Strettamente personale: un paio di dubbi sull’affaire Cesa

by Enrico Ciccarelli

Salve. Non ho particolari motivi di simpatia per Lorenzo Cesa, e tantomeno di ostilità verso Nicola Gratteri, per il quale provo anzi l’ammirazione dovuta a chi vive una vita blindata per il suo impegno antimafioso. Considero anche del tutto infondate le teorie complottistiche, che oltretutto, come spesso avviene sono double-face: secondo alcuni il segretario dell’Udc è stato attinto da un avviso di garanzia perché contrario a rafforzare il Governo Conte, secondo altri perché tentato dal farlo.

E tuttavia non so nascondervi un sentimento di sconcerto che riguarda due punti: il primo è la custodia cautelare, che nei Paesi civili è limitata alla flagranza o a specifiche situazioni di pericolo (rischio di fuga, di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato). Bene, Gratteri ci dice che le relative richieste al Giudice delle Indagini Preliminari sono state fatte a giugno 2020, ma che il Gip ha deciso ai primi di gennaio. È normale? Sembra di sì; ma se esiste un’esigenza di cautela così grave da privare qualcuno della sua libertà, come la si può lasciare inevasa per mesi?

E c’è di più: Gratteri, nel liquidare come sciocchezze qualunque l’accusa di “giustizia ad orologeria” utilizzata per finalità politiche, spiega che, una volta che il Gip abbia emesso l’ordinanza, gli ordini di cattura e gli avvisi di garanzia non sono partiti subito perché in Calabria avrebbero dovuto svolgersi le elezioni a febbraio, e non si voleva turbare la campagna elettorale; quando poi le elezioni sono state rinviate ad aprile si è deciso di procedere. Ma allora, cari magistrati, l’orologio lo guardate o no? Vi preoccupate o no dei calendari della politica? Perché la mia opinione è che non possiate e non dobbiate tenerne conto. Il rischio di invasioni di campo, che è fisiologicamente presente in tutte le società democratiche, si scongiura meglio dando le informazioni sul processo prima agli indagati che ai giornali, evitando i brandelli tendenziosi di intercettazioni, e così via.

Ma c’è un altro punto che mi lascia perplesso: voi cosa avete capito, che Cesa è indagato per mafia? Gratteri ha detto, in modo piuttosto sibillino, che no, è indagato per voto di scambio aggravato dal metodo mafioso. Frase enigmatica, visto che il metodo mafioso dovrebbe essere quello basato sull’intimidazione, e mi pare che Cesa non abbia le phisique du role per intimidire chicchessia. Ma non importa. Conosco davvero troppo poco dell’inchiesta, e mi perdonerete eventuali cantonate: ma se capisco bene gli si rimprovera di avere fatto da sponda a imprenditori in odore di ‘ndrangheta vicini a Franco Talarico, l’assessore al bilancio della Regione Calabria, anch’egli dell’Udc, che sarebbe responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa.

Si tratta di un reato che non ho mai capito, perché indica uno che è mafioso senza esserlo, che partecipa a un’associazione per delinquere senza esserne socio, come quelle ragazze che vi vogliono bene, ma come amico. Il rischio è che si passi dal concorso esterno al concorso in concorso esterno, con una dilatazione, una superfetazione del fenomeno mafioso, che diventa così generalizzato, astratto, metafisico. Una teoria, quella della mafia presente in cielo, in terra e in ogni luogo, di cui studiosi come Pino Arlacchi, ma anche un titano come Giovanni Falcone, hanno sottolineato la pericolosità. Perché questa mafia immaginaria e onnipotente copre con la sua cortina fumogena quella vera, che grazie a questo nascondimento vince. Dopo trent’anni e oltre di “antimafia professionale” mi pare si sia molto vicini a questo poco brillante risultato. E allora tanti luminosi martiri saranno caduti invano.

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