“La Capitanata è una terra che sa apprezzare chi ha il coraggio di mettersi in gioco”. Annamaria Fallucchi e la “voglia di cambiare” con Fitto

by Antonella Soccio

“Io sono Anna” della candidata fittiana Annamaria Fallucchi è stato forse in Capitanata il claim elettorale più penetrante in una campagna anomala, perseguita tutta tra piccoli gruppi, senza la possibilità di grandi adunate per le note restrizioni anti Covid.

L’imprenditrice turistica e culturale, originaria di San Nicandro Garganico, amica personale sin da ragazzina del candidato presidente del centrodestra Raffaele Fitto e titolare del country resort Don Nunzio e Cavallo a pochi passi dal Lago di Varano, ha suscitato l’interesse di tanta classe dirigente della provincia di Foggia, insinuandosi anche nei pacchetti di voto tradizionali dei partiti e in quel civismo che nella Puglia Nord ha voltato le spalle al governatore Michele Emiliano, premiato 5 anni fa dal consenso importante della lista Emiliano sindaco di Puglia.

Oggi Annamaria Fallucchi appare per molti la donna da battere nel centrodestra. E non soltanto nella lista del pumo.

Noi di bonculture l’abbiamo intervistata.

La sua, Anna, è stata finora una campagna elettorale molto mobile sul territorio. Ha girato e sta girando in lungo e in largo incontrando operatori, esperienze, imprese. Cosa ha scoperto che non conosceva?

Annamaria Fallucchi e la scommessa C’è sempre molto da conoscere e da scoprire quando si intraprende un viaggio e se si decide di farlo non da turista ma da viaggiatrice, c’è solo da prendere tanti appunti. Le occasioni offerte da una campagna elettorale, condotta così come ho deciso di presentarmi “io sono Anna” e come la sto curando, sono a volte inaspettate. Gli spunti per apprendere ed arricchirmi sono stati tantissimi. Cosa ho scoperto? È una terra che sa apprezzare chi ha il coraggio di mettersi in gioco, in ogni campo. È una terra assetata di chi non fa promesse ma, con il suo operare, ogni giorno fa qualcosa, anche piccola, per gli altri. Ho scoperto che le donne sanno fare squadra e sostenersi, che c’è voglia di cambiare e crescere.

Con il suo cineteatro conosce bene i problemi che i piccoli centri attraversano per le politiche culturali. Questo segmento è stato forse quello che più si è rafforzato nei 15 anni del centrosinistra di Vendola ed Emiliano. Ritiene che un eventuale governo Fitto deve lavorare in continuità? Cosa può fare di più e meglio? Che giudizio dà delle varie agenzie e consorzi regionali (Puglia Promozione, AFC, TPP, Puglia Sounds)?

Sono dell’idea che se c’è qualcosa di buono che è stato realizzato non debba essere accantonato ma, certamente, migliorato e aggiornato rispondendo alle nuove esigenze degli attori sia pubblici che privati. Allo stesso modo, però, posso dire che alcuni investimenti in infrastrutture culturali, non sono stati efficaci o, almeno, lungimiranti. Ad esempio, in Puglia, sono stati investiti ben 120 milioni di euro per la realizzazione delle Community Library. La spesa è stata quintuplicata rispetto ai primi 20 milioni di euro programmati.

A Foggia, se non ricordo male, ne sono state finanziate quattro. Fermo restando che chi ha avuto accesso ai finanziamenti ora dispone di un nuovo presidio culturale da far fruire alla città, credo non sia opportuno né corretto integrare le risorse in modo così cospicuo anche perché, di fatto, si mortifica la leale competizione e, quindi, si abbassa l’asticella della qualità delle proposte. Ma, questo schema è stato usato anche per altri avvisi e spesso è stato letto come strumento utile al consenso elettorale. Questo, secondo me, non dovrà più accadere.

In merito alle Agenzie regionali. Come sostiene Raffaele Fitto, ed io condivido, si tratta di “macchine burocratiche” parallele, serbatoi di consenso. A mio avviso bisognerebbe rivederne la governance, snellendola, valutare le performance dell’operatività delle Agenzie sull’intero territorio regionale, limitare la capacità di gestione della spesa ed evitare che il pubblico si sostituisca al ruolo dei privati.

Lei è tra le pochissime imprenditrici che ha realizzato sul Gargano quel tipo di accoglienza che fa grandi la Valle d’Itria e il Salento di Fitto agli occhi dei turisti internazionali. Cosa è mancato finora al Gargano? Ci sono dei limiti interni o è stata la scarsa rappresentanza a rendere debole la Montagna Sacra a Bari?

Credo che sia mancata una strategia complessiva. Quando parliamo di Gargano immediatamente pensiamo al mare, al turismo, seppur ancora legato ai ritmi delle stagioni. Ma il Gargano non è una terra a se, è parte integrante ed importante dell’Area Vasta di Capitanata, che vive un deciso invecchiamento della popolazione ed un progressivo abbandono da parte dei più giovani. È da qui che si deve partire. Bisogna lavorare su un progetto complessivo di sviluppo territoriale strategico e perché no focalizzare sulla filiera turistica e culturale. Strano ma vero oggi dovremmo essere pronti a cogliere l’occasione del cosiddetto south working post pandemia ma prima dobbiamo dotarci di un’infrastruttura digitale adeguata. Dovremmo essere pronti a cogliere la nuova filosofia del vivere sano nei piccoli borghi ma dovremmo offrire servizi adeguati. Credo, quindi, che non si debba andare in ordine sparso, coprendo malamente i buchi di uno sviluppo che ancora oggi stenta e concentrarsi su un piano integrato che consenta ai cittadini di avere una buona qualità della vita ed ai nostri ospiti di conservare un buon ricordo per ritornare. Si potrebbe partire, già dai prossimi mesi, da una proposta di alta formazione in destination management.

