Il Rettore Limone e la Hackathon. 24 ore insieme per un’Università aperta al territorio

by Modesta Raimondi

Il 3 ottobre l’Università di Foggia vivrà una giornata speciale insieme ad altri 50 atenei nel mondo, grazie al Digi Edu Hack: una Hacking Marathon finalizzata a valorizzare il territorio.

Hackathon, nuova parola che nasce dalla fusione di hacker e marathon,descrive un fenomeno che riunisce, per un breve lasso di tempo, esperti e operatori della programmazione e del web, al fine di cercare soluzioni e innovazioni digitali.

Tradizionalmente si comincia con la presentazione del programma, a cui seguono i lavori, la circolazione delle idee e la formazione delle squadre.

A Foggia, nella sede di via Arpi 176, presso il dipartimento di studi umanistici, si parte alle 8.30 di giovedì 3 ottobre, per finire alle 10 del mattino successivo. In azione un team multidisciplinare di educatori, studenti e innovatori, supportati da docenti, personaggi influenti e stakeholder.

Le idee, sviluppate in gruppi nell’arco delle 24 ore, concorreranno per i premi finali.

La giuria di esperti, che agiscono nel territorio foggiano, sarà formata dal rettore Pierpaolo Limone, dall’assessore comunale alla cultura Anna Paola Giuliani, dal direttore didattico dell’Accademia di Belle arti Pietro Di Terlizzi, dal presidente del Teatro pubblico pugliese, Giuseppe D’Urso, dal presidente del consiglio degli studenti dell’Università Antonio Pellicano, dal cappellano d’ateneo don Bruno D’Emilio, e dal commissario straordinario della Fiera Massimiliano Arena.

Il primo classificato avrà la possibilità di partecipare alla competizione internazionale.

All’evento, gratuito e aperto a tutta la cittadinanza, sono iscritti 222 partecipanti.

Bonculture ne ha parlato con il rettore Pierpaolo Limone, pedagogista, direttore del dipartimento di studi umanistici, Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione, che con i suoi 44 anni detiene il titolo di Magnifico più giovane d’Italia.

Rettore Limone, si aprono le porte della sua università?

Certo. Parte un grande laboratorio di progettazione partecipata che ha l’obbiettivo di dare agli studenti (non solo a quelli universitari) la possibilità di trovare soluzioni creative per rispondere ad una domanda fondamentale: cioè, in che modo mettere più efficacemente e stabilmente in contatto l’università con il territorio.

È questa dunque la domanda per i partecipanti ai lavori dell’Hackathon? Come creare un legame tra ateneo e territorio?

In sintesi si. La premessa è questa: l’università è una realtà importante ma ancora chiusa in sé stessa. Chiediamo quindi ai partecipanti di trovare delle strategie che mettano in contatto la straordinaria ricchezza delle ricerche accademiche con il territorio. Un contenitore come l’università può offrire opportunità di rigenerazione, innovazione sociale e trasformazione urbana.

La traccia, dunque, è totalmente libera. I due punti sono: università e territorio.

Apertura al territorio: torna ad uno dei suoi desiderata espressi in campagna elettorale, quando era in competizione con il prof. Lorenzo Lo Muzio. Quella campagna elettorale che lo ha visto vincere pochissimi mesi orsono.

Assolutamente si. Credo che in città sia molto sentita l’esigenza di entrare in contatto con il giacimento di conoscenze, risorse ed opportunità rappresentato dall’università.

Concretamente, che valore aggiunto ha l’Hackathon per la città?

Ne ha molti. Pensando alla ricerca che si svolge nei nostri laboratori, immagino che l’università possa rappresentare una leva di innovazione per le imprese, grazie anche alla Regione che di continuo offre bandi, progetti e attività di ricerca finalizzati al contatto tra imprese innovative e ateneo.

In termini di offerta formativa, l’università forma i professionisti che poi operano nel territorio. Pensi ad Agraria, Medicina, Lingue (il nuovo corso che vogliamo aprire). Un laureato, un soggetto con competenze specifiche avanzate, può avere un grande impatto nel trasformare ed innovare le attività produttive del territorio.

E poi, dopo la ricerca e l’offerta formativa, l’ateneo ha una terza missione: restituire parte dei propri successi accademici. Pensiamo a brevetti come il Gluten free, ad esempio, che hanno una ricaduta immediata sul territorio. Oppure, sempre riguardo la terza missione, un’altra cosa importante è promuovere incontri ed eventi che rendano trasparente l’università a chi abbia voglia di entrarvi, sfruttando l’energia creativa che è al suo interno per costruire percorsi originali.

