“Il rischio di trasmissione verticale madre/feto è quasi escluso”. La cura delle donne del prof Luigi Nappi

by Daniela Tonti

Il Policlinico Riuniti di Foggia rappresenta il centro nascita più grande del Sud Italia. Con circa 3mila parti l’anno e in piena emergenza Covid-19, le due unità operative, universitaria e ospedaliera, si sono riorganizzate dal punto di vista strutturale e di approccio al lavoro, con percorsi specifici finalizzati alla riduzione del rischio contagio.

Sulle cure alle donne, sull’efficacia dei percorsi, sulla pressione sugli operatori e sulla fiducia nel ruolo del medico in questo particolare momento storico, abbiamo parlato a lungo con il prof. Luigi Nappi.

Docente di Ginecologia e Ostetricia, Direttore della Ginecologia ed Ostetricia Universitaria agli Ospedali Riuniti di Foggia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Foggia. 

Professore, l’epidemia di Covid che stiamo vivendo sta mettendo a dura prova la tranquillità delle donne che devono partorire e che vivono con una certa ansia il momento in cui sono costrette a recarsi in ospedale per esami o per il parto.

Ci può spiegare come vi siete organizzati per ridurre al minimo i rischi?

È un periodo in cui non c’è questa gioia di fare interviste ma in questo caso sono contento di farla perché posso dare una spiegazione di quello che è il percorso che abbiamo adottato nella nostra Ostetricia e Ginecologia, che è una Unità che vede un numero di utenti molto importante, essendo questo il più grosso punto nascita dell’Italia Meridionale in termini quantitativi. Facciamo quasi tremila parti l’anno.

Come mai questi numeri così importanti? Per le chiusure di alcuni ospedali di provincia?

Sì, non ci sono tanti altri punti nascita. Abbiamo solo San Severo al Nord e Cerignola al Sud e poi abbiamo San Giovanni Rotondo e sono solo queste quattro strutture. Noi accogliamo un bacino di utenza che ci porta a fare circa tremila parti l’anno.

Il percorso per la nostra donna gravida senza infezioni – e parliamo della maggior parte delle persone – o con sospetto o con infezione conclamata laddove si ha già contezza di un tampone positivo, è stato organizzato nei minimi dettagli e costituito in maniera efficiente per cui siamo in un momento di sicurezza.

Questo è un messaggio sicuramente da dare alle nostre donne.

Che vuol dire professore ci spiega meglio?

Vuol dire che il percorso adeguato è quello di dividere in maniera completa il percorso di queste due utenze. Due utenze che in realtà sono identiche dal punto di vista ostetrico ma che invece devono prevedere una grande differenza proprio perché sappiamo che il problema è quello del contagio.

La possibilità di suddividere completamente il percorso ci è data dal fatto che abbiamo istituito un pre-triage che chiamiamo un filtro dedicato alla maternità, alla donna gravida e comunque a tutti gli accessi nel padiglione ostetrico ginecologico. Questo filtro contempla due unità operative una universitaria ed una ospedaliera che in realtà sono gemelle e lavorano in sinergia totale tra di loro, tanto che la sala parto è in condivisione.

A che serve questo filtro? Come funziona?

Questo filtro serve a intercettare di tutte le donne che entrano nella struttura per una necessità ambulatoriale o per un pre-ricovero, ricovero, urgenza o emergenza quelle che potrebbero avere caratteri di sospetto per l’infezione. Queste donne vengono triagiate attraverso un servizio h24 in cui c’è sempre un’ostetrica disponibile insieme ad altro personale e chiaramente al medico di guardia anche in questo caso presente h24 nella figura di 2 medici di guardia la notte e altri 2 medici reperibili a casa.

Questo filtro si mette in atto attraverso prima di tutto la somministrazione del questionario che prevede l’acquisizione delle notizie circa l’origine della paziente, se proviene da zone “più rosse” di altre. Si tratta di un pre-triage molto rapido che viene fatto sulla base della quantificazione di eventuali sintomi tra cui la febbre che deve essere trovata pari o superiore a 37.5. Va valutata la condizione dell’apparato respiratorio se c’è tosse, se c’è dispnea e viene valutato anche il grado di saturazione dell’ossigeno. Il pre-triage ci permette di verificare le pazienti a rischio.

Quali sono i due percorsi? Come si sviluppano tra covid e no covid?

Se la paziente che accede alla struttura è totalmente negativa a queste valutazioni, può proseguire per quello che è il canale che tradizionalmente è impiegato da queste pazienti,  altrimenti comincia un percorso parallelo ma completamente distinto e separato da quello tradizionale. Ossia si mette in moto una task force che mette in isolamento questa paziente sospetta in un ambiente in cui non ha contatto con altre pazienti e in questo caso viene valutata con l’esecuzione di un tampone.

Quindi la paziente resta in reparto nell’attesa dell’esito del tampone?

