Oltre la paura del buio

by redazione

E ora? Da che parte si ricomincia? E con chi?

Esiste la forza per rialzarsi e riprendere il cammino?

Al momento, la sola cosa che non sfugge è perché ci troviamo al punto in cui siamo!

Ne parlo con tristezza e profondo rispetto davanti al dolore sordo, persistente ed acuto che si è insediato dentro l’anima della gente di Foggia, come predestinata a prendere quel pugno nello stomaco arrivato nel pieno di quest’estate torrida che ha segnato lo scioglimento della sua casa comunale per infiltrazioni mafiose.

Chiusa con il marchio più infamante, una macchia terribile su quel Gonfalone insignito di medaglie d’oro per tutto il sangue versato dalla popolazione negli ultimi eventi bellici.

Una vergogna certificata, messa nero su bianco, che spazza via qualunque dietrologia ed ogni tentativo mirato a dare un senso diverso da quello che le carte descrivono, con dettagli inquietanti.

Un racconto che viene da lontano, almeno dal 2014 scrivono dal Viminale e cioè da quando Franco Landella sale trionfante lo scalone di Palazzo di Città.

Oggi è acclarato che sono stati sette anni molto bui, tra loschi traffici di soldi e affari, bugie, colpi di mano portati a segno da un reggimento privo di scrupoli, che agiva come una feroce truppa di lanzichenecchi di manzoniana memoria, perché la sua azione si è rivelata crudele e violenta verso la Città e i suoi abitanti che avevano dato loro fiducia, consegnando le chiavi del suo luogo più sacro.

Trovo che ricordare questo lungo tempo appena trascorso serva però ora a ben poco se non a rinnovare quel senso di pena che travolge non solo la coscienza sporca di chi ha scelto di sguazzare nella melma ma anche di chi sapeva e taceva, guardava e non parlava.

Un elenco di soggetti mica breve quello ricomposto da chi ha indagato sui fatti del palazzo crollato su se stesso.

Adesso credo che per guardare avanti verso una strada che si presenta già tutta in salita, sia necessario vedere le cose come sono, senza nascondersi dietro parole di circostanza, magari cercando di spingere la vista anche laddove, sino a ieri, sembrava impossibile che si potessero insinuare astuzie volpine e la destrezza della mano lesta di figuri senza alcun dubbio raccapriccianti.

Può forse tornare utile quindi un’analisi serena, fredda, lucida, che più volte ho cercato di compiere nel recente passato, pur consapevole dei limiti che mi appartengono.

Allora stiamo ai fatti che questa brutta storia ci consegna.

La classe politica cittadina che ha espresso il centrodestra in questi anni porta la grande colpa di non aver compreso l’errore di alcune scelte, prima tra tutte quella di aver fatto eleggere un primo cittadino incapace di reggere il ruolo. Raffaele Fitto, politico di lungo corso,  lo diceva ma rimase inascoltato.

Per me tutto nasce da quella scelta inidonea, perché Franco Landella, lungi dal voler qui elencare i suoi limiti culturali e politici, sì rivelò da subito un uomo divisivo, spesso preda di deliranti forme di onnipotenza che poi, come si è visto, lo hanno inesorabilmente condotto alla sua fine politica, direi anche parecchio dolorosa sul piano personale e familiare, aspetto sul quale non dirò altro perché la carità cristiana insegna che non bisogna mai compiacersi delle amare vicissitudini altrui.

Franco Galasso diceva sempre “ quanto più alti sono gli scranni, più rovinose saranno le cadute”.

E così è stato per il sindaco di Foggia, capitolato come un meteorite su se stesso.

Certo, ragionando con il senno del poi, immagino che se il centrodestra avesse scelto due anni fa di candidare al suo posto Luigi Miranda, uscito soccombente dalle ultime primarie del centrodestra, le cose avrebbero potuto anche avere un epilogo molto diverso.

E invece no, già sette anni prima un centrodestra arruffone e spampanato scelse senza troppe remore Landella che vinse la partita contro Augusto Marasco, stimato professionista, grazie all’aiuto di frange socialiste messe in piedi all’ultimo momento da Pino Lonigro.

Lo abbiamo forse dimenticato ?

Bisogna avere sempre memoria di alcuni singolari capolavori in cui mestieranti della politica trovano sempre gioco facile.

Cinque anni dopo quel centrodestra rinnova la sua miopia in maniera stupefacente, ricandidando Landella che sconfigge Pippo Cavaliere in una partita tanto aspra quanto sporca, come i fatti oggi dimostrano.

Eppure, quel settennato strombazzante del centrodestra è stato divorato da Landella che, giorno dopo giorno, lo ha sfibrato, lacerato, disperdendo un consenso che la città aveva comunque riconosciuto, pur tra ombre, sotterfugi e qualche imboscata da manuale.

In vero, anche il centrosinistra non è parso in tutto questo tempo all’altezza del compito. Troppo amorfa e protocollare la sua azione non sempre consegnata al ruolo.

Spiace dirlo, ma penso sia la verità, perché in sette anni una vera opposizione, ferma ed intransigente, avrebbe incassato ben altri risultati rispetto a quelli registrati, senza dimenticare che Landella lascia il palazzo solo sotto l’incalzare delle inchieste che lo porteranno all’arresto.

Ecco dunque il fallimento della politica di tutte le paste e di tutti colori.

Il resto è il naturale prodotto del collasso dei centri decisori che ,da destra a manca, promuovono liste per un Consiglio Comunale, appunto quello decapitato, tra i peggiori che la storia politica cittadina abbia mai annoverato.

