La mission del presidente Pasquale Pazienza: “È necessario lavorare all’ossatura di base per affermare la presenza del Parco del Gargano”

by Antonella Soccio

A circa un anno dalla sua nomina ministeriale come presidente dell’Ente Parco del Gargano, l’economista ed accademico Pasquale Pazienza sta cercando, Covid permettendo, di portare una accelerazione nei processi di governance nell’organizzazione amministrativa e politica più importante della Montagna Sacra.

In un territorio da sempre litigioso e avvezzo alle recriminazioni, oltre che spesso sotto rappresentato in Regione Puglia, il Parco diventa un parafulmine per ogni atto mancato o mancato sviluppo.

Noi di bonculture abbiamo intervistato il presidente.

Professor Pazienza, quanti monopoli si è trovato a scardinare in questo suo primo anno di presidenza al Parco del Gargano? Perché gli ambientalisti che in Capitanata da 30 anni sono sempre le solite persone la accusano di autoreferenzialità? Quali incastri ha rotto in questi mesi?

Non ritengo di aver rotto monopoli. Certamente ho toccato alcuni interessi precostituiti che sono andati nel tempo a cristallizzarsi viziosamente nel segno di una tutela ambientale – per me molto discutibile – incapace di produrre risultati effettivamente utili nell’interesse generale, ma capacissima di realizzare gestioni di attività impostate sulla socializzazione dei costi e privatizzazione degli introiti. Tutto questo in barba al perseguimento di interessi generali legati alla costruzione del bene comune, che resta solamente un semplice slogan svuotato di ogni significato reale. In tal senso, la gestione dell’Oasi Lago Salso è solamente un esempio; certamente un caso scuola.

C’è l’accusa sulla bruciatura delle ramaglie, quanto la sua scelta è legata anche ad arginare l’arrivo eventuale della Xylella? Non teme che questi piccoli roghi possano innescare degli incendi? E soprattutto si possono immaginare incentivi per costituire delle piccole economie circolari in ogni azienda?

Il Parco del Gargano è un’area significativamente antropizzata. Per questa semplice ragione, esso rappresenta un territorio in cui va individuato un punto di equilibrio tra le attività umane e la tutela ambientale per renderlo oggetto di implementazione nelle politiche di gestione del territorio. Quando l’ambiente viene percepito come ostacolo piuttosto che come opportunità, il rischio di ingenerare dei meccanismi sbagliati che giungono a vedere l’ambiente come un qualcosa da abbattere, da sacrificare e non da tutelare. Questa è una premessa importante da svolgere prima di affrontare il tema dell’abbruciamento dei residui di potatura. Ho chiesto alla Regione Puglia di derogare alla norma che prevede il divieto assoluto di bruciare le ramaglie derivanti da potature dopo essermi preventivamente confrontato con esperienze tecniche e scientifiche. Queste segnalano nel Gargano il diffondersi del fenomeno dell’essiccamento delle chiome causato dalla presenza di patogeni e fitofagi, la cui distruzione non può che passare attraverso l’abbruciamento delle ramaglie. La trinciatura – tecnica agronomica indotta dal dettato normativo regionale – no risolve affatto il problema; anzi, lo incrementa dal momento che le ramaglie trinciate e lasciate sul terreno rappresentano pericolosi focolai che non possono che incrementare il fenomeno dannoso. Vi è di più. Nel tentativo, vano, di arginare il fenomeno, gli agricoltori fanno ricorso ad antiparassitari che – se vogliamo – non è certo una pratica a zero impatto ambientale. Questi aspetti li ho sottoposti all’attenzione tanto dei sindaci dei comuni della Comunità del Parco, quanto a quella dei consiglieri regionali referenti del territorio garganico per creare un adeguato livello di consapevolezza e perché ciascuno possa giocare il giusto ruolo nel modificare una norma che, evidentemente, induce a pratiche agronomiche errate da cui, per quanto ho già detto, non deriva certamente una vera e propria tutela dell’ambiente locale. L’obiettivo dell’azione avviata è quello di giungere alla produzione di un regolamento del Parco che consenta di calibrare gli interventi rispetto alle diversificate esigenze che si osservano nel territorio. Ci sono delle aree del Gargano, da cui è agevole asportare le ramaglie e destinarle ad attività di recupero (anche energetico). Ce ne sono altre (valloni ed altri tratti impervi), da cui non è possibile fare la stessa cosa – e dove risulta impossibile finanche la trinciatura; le ramaglie restano sul terreno e – per assurdo – vengono a rappresentare una condizione di ulteriore rischio per gli incendi boschivi, non risolvendo – come già detto – il problema dei parassiti.

Da anni il Parco è un coacervo di interessi e di scontri più o meno accesi tra sindaci, politica, ambientalisti, stampa imbeccata da alcune fazioni interessate, eppure la sensazione dall’esterno è che sia un patrimonio totalmente sconosciuto ai più in Italia. Cosa serve secondo lei per riportare l’attenzione sui luoghi e sulla straordinarietà del Parco?

