Il dottor Paolo Sardelli dell’Istituto Tumori di Bari: “Qui arrivano pazienti da tutta la regione, sarebbe gravissimo se il virus riuscisse ad entrare”

by Anna Maria Giannone

La Puglia si prepara ad affrontare il momento più difficile, quel picco di contagio da Covid-19 che, nelle previsioni degli epidemiologi, toccherà la nostra regione fra fine marzo e inizi di aprile. La task force regionale guidata da Pierluigi Lopalco sta lavorando per gestire una stima di 2.000 contagi, nella speranza che quella cifra non venga mai effettivamente raggiunta. Tanti sono i posti letto che garantirà il piano presentato ieri in una video conferenza dal presidente della Regione Puglia  Emiliano, assieme al gruppo di lavoro per la gestione dell’emergenza.

Un piano che ridisegna l’organizzazione ospedaliera pugliese, individuando in tutto il territorio 9 strutture, pubbliche e private accreditate, che saranno dedicate alla gestione dei pazienti affetti da Covid-19. A queste si affiancheranno ulteriori 16 strutture dedicate alla gestione dei pazienti definiti “post acuzie”, contagiati in via di guarigione che comunque necessitano di cure in ambito sanitario. Le altre strutture ospedaliere resteranno fuori dalla gestione dei pazienti affetti da coronavirus.  Una netta divisione dunque fra strutture ospedaliere deputate alla cura del Covid e le strutture no Covid, impegnate a garantire le misure necessarie di cura e assistenza per i pazienti affetti da tutte le altre patologie che, purtroppo, non vanno in quarantena.

Ne abbiamo parlato con il Dottor Paolo Sardelli, direttore del reparto di Chirurgia Toracica dell’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari e, in questo momento, coordinatore del gruppo no Covid- 19 all’interno del suo istituto.

Dottore, come valuta il Piano Ospedaliero presentato da Emiliano per fronteggiare il picco atteso nei prossimi giorni?

Più volte avevo scritto al Presidente Emiliano esprimendo, come tanti altri medici della nostra Regione, la necessità di creare un piano che creasse una task force Covid-19 e, allo stesso tempo, tutelasse tutte le altre patologie no Covid, in modo da garantire la sicurezza a pazienti e operatori sanitari. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che le altre patologie continuano ad esserci: malati cardiovascolari, traumatizzati, pazienti oncologici continuano ad essere presenti in numero maggiore rispetto agli affetti da Covid-19, anche se con una distribuzione del tempo diversa. Se questi pazienti non trovassero un’adeguata assistenza, a causa di una disorganizzazione dovuta alla concentrazione di risorse e di gestione sanitaria sulla patologia del Covid, lo scenario diventerebbe estremamente grave: pensiamo solo agli effetti di un ritardo diagnostico per i tumori. Per questo considero eccellente questo piano regionale che garantisce una perfetta divisione fra strutture ospedaliere Covid e strutture no Covid. Questo consentirà innanzitutto di evitare una promiscuità di ricoveri, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe. Parallelamente è ora molto importante garantire i sanitari che gestiscono i pazienti no Covid, i quali però potenzialmente potrebbero esserlo. I famosi dispositivi individuali di protezione devono essere garantiti a tutti, con le dovute differenze fra la dotazione destinata a chi lavora nelle strutture Covid, dove c’è una diagnosi conclamata, e quella per chi necessita di prevenzione.

Ritiene quindi che con questa organizzazione si riuscirà a gestire il picco di ricoveri previsti per fine marzo?

Dobbiamo ricordarci una cosa: se arriva uno tzunami che ha un’altezza superiore alla diga che è stata costruita dalla task force regionale soffriremo, se invece l’ondata riuscirà a perde energia, perché siamo rimasti tutti a casa, allora ce la faremo. La speranza è che quel 10% di pazienti che purtroppo finisce in rianimazione sia in numero più basso di quanto stimato, perché minori saranno stati i contagiati.

I pazienti oncologici sono fragili, spesso con più patologie e quindi particolarmente esposti ai rischi del contagio da Covid-19.  Quali sono le misure specifiche adottate per proteggere questi pazienti?

Le tutele nei confronti dei pazienti oncologici sono quelle di sempre. Ci sono tante patologie e malattie infettive che possono mettere a rischio chi è immunocompromesso. In questo momento l’attenzione massima è concentrata sugli ambienti ospedalieri. Dobbiamo far sì che gli ambienti in cui giunge il paziente neoplastico siano isolati, o quanto meno abbiano un filtro estremamente rigido, per evitare che il virus arrivi all’interno dell’ospedale. In Puglia esiste una struttura Hub centralizzata nella rete oncologica che, da tre anni, è l’Istituto Tumori di Bari. Qui arrivano pazienti oncologici da tutta la regione, sarebbe gravissimo se il virus riuscisse ad entrare in questa struttura. Per questo, in tutti i modi e secondo le indicazioni che ci danno gli epidemiologici, stiamo lavorando per garantire un’ampolla di cristallo in cui l’ammalato neoplastico sia tutelato.