È importante che avvenga in clinica ostetrica ginecologica perché l’esecuzione di un tampone in attesa di vedere l’esito richiede un certo numero di ore, anche 4 ore, è chiaro che è improponibile che una paziente ostetrica con un pancione possa stare in un pronto soccorso centralizzato.

E resta in isolamento?

Viene messa in isolamento in una stanza dedicata a lei e si attende l’esito del tampone. Chiaramente è possibile che ne arrivi anche un’altra e di conseguenza abbiamo predisposto 3 stanze di isolamento in maniera tale che man mano che arrivano possono essere poste in isolamento tra di loro. Finché si può, non devono stare nello stesso ambiente.

In che senso finché si può?

Ricordiamoci che questo è un percorso magnifico e ideale ma in altre aree in cui i numeri sono tali da superare il numero di stanze di isolamento si è arrivati al punto in cui si prende la stanza più grande e negli angoli si mettono le signore in isolamento quando dovessero esservene dieci o quindici. Speriamo che il sistema di isolamento sociale di separazione che abbiamo messo in atto ci abbia dato il tempo di non avere questi numeri.

Poi cosa succede dopo il tampone?

Quando arrivano i risultati del tampone se la paziente è negativa può riprendere il percorso normale. Attenzione perché ci può essere una percentuale di tamponi falsi negativi, possono esserci persone che non si sono positivizzate e quindi l’anamnesi viene sempre fatta in maniera qualitativa. Se permane nella valutazione del dirigente medico un sospetto, questa paziente viene si trasferita nel reparto tradizionale ma possibilmente in una stanza da sola e comunque continua ad essere valuta in maniera stretta dal punto di vista sintomatologico.

Se invece risulta positiva dove va?

Se dovesse essere positiva allora il suo percorso – che è identico dal punto di vista ostetrico a una non positiva – continua in “ambienti Covid”. Sarà quindi ricoverata in questo repartino in cui ci sono le stanze di isolamento con ambienti che rimangono vuoti per far sì che siano rispettate le norme di isolamento, e qui sarà seguita dal personale dotato di tutti i DPI.

L’aspetto negativo è l’isolamento in cui comunque ci sono anche delle forti positività. Nella nostra cultura meridionale il parto è un momento chiassoso con parenti, con festicciole o altro. Però io vi dico, conoscendo bene quali sono le realtà culturali di altri paesi, che la tranquillità forzata che si è creata nelle nostre strutture in questi giorni, restituisce l’umanità che dovrebbe caratterizzare il momento del parto.

Perché?

La paziente ha un personale tutto dedicato a lei che la coccola completamente e molto spesso ci sono donne che hanno piacere di non avere una calca di persone attorno in un momento in cui la donna svolge un lavoro, il parto è un momento di grande concentrazione psicofisica.

Ritenete quindi di aver fatto tutto il possibile?

Noi siamo stati più fortunati rispetto ai colleghi settentrionali nel poter mettere in atto questi percorsi però c’è un dato che è molto molto importante. Tutte le misure che la migliore sanità può mettere in atto per ridurre l’infezione sono come dei sistemi di allarme, dei deterrenti, che non potranno mai azzerare il rischio, per il semplice fatto che – come è noto – abbiamo una pletora di CITTADINI POSITIVI COMPLETAMENTE ASINTOMATICI. È chiaro che il distanziamento sociale funziona sulla base di questo. Noi potremmo intercettare il 99% delle pazienti sospette e positive ma non potremo, anche facendo tamponi a tappeto, avere garanzie assolute. Il primo medico è il cittadino, che è medico di se stesso e del suo vicino.

Nel caso di partorienti positive come evolve la malattia, anche rispetto al bambino?

Possiamo fare riferimento a quella che è la prognosi della donna gravida in letteratura, tra l’altro abbiamo contribuito anche noi con una bella metanalisi appena pubblicata sull’American Journal of Obstetrics & Gynecology in cui riportiamo le caratteristiche dei parti che sono avvenuti sino ad ora nel mondo. La prognosi è altamente favorevole. Certo, la donna in gravidanza soprattutto al termine può avere una suscettibilità maggiore, si pensi al fatto che di per sé la donna al termine della gravidanza ha un ingombro respiratorio dovuto alla gestazione.

Detto questo, nella maggior parte dei casi non si sono avute problematiche particolari tranne pochi in cui si è reso necessario l’assistenza da parte della respirazione assistita.

Il rischio di trasmissione verticale diciamo è quasi completamente escluso al momento. C’è una piccola evidenza scientifica, sul JAMA,  in cui si riportano tre casi in cui ci potrebbe essere stato un contagio sul neonato. Pertanto, al momento, indicazioni al taglio cesareo su base Covid non ce ne sono.

Avete avuto parti covid?

No ancora no. Questo vuol dire che la macchina ha funzionato. È un successo non averli, vuol dire che il distanziamento sociale ha funzionato.

E per il bambino?

