Le meraviglie della dieta Chetogenica: intervista a Vincenzo Nicastro

by Daniela Tonti

Vincenzo Nicastro medico endocrinologo agli Ospedali Riuniti di Foggia è anche un grandioso nutrizionista, eroe delle sfide impossibili. Oltre i casi seri di grandi obesi nel suo studio sfilano molte persone angustiate per i sei/dieci chili di troppo, i più difficili da buttare giù. La scienza ha risposto all’accumulo dei rotolini con una parola magica: chetogenica. Cercheremo di capire cos’è e come (ma soprattutto se) funziona.

Dott Nicastro iniziamo dalle domande difficili:  Ci sono dei cibi che dovrebbero o che non dovrebbero essere presenti nella dieta di una persona?

La Ringrazio per le belle parole e ha ragione nel dire che talora ci si debba confrontare con sfide che sembrano impossibili e con casi clinici molto complicati. Effettivamente esiste quello che viene chiamato “junk food” o cibo spazzatura, cioè quel cibo confezionato, di scarso valore nutritivo e alto contenuto energetico (snack, merendine o dolci ricchi di grassi , zuccheri e sale) ed esiste un cibo più etico e più rispettoso della nostra salute e delle nostre tradizioni, penso ai prodotti locali della nostra terra, al cosiddetto chilometro zero. Le scelte individuali possono essere dannose soprattutto se legate alla mono-tematicità: una dieta ripetitiva, che esclude dei cibi o ne privilegia solo alcuni, alla lunga diventa noiosa e rischiosa e talora è il presupposto per carenze nutritive e spesso è alla base dell’obesità in età evolutiva.

Cosa c’è nel suo frigorifero? Cosa non manca mai? Lei fa tutto lo sport che i medici predicano ai loro pazienti di fare?

Mi rifaccio ai principi della dieta mediterranea nella scelta dei cibi e dividendo idealmente il piatto in 4 parti metto in un quarto i carboidrati (preferisco pasta e legumi), in un altro quarto le proteine (prediligo il pesce azzurro, ma anche i formaggi freschi mi piacciono molto) e negli altri due quarti verdura e frutta. Lei poi sa benissimo che una delle principali cause dell’obesità è la scarsa attività fisica e la sedentarietà (concetti da tener distinti…) e siccome amo gli sport all’aria aperta cerco di dedicare tutto il tempo che posso a questi; inoltre mi piace molto camminare ed è ciò che consiglio a tutti. Ai ragazzi, in particolare, dico di evitare la sedentarietà, cioè le ore trascorse davanti ad uno schermo… magari intervallando questo tempo con piccoli esercizi di 3 minuti da fare magari anche a scuola, ogni ora.

Cos’è la dieta chetogenica? Una specie di esperienza extracorporale? Quanto costa? Che livello di sacrifici comporta?

La dieta chetogenica è una delle diete alla moda per il fatto che molti cantanti, attori e personaggi famosi dei social media ne sono testimonial. In realtà è una dieta ideata molti anni fa, nata per la cura di epilessie scarsamente responsive agli usuali trattamenti, che si è poi dimostrata efficace anche in altri ambiti medici, ad esempio nel trattamento dell’emicrania o di altre patologie neuro-degenerative. Per quanto riguarda l’ambito strettamente nutrizionale ne abbiamo esempi “spontanei” in alcune popolazioni che seguono una dieta prevalentemente a base di proteine; una di queste è quella degli Inuit, cioè gli Eschimesi delle coste americane del Polo Nord, che sono quasi completamente carnivori. Per noi abituati ad un consumo, forse anche eccessivo, di carboidrati può sembrare certamente un’esperienza “extracorporale” e comunque abbastanza innaturale. Spero di essere chiaro nel cercare di spiegare il funzionamento della dieta chetogenica. Si chiama così perché l’organismo in assenza dell’apporto di carboidrati è indotto a generare e consumare corpi chetonici che sono un prodotto della degradazione del grasso corporeo. I chetoni sono un “super carburante” per l’elevato contenuto energetico e ciò spiega il fatto che non si avverta nessun sintomo di stanchezza durante questo tipo di dieta che pure è molto restrittiva (600-800 Kcal al giorno), anzi.