L’università è un motore di innovazione per il territorio ed una ricchezza che può essere utilizzata da tutti.

A quale parte della città è rivolta la chiamata all’Hacking Marathon?

Penso ai ragazzi che hanno un’idea per migliorare l’ambiente in cui vivono e che con l’aiuto di esperti potrebbero realizzarla: giovani che abbiano voglia di investire sul territorio.

Sempre tra i suoi desiderata elettorali, lei si espresse a favore di una migliore qualità per i servizi agli studenti e di maggiori investimenti nella ricerca scientifica. In quale di questi due ambiti si muove questa maratona digitale?

Sicuramente in quello della maggiore qualità agli studenti: è un piccolo segnale di autonomia e centralità. Continuo a pensare che i ragazzi abbiano un grande potere di innovazione e trasformazione dell’ambiente in cui vivono, ma che dispongono di scarse risorse e poco coraggio. Crescere nel mezzogiorno d’Italia dà l’impressione che trasformare la realtà sia un obbiettivo troppo ambizioso oltre che irrealizzabile, a causa della crisi economica e della criminalità diffusa. Pertanto offrire loro gli strumenti per dare concretezza a soluzioni innovative, è molto importante per noi. L’hackathon in qualche modo è questo.

Si dice che i giovani debbano avere gli strumenti per rendersi autonomi: l’hackathon è un piccolo esercizio in tal senso. Le idee più innovative saranno poi sostenute dall’università nella loro realizzazione, con veri e propri incubatori.

Una volta lei disse di essere contro la liceizzazione delle università meridionali. Cosa intendeva nello specifico e in che modo la sta combattendo? Parlava di riduzione?

Si, di riduzione. Per il buon funzionamento dell’università serve la ricerca e la didattica.

Senza una ricerca di eccellenza che permetta di entrare in contatto con centri di ricerca internazionali, di discutere con scienziati pari al livello globale, l’università si impoverisce radicalmente.

Il dialogo con l’esterno è dunque fondamentale per la statura intellettuale dell’istituzione?

Si, serve il dialogo con le migliori esperienze scientifiche internazionali, perché la scienza nasce dal confronto costante con i pari. Nel momento in cui il sistema universitario italiano si impoverisce (c’è un processo di de-finanziamento che va avanti da 15 anni) si riducono anche le possibilità di competizione al livello internazionale su nuovi progetti di ricerca: progetti che richiedono grossi finanziamenti in luoghi lontanissimi tra loro.

Pensare che l’università sia solo la didattica è una forma di liceizzazione: questo intendevo.

L’università è anche insegnamento, ma è soprattutto ricerca d’eccellenza. L’opposto della liceizzazione è l’investimento serio, strutturato e sistematico, nei processi di ricerca scientifica. Se riduciamo i fondi sulla ricerca, non resta che l’insegnamento, che è una cosa nobile ed importante, ma dare solo insegnamento, significa fare un grande liceo: cosa ben diversa dall’università.

Una università non liceizzata, inoltre, trasforma il territorio su cui insiste.

Mutando i contesti e con le dovute proporzioni, pensiamo all’impatto dell’università nel nord-est d’Italia con la sua provincia.  Pensiamo inoltre agli Stati Uniti, alla Silicon Valley o al Cambridge Massachusetts.

L’università ha un potere trasformativo del territorio su cui insiste che deve essere assecondato e protetto dalle politiche pubbliche e dall’intelligenza di chi opera al suo interno. Occorre reciprocità. È un discorso complesso. Ma proviamoci.

La giornata dell’Hackathon risponde a questo tentativo?

La giornata del 3 rientra nello spirito della terza missione: quella di rendere l’università trasparente e permeabile alle istanze dell’esterno. In questo caso non siamo noi a proporre una soluzione, ma la stiamo chiedendo al territorio stesso. In che modo possiamo esservi utili?

Vi aspettiamo. L’ateneo è aperto. Mettiamo a disposizione di 250 studenti, divisi in gruppi di 5, una quindicina di esperti, ricercatori e studiosi. Verranno fuori tantissimi progetti e noi siamo qui per dare una mano e rendere concrete le idee.

Ci sono 24 ore di tempo, allo scadere delle quali i partecipanti faranno una presentazione che sarà valutata da una giuria che risponde a linee guida concordate al livello europeo.

Il primo premio sarà la realizzazione dell’idea e la possibilità di partecipare alla competizione in Finlandia, dove il vincitore, avrà una sua risonanza, oltre a 5000 euro.

L’università tenta di dialogare alla pari con gli studenti e con chi frequenta le nostre aule. Ci mettiamo in ascolto, a servizio, per realizzare le idee della città.

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