Il rogo apotropaico e ultras che salverà la sinistra foggiana

by redazione

La migliore analisi politica delle elezioni amministrative l’hanno fatta i supporters di Franco Landella, in via Bari, a pochi minuti dall’ufficialità della vittoria del sindaco uscente sullo sfidante Pippo Cavaliere: “Kitemmurt”, è stato il coro più gettonato davanti ai comitati, sicuramente non a margine di un seminario su Flaubert, e poi divenuto in un attimo giudizio politico unanimemente condiviso da destra a sinistra.

In quei canti, con un po’ di immaginazione mitica, archetipica e psicanalitica, si è visto davvero tutto. L’inizio e la fine. L’odio feroce e la liberazione. L’ebbra danza dei baccanali con la conturbante giovane ragazza, figlia illustre del vincitore, al centro che ballava sui cori ultras e i fumogeni rossi e verdi, moderne torce dell’altare su cui venivano simbolicamente sacrificati i perdenti. L’ingegnere e il “traditore”, ossia l’ex uomo di destra, Giuseppe Mainiero, passato a sinistra.

“È murt murt, Pippo è murt”, l’inno gridato in cerchio con in mezzo il fuoco del fumogeno per l’unico candidato di un centro capoluogo, che ha perso la sfida del centrosinistra in Puglia.

Mancavano solo i fantocci dei due perdenti e il rito apotropaico sarebbe stato perfetto. Simile a quello che i leghisti hanno celebrato col pupazzo di Elsa Fornero. Interrogato da Gad Lerner qualche sera fa in una splendida prima puntata de L’approdo, un leghista ha detto: “Non c’è niente di violento o nazionalsocialista in quel rito, si riprende la vecchia tradizione popolare del bruciare le cose vecchie, con l’annuncio dell’anno nuovo”.

Ecco, kitemmurt è stato anche questo: un rito sacro. Volgare, popolare, cafone, grezzo, “criminale” direte, ma pur sempre un rito. Il popolo di fronte ad un fumogeno ha sancito la sconfitta del nemico, bruciandolo con cori ultras. Chiederemo a qualche antropologo di spiegarci meglio quello che abbiamo solo intuito partecipando da spettatori alla danza dei tifosi.

Si è detto fino allo spasmo, Pippo Cavaliere, il candidato di sinistra, ha perso nelle periferie del bisogno, dei poveri, della necessità, delle strade piene dei ragazzi di vita e del malcontento a oltranza; Franco Landella, il candidato di destra, ha rischiato al centro, nella Foggia in pullover, produttiva in qualunque modo, terminale di interessi economici piccoli e grandi. 

Per questo, la sinistra, allergica ad autocritica, chiederà l’abolizione delle periferie e appoggerà Di Maio, uno che ha capito bene dove sia il problema tanto da aver abolito la povertà per non correre il rischio di non essere capito dal proprio elettorato. Così il PD ha chiesto ininterrottamente un accordo con i cugini grillini, probabilmente per la comunanza di intenti alimentata dalla frangia anti-poveri.

E proprio per la proverbiale ritrosia al mea culpa dei democratici, la responsabilità della sconfitta va ai Cinque Stelle che non hanno appoggiato Cavaliere. Come si sono permessi? Come? Come? Ah, prendono un seggio in più con la vittoria di Landella? E che c’entra, avrebbero dovuto appoggiare il “Giusto” a prescindere. Soprattutto senza apparentamenti tecnici e senza poltrone in saccoccia, perché loro devono darci fiducia a prescindere visto che noi siamo Giusti, ed in cambio noi governiamo in autonomia, magari accapigliandoci e sventrandoci su ogni nomina, come tradizione insegna. Appunto, neanche a dirlo, il Pd e i suoi satelliti hanno rovinosamente perso.

L’altra mirabolante analisi scaccia-responsabilità ideata dal centrosinistra è stato l’astensionismo: solo un foggiano su 4 vuole Landella. Poco. Pochissimo.  Immaginare quanto “ancora più poco” invece è ricaduto su Cavaliere.  Più contenuta, invece, la protesta contro i “baresi”. Mentre Cavaliere sfilava accanto ad Emiliano e Decaro, nell’altra piazza, a poche centinaia di metri, il popolo bistrattato delle periferie, accecato dalla rivalità Bari-Foggia che non si vedeva dai tempi del dualismo Baggio-Del Piero o del gradimento della velina bionda sulla mora, gridava “Chi non salta un barese è”. Cori da stadio. Ed in un attimo il Centrosinistra ha accarezzato la pazza idea di abolire gli stadi, lo sport, i manifesti, Lotito, la Serie A, la Serie B, Lega Pro ed Emilio Cavelli: “Perché il problema di Foggia non è Foggia, ma le periferie”, avrebbe detto Cavelli a sua discolpa. “La sinistra riparta da Cavelli”, è stata l’invocazione del popolo post comunista dauno, ma poi hanno scoperto che quel virgolettato sulle periferie era una fake news di qualche giornalista iperschierato e ora la sinistra si ritrova nuovamente senza un leader. 

In realtà, non c’è stata solo la terra di mezzo dei sobborghi a far inciampare Cavaliere. Sono stati i soliti portatori di voti di Landella&Co. Il centrosinistra viaggiava invece con i piccoli fiammiferai. Tutti volti nuovi, anime pie alla prima esperienza politica come Verile, Tarquinio, Grilli, Mainiero, Palmieri, Pontone, Lambresa, solo per citare le “prime volte” più emozionanti che hanno commosso Foggia. Per non parlare di quei due sprovveduti di Raffaele Piemontese e Leo Di Gioia, due giovani dalle belle speranze che però hanno appena iniziato la carriera politica e non occupano di certo postazioni di prestigio. I ragazzi si faranno, ma ora è presto: saranno gli Holly e Benji del futuro, che ora però sono travolti da quei due teppisti scapestrati di Ventura e Citro.

E per un attimo ai democratici è balenata l’idea di abolire le liste civiche e anche Ventura e Citro.

C’è però un dato positivo: adesso il centrosinistra è compatto all’opposizione. Compatto… Diciamo unito. Più che unito, numeroso. Insomma, siedono dalla stessa parte in consiglio comunale: con un componente che ha già fatto sapere di aver votato Lega alle Europee; con un altro componente che ha già governato con Landella nonostante fosse stato eletto in Comune con la sinistra; e con un componente super osservato speciale che potrebbe passare dall’altra parte della barricata. Per evitare transumanze sospette all’altra sponda, il centrosinistra ha proposto di abolire l’opposizione.

Ha quindi proposto di abolire se stesso.

Adesso quindi si può vincere.

Senza periferie, senza avversari, senza cori, senza M5S, senza Cavelli, senza opposizione, senza Ventura e Citro, senza elezioni e portatori di voti nemici, senza barbari, senza cambi casacca e senza centrosinistra, il centrosinistra può davvero vincere. 

È la festa della democrazia, bellezza.

Il Provinciale

(ha collaborato Molly Clauds)

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