Per ottimizzare la riuscita del programma dietetico è necessario assumere una quota sufficiente di proteine, variabile da individuo ad individuo, per evitare la degradazione di quelle corporee, più un supplemento di proteine che assicura una produzione di carboidrati sufficiente alle necessità dell’organismo. Inoltre poiché negli alimenti proteici che usualmente assumiamo (carne, pesce, formaggi) le proteine sono “sposate” con i grassi (l’unico “separato in casa” è l’uovo!), per aumentare l’efficacia del calo ponderale e la rapidità della perdita di grasso corporeo, utilizziamo dei prodotti dell’industria solo-proteici, privi cioè sia di carboidrati che di grassi. E’ poi necessario integrare questo tipo di alimentazione solo-proteica con integratori e sali minerali e soprattutto con alcalinizzanti per contrastare l’elevata acidità urinaria che si viene a creare. Altre raccomandazioni riguardano il consumo di liquidi e la quantità di olio di oliva da assumere. Ovviamente questi cibi modificati hanno un costo, che può aggirarsi intorno ai 500 euro per un programma di trattamento di circa 2 mesi, se utilizziamo prodotti più palatabili e complessi. Il costo può essere inferiore se usiamo prodotti costituiti da proteine solubili, che sono però sono generalmente meno graditi, forse perché la dieta risulta un po’ più ripetitiva e quindi noiosa.

Siamo invasi da prodotti miracolosi ovunque. Lei cosa pensa di beveroni, barrette, té tisane e altri intrugli simili?

Non ho alcun tipo di pregiudizio verso quello che l’industria propone, anzi. Abbiamo prove di dimostrata efficacia dei pasti sostitutivi, non solo sotto forma di alimenti complessi maggiormente appetibili, ma anche sotto forma di semplici bevande o barrette, che consentano un adeguato apporto proteico. L’unica accortezza è nell’evitare il “fai da te” perché i rischi di questi approcci dietetici devono essere ponderati e considerati alla luce di esami ematici di laboratorio e in base alla presenza di eventuali patologie concomitanti, quindi sono riservate ad una prescrizione medica o alla supervisione di un nutrizionista.

Come si spiega questa smania sociale del dimagrimento? Ha davvero a che fare con la salute o è solo fissazione,  insicurezza, bisogno di consenso e di piacere o appagamento personale? 

E’ nota la pressione esercitata dai media sia per quanto riguarda l’immagine corporea sia per quanto riguarda il messaggio di facili dimagrimenti. Tutto ciò può influenzare vere e proprie  patologie mentali come i D.C.A., cioè i disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating disorders, ecc.), soprattutto in personalità poco strutturate o in formazione (teenager soprattutto). Le donne notoriamente hanno una maggiore sensibilità all’argomento forma fisica e i modelli pubblicitari negli ultimi decenni hanno determinato non pochi disastri, ma anche negli uomini si nota da qualche anno a questa parte una maggiore attenzione all’immagine corporea: la “bigorexia” è un termine che indica appunto una malattia mentale in cui un uomo, usualmente, è preoccupato per la propria immagine corporea e si vede troppo piccolo o debole e cerca di mangiare solo cibi che crede possano dargli un corpo più muscoloso. Le più attente alla forma fisica sono sicuramente le donne, soprattutto giovani, ma anche persone adulte, donne e uomini, in cerca di aiuto per patologie specifiche che sono peggiorate da uno stato di obesità: dal diabete tipo 2, all’ipertensione arteriosa, da problemi di iperuricemia a problemi di dislipidemia. Non sempre la motivazione è la preoccupazione per l’immagine corporea: spesso sono persone con patologie metaboliche, anche di tipo familiare, o con difficoltà nel dimagrire magari legate a patologie tiroidee, a volte misconosciute.

È vero che l’uomo da una certa età in poi non può più dimagrire?

Non voglio addentrarmi nel cosidetto “paradosso dell’obesità”, per cui in alcune patologie è stata osservata una relazione inversa per quanto riguarda mortalità e peso corporeo, ma non esiste un limite d’età per il dimagrimento: ogni età è bella (perché viene una sola volta!) e merita di essere vissuta al meglio, e se per il raggiungimento di un equilibrio psico-fisico è necessaria la perdita di qualche chilo di troppo, ben venga. Sappiamo che l’obesità è un fattore di rischio per diabete, per eventi legati a malattie cardiovascolari, per il cancro ed è associata ad una maggiore mortalità complessiva, ma non abbiamo avuto prove che il dimagrimento fosse associato a benefici reali sulla mortalità e sulla riduzione di alcune malattie fino a quando non abbiamo avuto i dati forniti da dimagrimenti significativi e mantenuti nel tempo, come quelli che ci ha permesso di ottenere la chirurgia bariatrica. Dopo un calo di peso così ottenuto infatti osserviamo una riduzione a lungo tempo nella mortalità totale, una ridotta incidenza di diabete, di infarto miocardico, di ictus e di cancro. Un calo ponderale meno significativo spesso serve  anche solo per dare un sollievo al sovraccarico sulle articolazioni, ma perdere anche pochi punti percentuali di peso corporeo può essere di grande aiuto in patologie molto gravi, quali lo scompenso cardiaco, la cardiopatia ischemica o la cardiopatia ipertensiva.