Per quanto riguarda la prognosi dell’infante molto si è detto ma sostanzialmente se la madre non è sintomatica oggi viene consentito, con i dovuti mezzi di protezione, l’allattamento al seno. Consideri che sono donne che se tutto va bene vanno a casa dopo tre quattro giorni e se lo portano a casa il bambino, in termini pratici poi non sarà facilissimo evitare un contatto diretto.

Pensando a un parto pensiamo sempre a un contatto molto ravvicinato anche da parte dei medici e degli operatori e non si può nascondere che c’è un fortissimo stress psicologico. Gli esperti dicono che i danni sul lungo termine saranno enormi. Quanto è difficile fare questa professione in una pandemia come questa, al di là della demagogia dell’eroe che ha anche un po’ stancato?

Infatti. È un argomento molto importante per noi medici. I medici credo che siano tutti in qualche maniera risentiti. Per noi non è un momento particolare. Il medico è sempre sottoposto a questo tipo di stress, le infezioni sono sempre esistite. Noi dalla mattina alla sera operiamo donne sieropositive, donne che hanno l’epatite B. Anche in questi giorni, stiamo continuando ad operare casi oncologici con le dovute precauzioni. Stiamo anche indagando su quello che è il ruolo della chirurgia laparoscopica nei casi Covid, dove ci sono dei gas all’interno della cavità addominale che potrebbero essere pericolosi, in termini di contagio, per l’operatore, per l’anestesista e via dicendo.

Noi siamo sempre sottoposti a questo. Noi medici già siamo sottoposti a una gogna medico legale che è veramente peggiore di un coronavirus perché porta il medico a fare medicina difensiva.

Io auspico con tutto il cuore che la figura e la professionalità del medico escano da questi meccanismi ed è triste dirlo ma stiamo vivendo un momento storico che spero porti il medico ad uscirne un attimino riqualificato. Perché il medico è veramente molto molto subordinato a quelli che sono dei percorsi che fanno parte della vita dell’uomo occidentale ma nulla hanno a che fare con l’atto medico e la sua professionalità.

Pensiamo a quanti medici di famiglia stanno venendo meno. Sono persone che non hanno scelto un lavoro ma un modo di vivere. Nessun medico vuole guadagnare di più, vuole più soldi, ogni medico vuole semplicemente più rispetto e vuole lavorare con la giusta professionalità.

Le città sono piene di pubblicità contro i medici.

È un aspetto particolarmente maligno nel nostro Paese. C’è un sistema economico sotto, non c’è la giustizia.

Anche se il 90% delle denunce contro i medici vengono archiviate.

Il 99% vengono archiviate ma nel frattempo si sono spese ore, mesi e anni, una macchina economica e questo è un male per il sistema sanitario. Perché sottrae tempo e risorse. Perché se io posso sulla mia coscienza dire che quella donna può evitare una risonanza magnetica, se c’è una probabilità su 100 che poi un avvocato mi scriverà che sarebbe stato meglio farla, io la faccio. E nel farla la sottraggo a una donna che magari ne aveva realmente bisogno.

Lei come se lo spiega? È una mancanza di fiducia nella scienza?

È una mancanza di fiducia nel medico. Il rapporto di fiducia con il medico in Italia è venuto meno. Nelle esperienze che ho avuto il privilegio di fare all’estero, ho potuto constatare che il rapporto di fiducia con il medico è rimasto ancora integro.

Professore un’ultima domanda. A un certo punto anche in preda alla psicosi è quasi passata l’idea di convincere le partorienti a partorire in casa per evitare gli ospedali. Lei che ne pensa?

La sanità non vuol dire solo il Policlinico, purtroppo ci vorrebbe una sanità territoriale che in molte regioni d’Italia non abbiamo. Non è corretto rivolgersi al Pronto Soccorso di un Policlinico per una semplice unghia incarnita, in questo modo si sottraggono energie che devono essere impiegate per altre complessità.

La donna gravida dovrebbe arrivare in clinica ostetrica solo per partorire e tutto il resto dovrebbe farlo sul territorio, nei consultori e negli ambulatori specialistici, pubblici. La donna gravida dovrebbe avere la sua agenda della gravidanza ed essere seguita sul territorio come avviene in regioni come l’Emilia Romagna dove la donna fa i suoi controlli al primo, secondo trimestre sul territorio e quando sul territorio intercettano il caso di gravidanza a rischio allora viene mandata al Punto Nascita. Noi invece perdiamo tantissimo tempo a fare le ecografie del primo trimestre che sono prestazioni che non sarebbero di nostra competenza.

Ciò nonostante, vorrei concludere dicendole che la Sanità pubblica italiana è ancora oggi una eccellenza mondiale. Purtroppo, a causa dei continui tagli al personale sanitario ed alle strutture, questa eccellenza resiste solo grazie ai sacrifici degli Ausiliari, degli Infermieri, delle Ostetriche e dei Medici. Mi domando fino a quando?

Prof. Luigi Nappi. 7 aprile, 2020.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.