L’ésprit florentin e il derby mediceo-estense: una partita da tripla

by Enrico Ciccarelli

Esprit florentin, “spirito fiorentino”. Così i Francesi chiamano l’attitudine spregiudicata, intelligente e cinica, l’abilità nel destreggiarsi e nel dissimulare, il muoversi fra congiure e ricatti e sicari nell’ombra attribuito alla Firenze rinascimentale di Lorenzo il Magnifico e Nicolò Machiavelli. Proprio intelligenza e spregiudicatezza fecero guadagnare al grandissimo François Mitterrand, storico presidente della Repubblica, il soprannome di Le Florentin, il fiorentino.

Di ésprit florentin è piena la cronaca politica italiana di questi giorni. Come sapete, dopo le dimissioni dei tre esponenti di Italia Viva e la fatwa emessa dai vertici del Pd nei confronti di Renzi, si cercano puntelli al Governo, che ha carenza di voti soprattutto a Palazzo Madama, al Senato.

Anche se adesso si propongono discutibili subordinate, è vitale per Giuseppe Conte raggiungere quota 161, ossia la maggioranza assoluta, la sola che permetterebbe al presidente del Consiglio di restare in carica con questo Esecutivo, perché dimostrerebbe al presidente della Repubblica di avere una maggioranza in Parlamento non costretta a ricorrere costantemente ad aiutini esterni. 

Al momento, stando ai bene informati questi 161 voti non ci sono: c’è chi dice ne manchino cinque, chi di più. Che si stanno cercando con i metodi e gli strumenti che appartengono da quasi centocinquant’anni alla vita parlamentare italiana, mettendo insieme calcoli politici, ambizioni, convenienze, istinto di sopravvivenza. Non mi lancerò nelle nomenclature: chi vuole li chiami costruttori o responsabili, chi preferisce li chiami voltagabbana. Il giorno in cui la parola “tradimento” uscirà dal lessico della politica sarà per me un bel giorno. Per quanto mi riguarda sono solo parlamentari della Repubblica che, al pari di tutti gli altri, svolgono il loro incarico nell’ambito della Costituzione e della legge.

La partita è appassionante e aperta ad ogni risultato: perché da un lato c’è un fiorentino doc, Matteo Renzi a cui è difficile negare una grande abilità tattica e una notevole capacità di sparigliare giochi apparentemente già fatti. Ma dall’altra c’è un navigato conoscitore delle tecniche parlamentari, il ferrarese Dario Franceschini. Due rivali che non si sono mai amati, ma conoscono l’uno il valore dell’altro. Come finirà il derby fra gli Este e i Medici? Fidatevi, è una partita da tripla. E si potrà capire come è finita solo allo scadere del recupero.

Però, dato al gossip quel che è del gossip, e tifando per la squadra che si preferisce (io per Renzi, penso che diversi fra voi per Franceschini, altri ancora per nessuno dei due), sarebbe il caso di distinguere l’intrattenimento dalla sostanza. E la sostanza è, secondo il mio discutibile punto di vista, che ci meriteremmo, che la situazione meriterebbe ben altro Governo e ben altre maggioranze. Perché anche i Medici, in tempo di guerra, si preoccupavano di difendere la città, non delle beghe fra gli ottimati.

Cosa lo impedisce? Anche se l’hashtag #hastatorenzie è una hit sempreverde, a impedirlo non è Renzi, che ha posto serie e importanti questioni di merito; non Franceschini, che ha in mente legittimamente la costruzione di un cartello elettorale competitivo con l’alleanza Pd-Cinquestelle; non Conte, che pure comprensibilmente cerca di restare il più possibile in un ruolo inatteso. Lo impedisce la viltà di un centrodestra chiuso nel suo recinto di sondaggi favorevoli, incatenato al mantra “Al voto! Al voto!”, assurdo e impraticabile. Lo dico io? No, lo dice sui social una bravissima giornalista di destra come Flavia Perina. Perché intelligenza e onestà intellettuale non sono appannaggio di una sola area culturale, tanto meno di un solo partito. E all’Italia servirebbero quelle di tutti. Alla prossima.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.