La storia di Michela, che ha trovato a Parcocittà la sua “seconda famiglia”

by Antonella Soccio

Forse è perché quella che è rimasta in me è particolarmente lieta, forse perché, se pure alcunché di doloroso e di violento è passato nella mia vita tranquilla, io ho vissuto questa vita intensamente, godendo quasi della mia stessa sofferenza, esultante per la gioia di poter vivere dentro di me…

Antonia Pozzi

“Per me esiste solo Parcocittà, è una seconda famiglia. Mi dispiacerebbe se chiudesse, la mia giornata tornerebbe ad essere solo fare i servizi in casa”.

Michela Biancardino è tra le oltre 3200 persone della società civile, che hanno firmato la petizione “Salviamo Parcocittà” a Foggia, che mira ad un rinnovo automatico della convenzione col Comune di Foggia, in scadenza il prossimo autunno. Da un po’ indossa sempre la maglietta logata, che le ha stampato suo padre.

Per lei Parcocittà, conosciuto nel 2017 ad una manifestazione podistica femminista, rappresenta oggi il suo spazio vitale, il perimetro emotivo che la protegge e la emancipa da un quotidiano troppo grande e a tratti angosciante per la sua ripetitività. Il presidio di legalità e socialità dentro il parco urbano cittadino è la ragione del suo entusiasmo mattutino, un motivo di impegno e di relazioni amicali mai avute prima, almeno in maniera così intensa e continuativa.

“Ho una disabilità dalla nascita, sono inabile al lavoro- racconta Michela a bonculture- Qui a Parcocittà faccio varie attività, abito al Candelaro. Prima non venivo quasi mai al Parco San Felice, conoscevo il posto com’era prima, abbandonato. Ho incominciato a venire dopo una manifestazione, Correre Donna. Era maggio 2017. Da allora vengo tutti i giorni, prima frequentavo un’altra associazione, Le Ragioni del Cuore, qui faccio ballo, ginnastica posturale, teatro, aiuto gli operatori. Ho partecipato anche ai corsi di yoga della risata”.

“Qui sto abbastanza bene, sto dalla mattina. Nessuno dice che sono pazza, altrove mi prendono in giro. Mi prendevano in giro anche a scuola, ho fatto fino al secondo superiore al Notarangelo. Sono cardiopatica e ho una lesione cerebrale, mi fecero un intervento a 3 mesi dalla nascita. Qui sto bene, non voglio che chiudano Parcocittà, ho firmato anche la petizione su facebook”.

Come cambierebbe la tua vita senza Parcocittà? Non ci sono altre realtà a Foggia dove potresti andare?

“Sì, ci sono, ma qui fanno più attività e non sono tutti disabili”.

Nella sua risposta in un lampo si intravedono trattati di psichiatria e di riabilitazione psicosociale. Michela, con i suoi 33 anni e la sua eterna bella adolescenza, illumina pagine e pagine di Eugenio Borgna. Trascorrere del tempo e vivere vicino agli spazi verdi migliora la salute mentale, si soffre meno di depressione, ansia e stress, ma è nella relazione tra diversi, nella mescolanza casuale tra esistenze, sicurezze e fragilità, che l’anima si cura e che le dinamiche di vita si arricchiscono.

Con quante persone nuove hai fatto amicizia frequentando Parcocittà?

“Non lo so, parecchie, penso almeno una trentina. Io sono stata un po’ chiusa, 3 anni fa è morta mia madre. Il 24 luglio fa 3 anni. Sono stata quasi depressa. Certe volte mi alzo con la sola voglia di venire a Parcocittà, sarebbe un po’ brutto per me se chiudesse, la mia giornata sarebbe solo stare in casa e fare la spesa. Vivo con mio padre e mia sorella che fa l’Oss. Altre due mie sorelle vivono a Rimini. Mio padre è ancora triste, frequenta le attività culturali, viene al cinema all’aperto. Mia sorella invece mi sfotte, dice che penso sempre a Parcocittà, ma per me esiste solo questo posto, mi ha cambiato la giornata”.

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