorse, ma soprattutto stato mentale, disposizione all’agire comune. Il futuro è cominciato, e va studiato e compreso. Si dice spesso che non bisogna limitarsi a fare convegni. Ma forse questo è proprio il momento di farli. ha brillantemente annotato Hinna. Speriamo che la sveglia suonata da Impresa Puglia possa moltiplicare gli sforzi. Perché le azioni hanno bisogno dei pensieri e delle parole, e in Capitanata quelle sullo sviluppo sono poche e malcerte. Aggiungiamone, perché il momento è ora.

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