“Loro sono fifì, noi grezzi, ma abbiamo vinto”. Scacco alle èlite nella Foggia di Landella

by Antonella Soccio

Processo alle élite, una condanna inappellabile. L’establishment è sotto scacco. Se n’è parlato diffusamente a Bologna nel format della Repubblica delle Idee, con Massimo Giannini e Alessandro Baricco. La sentenza di condanna delle élite ha senza dubbio e senza appello trascinato anche il candidato sindaco del centrosinistra a Foggia Pippo Cavaliere, esponente della società civile, già presidente della Fondazione Antiusura Buon Samaritano e massimo rappresentante della comunità professionale e filantropica della città.

“Loro sono fifì noi siamo grezzi, ma abbiamo vinto”, diceva una donna del popolo durante i coloriti festeggiamenti da curva al comitato di Franco Landella nella notte della vittoria del centrodestra.

Si ripete da un po’ di tempo, dopo Trump e la Brexit, che sia saltato un patto tra le élite e la gente, per una mancanza di fiducia del popolo nei confronti delle élite. Del resto le élite sbagliano sistematicamente tutto, perché non pongono le condizioni minime per un dialogo vero con le classi subalterne.

La redistribuzione della ricchezza non è ingiusta o rovinosa, ma grottesca. “Il centrosinistra è caratterizzato da un pensiero morbido, un pensiero unico, ma la sinistra nasce per dire cose scomode, oggi invece dice cose comodissime. Occorre pensare spinoso per vincere di nuovo. Se continuiamo a rotolare in pensieri rotondi, senza diventare qualcosa di nuovo, non creeremo alternative. La sinistra deve tornare a rappresentare i perdenti e non i vincenti. Ma siamo lontanissimi dal fare questo”, ha detto Baricco a Bologna.

Parole che sono ricalcabili parimenti a Foggia. Nonostante l’arrivo di tutti i sindaci pugliesi insieme a Michele Emiliano, Pippo Cavaliere è stato percepito dal popolo come altro da sé, l’esponente di una élite chiusa, distante.

Ci sono almeno tre immagini del sindaco Franco Landella che hanno disegnato perfettamente la sua identificazione col popolo in questa campagna elettorale. Il suo populismo è tanto vero da apparire quasi un fake iperreale.

La prima è quella accanto ad un vecchietto di 90 anni, sdentato, per citare il famoso appellativo dispregiativo usato dall’ex presidente socialista francese Hollande per indicare i poveri.

In quella immagine il sindaco di Foggia con la sua umanità stringe e porta con sé tutti gli anziani che non possono permettersi non solo la dentiera, ma anche il tempo libero e sicuro delle case di cura e di riposo, tutti quegli anziani che vivono con autenticità la propria senilità, come hanno sempre fatto i padri della tradizione contadina e bracciantile del Tavoliere.

La seconda immagine è ancora più forte e dirompente. Il sindaco uscente abbraccia una donna nella sua cucina nuova nell’alloggio che gli è stato consegnato mesi prima. In quell’abbraccio profondissimo è racchiusa l’assimilazione, la coincidenza con i valori primari del vivere. Il diritto alla casa.

La terza invece è stata diffusa rovinosamente proprio da un candidato consigliere del centrosinistra, che ha ripescato un video di un festino in barca a Panarea in cui il sindaco uscente, come l’ultimo degli epigoni dei comici Pio&Amedeo, in costume e con occhiali da sole trash balla in maniera scomposta della musica disco. Il breve video è stato affiancato ad uno stoico Pippo Cavaliere etico ed epico con la mano sul petto.

Posto che tutti possono divertirsi e chiunque può ballare nel suo privato in costume (quindi dov’è la vergogna nell’atto del ballo?), quell’immagine ha aizzato l’odio sociale di quanti si riconoscono nel foggiano medio magari non elegantissimo, ma vitale. Vivo e vero. Dall’altro lato, invece, Pippo Cavaliere ha diffuso, nell’ultima notte prima del voto, una foto insieme all’europarlamentare del M5S Mario Furore ad una esclusiva festa del Tennis Club, confermando l’idea di separatezza, chiusura e privilegio dell’élite.

“L’aspirazione alle cariche civili comporta due tipi d’attività; l’uno consiste nell’assicurarsi la benevolenza degli amici, l’altro nell’assicurarsi il favore popolare”, scrive Cicerone nel Commentariolum petitionis, il manualetto di campagna elettorale che ogni candidato dovrebbe mandare a memoria. Preoccupandosi più dei portatori di voto che degli elettori, Cavaliere ha dimenticato il popolo, non tentando neppure di connettersi con quei ceti a lui sconosciuti.

Solo una volta smontato l’assunto per cui la colpa sia dell’ignoranza e dell’incuria, il centrosinistra potrà ricominciare a ragionare e a conoscere le periferie, a riconquistare le classi popolari. Ma deve liberarsi del giudizio, della supponenza e anche in parte dell’assenza di cuore, che ormai caratterizza questa parte politica. Uno spacciatore, un giovane a rischio devianza, un delinquente contiguo alla Quarta Mafia non ha diritto ad essere “redento” e conquistato sulla via della politica? Sarebbe banale citare Pasolini e non lo faremo.

Come osserva Marco Revelli, oggi la fabbrica della mentalità si decentra, si periferizza, secondo dinamiche centrifughe: il laboratorio genetico dei comportamenti migra secondo direttrici reticolari. Sentimenti, passioni, schemi di giudizio, immagini del sé e dell’altro, l’intero patrimonio antropologico culturale che era stato manipolato geneticamente nel grande ciclo della vita vissuta, nell’ambito delle relazioni face to face, nella rete di rapporti di prossimità si è sgretolato. Recupera la foresta puntiforme della territorialità.

“È questa la fibrillazione dei margini: quel fenomeno per cui le grandi scosse, le sfide agli assetti politici, le rotture di equilibro nelle complesse società occidentali non vengono più dai centri sempre meno storici e sempre più deserti di vita umana delle aree metropolitane, ma dalle periferie. Le sfide vengono ormai lanciate da lì. Nel bene qualche volta: con la richiesta di un progetto di vita diverso, il bisogno di una riumanizzazione dei rapporti devastati dalla velocità dei flussi e dal loro impatto sui luoghi, una rinnovata domanda di senso contro l’insensatezza del mero accelerare. Più spesso nel male: concretizzandosi quello che semplificando si chiama populismo e che risponde a uno schema centro/periferia rinvenibile un po’ ovunque”.

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