Scarsissima la sua qualità culturale, con molti consiglieri sconosciuti persino all’erario, parecchi faccendieri in libera uscita, senza parlare poi delle buone maniere viste all’opera, uno scempio indicibile quello andato in scena nell’aula.

Ne consegue, almeno a mio modo di vedere i fatti, che tutta la politica ha la responsabilità, fatte salve le dovute ed in vero rare eccezioni, di aver promosso, dalla destra alla sinistra e passando anche attraverso il centro a me sempre caro, un consiglio comunale di infimo livello, in buona parte inguardabile.

Credo quindi si possa convenire con un buon margine di certezza che quando poi le cose hanno imboccato la strada che portava al precipizio, è toccato ad altri poteri, ad altri palazzi intervenire e farsi carico di una responsabilità collettiva e fronteggiare così l’inadeguatezza dilagante che la politica ha manifestato con quella sua palmare incapacità di intuire quel che stava accadendo, una colpa gravissima che trova scarse attenuanti nella lettura sequenziale degli eventi.

Senza voler esprimere giudizi affrettati, sono più che convinto che il prefetto Raffaele Grassi e la squadra guidata dal Procuratore Capo della Repubblica Ludovico Vaccaro non avevano altra scelta nel momento in cui hanno dovuto assumere provvedimenti dolorosi ma doverosi.

La celebrazione della politica come valore, intesa come la pratica in grado di realizzare nel tessuto collettivo giustizia sociale, armoniosa convivenza, era diventata un ingombrante orpello, un vago ricordo, mentre già riecheggiavano nella piazza come tuoni i versi danteschi dell’incontro del sommo poeta con gli inquilini dei gironi infernali, avari, prodighi, insieme ai peggiori peccatori che avvelenano la vita di una comunità, rei della loro solar cupidigia.

È comprensibile adesso come non sarà certo facile ricostruire una trama , rimettere in piedi quel senso di appartenenza disperso in una città che cammina senza se stessa e che oggi rivela una voragine culturale che ha lasciato il danno più grave consumato dalla barbarie che Foggia ha subito.

E tuttavia Il compito della politica oggi,per quanto arduo, dovrà comunque trovare l’energia necessaria per riproporsi, rinnovarsi, aprirsi seriamente al cuore della città senza ripercorrere le liturgie di un tempo, ormai logore ma ancora purtroppo attive negli improbabili apparati partitocratici che residuano nelle macerie sul campo.

Senza mezzi termini, credo che la guida di tutte le formazioni politiche debba essere archiviata per lasciare spazio ad una

nuova generazione di donne e di uomini.

Lo penso perché le circostanze dettate dai fatti impongono, questo il punto, una lunga, meditata riflessione, quasi una rieducazione sentimentale e spirituale per immaginare un tempo in cui Foggia possa essere restituita ai suoi abitanti e sottratta a un ceto dominante che ha fallito,mostrando un volto che non portava i segni dell’amore per la propria città.

Questo tempo c’è adesso. E a pensarci bene è un tempo né breve né lungo perché diciotto mesi sono poca cosa rispetto all’obiettivo morale di rinascere e allontanare le angosce di una città che vuole, deve tornare a vivere una condizione di concordia civile che schiuda gli occhi in un domani più libero e più giusto.

Del resto, Il primato della politica non può essere messo in discussione dalle scorribande di personaggi che solo un incidente della storia poteva condurre a rivestire le funzioni di guida di una comunità, calpestata, offesa e umiliata.

Quel che è accaduto deve servire dunque da lezione a tutti, senza dimenticare che non si fa mai così bene il male come quando lo si persegue scientemente.

Ovviamente, l’arrivo nel Palazzo dei Commissari non potrà neanche significare che la Città si fermi. Ci mancherebbe anche questo !

Sarebbe un danno ulteriore che i foggiani non meritano anche perché le gestioni commissariali impongono massima attenzione non tanto all’ordinaria amministrazione, ma a tutto ciò che si è fermato o non si è fatto perché non piaceva ai padroni di un vapore andato in fumo.

D’altro canto, a cosa servirebbe pagare lautamente alti dirigenti, funzionari e prefetti a riposo se la vita di una città deve bloccarsi? Sarebbe un assurdo, come fare il male in nome del bene perché al danno si aggiungerebbe la beffa.

Ecco quindi l’urgente dovere morale per le istituzioni di ritrovarsi, stringere un patto intorno ad un vero programma di rinascita e di riscatto come in maniera ferma e tenace invoca Carla Costantino, sensibile voce del sindacato.

Prendere piena coscienza, insomma, pur con amarezza, di uno stato di cose parecchio compromesso è il primo dovere da compiere, anche perché il panorama politico circostante assume contorni ancora più complessi e problematici se lo sguardo si allarga intorno alla città capoluogo, dove le recenti storie di Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola, tutte toccate dal medesimo destino di Foggia, descrivono un’orizzonte che ancora può risentire della paura del male oscuro.

Ricostruire le città dei diritti, a cominciare da Foggia, credere di poter ancora sognare,

liberare l’entusiasmo represso dei nostri giovani è allora quel che serve per andare oltre il buio e rifiutare la morte civile.

L’assuefazione, i compromessi, le carriere spericolate di alcuni personaggi rimasti vittima di una smodata ambizione devono essere messe al bando.

Perché a ben vedere resta ben poco da salvare in quella che un tempo era la grande pentapoli, compreso un ente come Palazzo Dogana, sospeso a metà tra l’essere e il non essere, con quella guida inespressiva, impercettibile e burocratica.

La politica, il servizio alla comunità richiede ben altro.

Bisogna dirle queste cose, soprattutto dopo tanta sofferenza.

Perché solo il dolore insegna a prendersi cura di sé.

  Micky dè Finis 

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