Un calo ponderale di circa il 15% poi, è in grado di indurre la remissione del diabete tipo 2 all’esordio, ma cali anche più contenuti hanno comunque un effetto benefico sulle glicemie. I dati che abbiamo dalla chirurgia bariatrica si spingono su popolazioni di età media fino a 60 anni, per cui dovremo attendere il risultato di altri studi, anche genetici, per saperne di più sul significato e l’utilità di dimagrimenti importanti in persone oltre i 70 anni di età.

Nella sua esperienza fino a che punto la gente che non accetta la sua immagine riflessa nello specchio è disposta  ad arrivare? E perché?

Una scarsa soddisfazione dell’immagine corporea è più frequente nelle donne ed è associata con una maggior incidenza di depressione, scarsa autostima e perfezionismo. Un grande stress psicologico è legato anche allo stigma connesso all’obesità: talora addirittura noi medici abbiamo un atteggiamento “giudicante” verso chi ha un elevato peso corporeo e la patologia obesità non viene intesa e tantomeno trattata come tale, ma stigmatizzata appunto, come se si trattasse di una forma di eccessiva auto-indulgenza verso il cibo o di pigrizia nello svolgere attività fisica e non una vera e propria patologia. Tale è anche l’atteggiamento del Servizio Sanitario Nazionale che infatti, non riconoscendo una piena dignità di patologia all’obesità, pone a carico del paziente tutti i trattamenti ed i farmaci che potrebbero aiutare la sua condizione, tranne l’intervento chirurgico per l’obesità patologica.

Nel nostro ambulatorio per i DCA e per l’obesità patologica dell’Endocrinologia degli Ospedali Riuniti di Foggia, nel quale collaboriamo con i colleghi chirurghi, riceviamo talora delle richieste inappropriate o meglio irrealistiche, soprattutto da parte di giovani donne che sarebbero disposte a sottoporsi ad interventi di chirurgia bariatrica, nonostante non ne abbiano alcuna indicazione.

Questo accade talvolta perché la procedura chirurgica viene vista quasi come una scorciatoia per ottenere un risultato duraturo o perché queste persone sono sfinite da ripetute diete e successivi incrementi ponderali, esperienze molto frustranti e dolorose, ma penso di comune riscontro nell’esperienza di chi ha dovuto fronteggiare anche solo pochi chili di troppo. Ovviamente ci troviamo di fronte a persone molto provate anche da un punto di vista psicologico, che hanno perso l’autostima o sono diventate pessimiste riguardo alla propria capacità di portare a casa un risultato, che sembra all’inizio così facile da ottenere, ma che poi risulta difficile da mantenere nel tempo.

Ci  può fare qualche riflessione anche sui grandi obesi… Sono aumentati i casi? Si lasciano aiutare o arrivano quando è troppo tardi? La medicina offre una risposta a questa problematiche? Se sì, quanto efficace?

I centri che si occupano a livello nazionale di chirurgia bariatrica sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi anni ed anche a Foggia da qualche tempo abbiamo questa possibilità. Il numero di interventi di chirurgia per l’obesità è in costante aumento, sia per il miglioramento delle tecniche chirurgiche e la minore morbilità e mortalità, ma soprattutto per l’enorme richiesta, per l’aumento del numero dei grandi obesi.

Definiamo i termini del problema: è una chirurgia dedicata a chi ha meno di 60 anni, che ha un indice di massa corporea (BMI) superiore a 40 oppure superiore a 35 con almeno due patologie associate (ad esempio diabete  tipo 2 ed ipertensione arteriosa). Per definizione l’intervento è l’estrema ratio, l’ultima risorsa a cui si ricorre quando gli altri interventi, dietetico e/o farmacologico, sono falliti oppure porterebbero da soli a risultati poco significativi.

Lo studio SOS, uno studio svedese durato diversi anni, ha dimostrato l’estrema efficacia anche a lungo termine della chirurgia bariatrica, che in alcuni casi diventa chirurgia metabolica, visto che è in grado di indurre spesso anche la remissione del diabete tipo 2 e quindi migliorare significativamente lo stato di salute dell’individuo.

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