Sta ricevendo il forte supporto del mondo agricolo in questa campagna. Ha una stima delle perdite reali della mancata erogazione dei fondi del PSR? Qual è la cosa che più lamentano gli agricoltori?

Le vicende collegate alla pessima gestione del Piano di Sviluppo Rurale, i mancati investimenti nel settore agricolo sono ben noti a tutti e, soprattutto, a chi li vive sulla propria pelle, nelle aziende. Le perdite sono ingenti e sono una testimone diretta dei danni provocati: indebitamento delle imprese a fronte di mancate erogazioni su investimenti proposti ed ammessi. Ma voglio fare anche un altro esempio. La misura 1.1 riferita alla formazione. I progetti sono stati presentati, le graduatorie hanno accumulato ritardi spaventosi, la procedura è stata a dir poco farraginosa e, ad oggi, sono davvero pochi gli imprenditori ed i lavoratori agricoli che ne hanno beneficiato. È così che si può stare al passo con l’innovazione e l’uso appropriato delle tecnologie producendo, ad esempio, un cospicuo risparmio delle risorse idriche? Non credo proprio perché il tempo è una variabile da non sottovalutare. Ma lei mi chiede cosa lamentano gli agricoltori. Tre punti: le carenze strutturali della viabilità, il contrasto, sempre più difficile, all’ingerenza prepotente della criminalità nelle campagne, la disponibilità delle indispensabili risorse idriche.

Che idea si è fatta della tematica del caporalato e che pensa delle iniziative di Emiliano nelle varie foresterie pugliesi?

Il caporalato è una piaga che si può e si deve estirpare oltre che con i controlli, le sanzioni e quanto previsto dalla legge nazionale, con una minuziosa operazione culturale. Non conforta sapere che non è più un fenomeno che s’annida nel Sud, in Puglia ma urge trovare soluzioni non temporanee ma strutturali. Quali, mi chiederà? Un patto tra agricoltori e potenziali lavoratori, L’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro sono un reato penale che implica anche minacce, intimidazioni, l’approfittarsi dello stato di bisogno. Sono stata molto colpita, durante il lockdown, dalla risposta di migliaia di persone alla domanda di manodopera. Ecco, bisogna utilizzare la rete, internet, anche per questo. Bisogna ristabilire una relazione diretta imprenditore-lavoratore ed eliminare, di fatto, il ruolo del caporale. Non è facile, certo, ma bisogna spingere in questa direzione oltre che attingere alle banche dati dei centri per l’impiego.

Fitto alla presentazione della lista del pumo ha parlato dell’assenza ormai più che decennale delle infrastrutture in Capitanata. In una scala di priorità quali sono secondo lei le tre grandi opere non più differibili?

Infrastruttura digitale, anche con il ricorso al 5G;

Miglioramento ed adeguamento dell’infrastruttura viaria interna

Alta velocità e raddoppio della linea ferroviaria adriatica ma, anche, la diga di Piano dei Limiti e il completamento della strada a scorrimento veloce del Gargano.

Il Gino Lisa è stato una grande battaglia di suo marito quando era presidente della Camera di Commercio. Con Fitto presidente si riuscirà a spostare il baricentro di Aeroporti di Puglia e se sì che idea ha in mente per lo scalo foggiano?

L’aeroporto di Foggia, se e quando in funzione, servirà un bacino territoriale molto esteso e potrà essere – al di là della sua destinazione quale base regionale della protezione civile – a supporto dell’economia locale. Il Gino Lisa si inserisce a pieno titolo nella rete di Aeroporti di Puglia che, come tutto il trasporto aereo, sta vivendo un momento di difficoltà. Credo che sia da tenere in considerazione la riflessione del Comitato Vola Gino Lisa sulla Remote Tower ma quel che più preme è la capacità di collegare velocemente Foggia almeno al resto d’Italia.

Infine il Gargano e quel brand che ancora manca. Cos’è per lei il promontorio e come lo promuoverebbe?

Il Gargano è la terra dove sono nata, è la mia terra, mi appartiene. L’autenticità del territorio è gustare un pezzetto di caciocavallo podolico, guardare un tramonto che illumina le isole Tremiti, annusare sulle dita la fragranza dell’origano, toccare la terra camminando sui sentieri della Foresta Umbra e passeggiando sul bagnasciuga delle baie, ascoltare il fruscio dei rami degli ulivi. Cinque sensi che creano una connessione intima con il territorio. Ognuno di noi, ogni giorno, la elabora diversamente, cogliendo le sfumature. È questo il vero brand del Gargano, la sua semplice complessità. Come lo promuoverei? Così come ho iniziato a fare.

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