Come vi state organizzando per mettere a punto una linea di comportamento che consenta di gestire in sicurezza gli accessi alle terapie nel vostro istituto?

Abbiamo messo a punto due tipi di filtro che precedono l’accesso dei pazienti nel nostro Istituto. Il primo è un triage telefonico: tutti i pazienti che chiedono di fare una visita ambulatoriale, che sono già in cura e devono effettuare dei controlli, che devono ricoverarsi a seguito di accertamenti diagnostici, sono contattati telefonicamente per una prima indagine. In questo modo ci accertiamo che non ci sia uno stato febbrile, che non ci sia stato contato con familiari con febbre o con persone provenienti dalle zone del Nord Italia più contagiate. Se tutte le risposte sono negative, si attua un controllo di secondo livello. Il paziente arriva in un’apposita struttura antistante l’ingresso dell’ospedale, qui uno staff medico effettua uno screening attraverso il controllo della temperatura e della saturazione di ossigeno. Se il paziente passa entrambi i test ha accesso all’ospedale. I pazienti oncologici in cui sia riscontrato un sospetto di Covid vengono indirizzati verso le altre strutture deputate alla cura.

Le nuove disposizioni prevedono limitazioni per una serie di prestazioni di primo livello. Come si potrà garantire le giuste cure ai pazienti oncologici?

Con il buon senso. Quando valutiamo i pazienti, in base al tipo di sospetto diagnostico, stabiliamo se ci troviamo davanti ad una tipologia di patologia con alta priorità o meno. Mi spiego con un esempio: se un paziente ha un tumore benigno dell’utero e un altro paziente ha un carcinoma polmonare o del pancreas è intuitivo che questi ultimi due casi avranno una precedenza rispetto al primo che, con le dovute attenzioni, potrà essere differito senza mettere a rischio la vita del paziente per ritardo terapeutico.

C’è ottimismo sull’utilizzo del farmaco contro l’artrite reumatoide, già noto a voi oncologi, tanto che la sperimentazione sui pazienti Covid-19  è stata già adottata dalla Puglia. Cosa ne pensa?

Proprio ieri mattina abbiamo parlato con i colleghi dell’Istituto Pascale di Napoli, nel corso del collegio di direzione che effettuiamo ogni giorno all’interno dell’Istituto Tumori di Bari. I colleghi hanno verificato che questo farmaco, utilizzato per la cura l’artrite reumatoide, ha dei benefici nel contenimento della fase di infiammazione polmonare causata dal virus. Come sappiamo il polmone è l’organo bersaglio della malattia, questo provoca la complicanza più grave che è l’insufficienza respiratoria acuta con necessità di intubazione. Se questa reazione infiammatoria è controllata, come  sembra, da questo farmaco, è minore il danno che si ha a livello polmonare. Questo farmaco non uccide il virus, permette però un’azione di contenimento. I casi studiati sono ancora pochissimi, solo 10 ad oggi, per cui non è uno studio che possiamo ancora ritenere validato a livello internazionale.

Ci sono altri studi a cui la comunità scientifica internazionale guarda con ottimismo?

C’è il vaccino. Ma dovremo aspettare ancora un anno e mezzo, come ci dicono gli esperti del settore. In questo momento il trattamento migliore è quello di rimanere a casa. L’agente più pericoloso, il nostro nemico maggiore, in questo momento è l’altro. Dobbiamo difenderci da potenziali veicoli del virus, utilizzando tutte le cautele. Questo fino a quando il virus, non avendo i più la possibilità di moltiplicarsi, si affievolirà e automaticamente si raggiungerà la fase di discesa della curva di contagio, come sta succedendo in questo momento in Cina.

Quando arriverà secondo lei questa fase discendente in Puglia?

Questo lo vedremo fra fine marzo e primi di aprile quando si prevede, secondo gli epidemiologi, il picco massimo in Puglia, calcolando le quasi 30 mila persone arrivate nei giorni scorsi dal Nord Italia. Dipenderà tutto dal nostro comportamento: se queste persone seguiranno le misure di rigore, se si registreranno, se resteranno a casa e se noi, a nostra volta, useremo tutte le misure di prevenzione, si raggiungerà prima la fase di discesa dei contagi.

Dottore, si sarebbe mai aspettato una portata simile di contagi anche in Italia?

In una mia intervista rilasciata a Telebari il 25 febbraio scorso, sbagliando, avevo fatto una previsione ottimistica. Questo perché confrontavo i pochissimi casi allora registrati in Italia con l’incidenza della patologie neoplastiche tumorali. Sono stato smentito. Non prevedevo un contagio di questa portata, siamo stati tutti spiazzati, tant’è che fino a dieci giorni fa abbiamo continuato ad andare nei cinema, nei teatri, nei bar. Purtroppo abbiamo commesso un errore.

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