Personalmente ho trovato un buon equilibrio tra i sindaci e i referenti politici territoriali, che è condizione fondamentale per un buon lavoro. Vero è che in 25 anni il Parco ha condotto attività che hanno prodotto risultati non ancora sufficienti a dare una sagomatura definitiva al concetto di Parco Nazionale. Ancora oggi risulta necessario lavorare alla realizzazione dell’ossatura di base per affermare la presenza del Parco (per esempio, centri visita, punti d’informazione, guide del Parco, ecc.), di infrastrutture per incrementare le modalità di fruizione dell’area interna, che vada anche a vantaggio di certe categorie produttive attive nel territorio e di un’attività di comunicazione che – senza tralasciare la dimensione locale, dove va affermata una maggiore consapevolezza e identità, sappia adeguatamente raggiungere i contesti nazionali e internazionali. Serve, inoltre, immaginare e implementare dei modelli gestionali attraverso cui valorizzare i beni ambientali e culturali esistenti nel territorio. Senza questi aspetti di base, la mission del Parco fallisce.

Il tema dei lupi è un altro grande motivo di scontro: cosa è accaduto nel Parco? Sappiamo quanti sono oggi i lupi presenti? Che idea avete per difendere le greggi e per preservare questa specie tornata fortemente protagonista da noi?

C’è una delibera sul tema, come mai non è stata ancora attuata? 

Stando ai dati che mi sono stati trasmessi dalle funzioni tecniche del Parco, il lupo c’è, ma si parla di un numero limitato di branchi. Ciononostante, questo è un tema da attenzionare per assicurarne una corretta gestione pur non rientrando – com’è bene sottolineare – tra le attività di diretta gestione dei Parchi essendo di competenza nazionale. L’Ente Parco si è fatto parte responsabile di un fenomeno parallelo – e sicuramente molto più dannoso del lupo stando a quanto riferito dai tecnici – ossia di quello rappresentato dall’exploit degli attacchi alle greggi da parte di ibridi, ovvero di cani inselvatichiti. Nell’ultimo Consiglio direttivo del 5 giugno, l’Ente Parco ha deliberato su mia proposta l’adozione di linee guida per contrastare il fenomeno del randagismo, da cui prende forma il problema dell’ibridazione tra cane e lupo. Confidiamo di partire con le attività del caso appena dopo la stagione estiva per tentare di arginare un fenomeno che ingenera non pochi danni particolarmente agli allevatori del nostro territorio.

A proposito di zootecnica, il Parco è anche uno scrigno di prodotti tipici, si può riportare in auge il brand Parco del Gargano? Pensa ad un consorzio sul modello del Parmigiano?

Nel breve periodo l’Ente Parco promuoverà la riorganizzazione del regolamento sull’uso del marchio del Parco andando finanche a prevedere la realizzazione di disciplinari di produzione, che dovrebbero agevolare la standardizzazione di alcune produzioni tipiche e agevolare l’aggregazione tra produttori. Naturalmente, la possibilità di aggregare l’offerta è un fatto che deriva da un atteggiamento culturale degli operatori. Negli anni passati sembra che ciò non sia riuscito. Nulla esclude che oggi, a distanza di tempo, ciò possa essere fatto con maggiore consapevolezza. In questo il Parco proverà a fare la sua parte.

Cammini, ciclovie, acquedotti rurali, a che punto siete e dove investirete?

Il Parco sta lavorando alla riorganizzazione del tema dei sentieri. I sentieri sono numerosissimi nell’area ed è necessario procedere all’individuazione di uno specifico insieme che l’Ente Parco deve rendere oggetto di una particolare attenzione sia per quanto attiene all’attività di sistemazione e manutenzione, sia per quella di promozione. Per questa finalità, ho già chiesto alle funzioni dell’Ente Parco di strutturare una serie di convenzione – prima tra tutte con l’ARIF – proprio per andare a gestire questo importante tema nella maniera più adeguata. Rispetto al problema della disponibilità di risorse idriche – che affligge particolarmente gli allevamenti dell’area – l’Ente Parco ha chiesto alle funzioni tecniche regionali di attivare tavolo ad hoc attorno al quale chiamare non solo l’Ente Parco, ma anche il Consorzio di Bonifica Montana del Gargano (col quale c’è un dialogo positivo) e – come spero a partire dalla prossima seduta – l’Acquedotto Pugliese. Sono certo che detto tavolo saprà produrre delle risposte utili nel medio periodo. Nel frattempo, per tamponare la crisi idrica che già caratterizza numerose aziende di allevamento del Gargano – l’Ente Parco ha stanziato un budget e ha messo in capo un’operatività per agevolare l’approvvigionamento idrico delle aziende in questo anno particolarmente siccitoso.

Il grosso tema della superstrada veloce: lei si è detto favorevole alla realizzazione che va a tagliare un lembo interno del Parco da Vico fino a Vieste, però stando ai piani della vecchia Comunità Montana ci sarebbe un progetto che amplierebbe semplicemente la attuale arteria interna che da Kalena va poi a Vieste, facendo solo un taglio nella montagna che da Vico scende a San Menaio. Non sarebbe più sostenibile, anche economicamente oltre che a livello ambientale?

Resto convinto che lo sviluppo socio-economico del territorio sia fortemente legato alla sua accessibilità. Esonerandomi da una disquisizione dettagliata sugli assi stradali, che lascerei agli ambienti tecnici, sono certo che lo sviluppo infrastrutturale sia una variabile imprescindibile per assicurare un percorso di sviluppo socio-economico del territorio garganico. Inoltre, sono convinto che le compensazioni ambientali associate alla realizzazione di grandi opere e lo sviluppo tecnologico offrano una serie di opportunità per diminuire al minimo gli impatti ambientali. Gli interventi osservabili in altre aree del nostro Paese Italia e della nostra Europa ci mostrano vividamente quanto appena affermato. Ancora una volta, il gioco diventa quello di individuare il giusto equilibrio tra tutela dell’ambiente e attività umana.

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