Statisti per caso

by Enrico Ciccarelli

Considerazioni in ordine sparso sull’ennesima caduta di stile del presidente del Consiglio (“se lei ritiene di saper fare meglio, la terrò presente” in risposta a un giornalista che gli chiedeva se non fosse il caso di giubilare Arcuri). A me pare che il rapporto fra il premier e i “chigisti” (i giornalisti che si occupano con continuità del premier) sia a misura di Casalino: preveda cioè un addomesticamento giocoso fatto di piccole e grandi cortesie, di somministrazione di anteprime, di manipolazioni più o meno complici.

È possibile che questo implichi una certa puerile insofferenza verso eventuali colleghi fuori dalla cerchia. Ma io starei attento a ridurre la questione a un problema di comunicazione istituzionale: mi pare che questa espressione, fra Salvini, Conte e il duo Fico-Casellati, ricordi un caro estinto. 

Il problema è secondo me la tara culturale che la risposta del premier, scherzosa o meno che sia, rivela. L’archetipo del “vorrei vedere te”, usato di volta in volta per schermare le critiche o per giustificare la pena di morte in innumeri situazioni (“se fosse stata tua figlia?”) o per qualsiasi cosa rappresenti una fuga dalla realtà e dalla logica. Un’idea sbagliata in radice per almeno due ragioni: la prima è che postula l’impossibilità del distacco critico e del contributo analitico esterno.

In forza del principio “skiitte ‘u fasule sap ‘i guaije d’a pignate” (solo il fagiolo conosce i guai della pentola) si postula che possa esprimersi sull’operato di qualcuno solo chi conosca “dall’interno” le dinamiche di quell’operato. Non è un’abitudine solo dei governanti. Ai tempi della Buona Scuola ero subissato di bellicose opinioni secondo cui della scuola può parlare solo chi la fa.

Che è un po’ come dire che si può affermare che un calciatore si è “mangiato” un gol solo se si può dimostrare che si sarebbe segnato, nell’identica situazione. O che si può annotare un calo della forza poetica di Dante nella descrizione di Lucifero solo se si è in grado di riscrivere -e meglio- la Commedia. 

La seconda ragione di quello che a me pare uno strafalcione logico la spiego partendo da una celebre battuta: “È un vero peccato che tutti quelli che saprebbero cosa fare per il Paese siano troppo impegnati a tagliare i capelli o a guidare un taxi per farlo”.

Questo bon mot spiega che i processi valutativi non possono prescindere dalle competenze: un barbiere potrà anche indovinare quale sia la strategia economica vincente per la ripartenza (a proposito, auguri a parrucchieri e barbieri che riaprono); ma non sarà un barbiere a essere chiamato a elaborarla, perché è un barbiere.

Il presidente del Consiglio non risponde in conferenza stampa perché si è trovato a passare in un momento in cui serviva un premier, ma per ragioni assai più complesse. E Arcuri, celie a parte, è stato scelto non perché così sia saltato in testa al presidente del Consiglio, ma -si spera- per altri e più corposi motivi.

In particolare si ritiene che sia stato incaricato di produrre dei risultati, e che quindi sia ragionevole chiedere conto dei risultati raggiunti. La teoria secondo la quale “altri avrebbero fatto peggio” è una pura e semplice superstizione (così come quella secondo cui altri avrebbero fatto meglio). Il problema, per Conte come per Arcuri, non è chi avrebbe fatto meglio (secondo me alcune centinaia di migliaia di persone, nell’uno e nell’altro caso), ma cosa abbiano fatto loro e cosa avrebbero potuto e dovuto fare invece. Il timore è che le “battute” in materia siano dovute al fatto che purtroppo molti protagonisti e comprimari della tragedia pandemica siano lì per caso e ne siano sottilmente consapevoli.

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