“L’isolamento aggrava la patologia, la rende talvolta insostenibile”. Riuniti e mai soli: il counseling sociale di Antonella Calvo per i pazienti post Covid

by Michela Conoscitore

Le cure al paziente Covid non possono terminare quando lascia l’ospedale, ma devono proseguire anche una volta tornati a casa: è questo l’obiettivo che si sono posti agli Ospedali Riuniti di Foggia con il progetto Riuniti e mai soli, che mira a supportare l’ex degente nel proprio percorso di ripresa dalla malattia anche se medici e infermieri non sono più lì ad assisterlo come in ospedale. È un supporto principalmente psicologico e sociale quello che gli esperti del team del progetto offrono ai propri pazienti, poiché una volta guariti e tornati a casa, i malati Covid devono cominciare a riappropriarsi della quotidianità.

Per comprendere le fasi del servizio e le dinamiche che scattano in questa situazione così peculiare dal punto di vista umano, bonculture ha intervistato la dottoressa Antonella Calvo, una delle referenti del servizio Counseling Sociale:

Dottoressa Calvo, in cosa consiste il servizio welfare ospedaliero Riuniti e mai soli degli Ospedali Riuniti di Foggia?

Il welfare ospedaliero consiste in tutte quelle iniziative, provvedimenti, azioni che mirano al benessere della persona, in particolar modo dei soggetti cosiddetti fragili. Le tipologie di intervento sono svariate e calibrate su quel determinato utente. Il progetto “Riuniti e mai soli” intende affiancare e supportare il grosso impegno di tutto il Policlinico nell’affrontare il contagio da Covid-19. Si esplica mediante la fornitura di kit ai pazienti per sopperire all’impossibilità da parte delle famiglie di provvedere direttamente (non può il familiare recarsi a far visita al degente e portare da casa pigiami puliti, biancheria intima, asciugamani e generi di conforto). Ai reparti Covid sono stati forniti dei tablet che consentono di poter effettuare delle videochiamate tra il malato e i suoi congiunti. L’isolamento familiare e sociale va ad aggravare la patologia, la rende talvolta insostenibile. I pazienti diventano emotivamente fragili, sono spaventati dal decorso della malattia. Le famiglie vivono il dramma di non poter entrare in contatto con i loro congiunti, ciò alimenta disperazione, rabbia, impotenza. L’intervento di Counseling Sociale va appunto a favorire il contatto, lo scambio di informazioni in merito alle condizioni di salute. Talvolta è sufficiente ascoltare e rassicurare per allentare l’ansia di chi sta a casa e attende notizie. Il Team di Servizio Sociale è costituito da me che lo coordino e da altre tre colleghe, di cui apprezzo la grande motivazione personale e la professionalità nello svolgere un lavoro cosi delicato. L’attività di Counseling sociale viene erogata 12 ore al giorno, andando al di là del proprio orario di lavoro, è doveroso farlo, è il nostro contributo per cercare di ottimizzare gli interventi erogati dal Policlinico Riuniti di Foggia per dare concretezza al concetto globale dell’umanizzazione delle cure.

Quali sono le fasi in cui si articola e che accompagnano il paziente nel suo percorso di ripresa?

Quando il paziente ha superato l’infezione e si programma la dimissione, interviene il Servizio Sociale, laddove la famiglia ha delle difficoltà o è inesistente o ci sono delle situazioni di criticità. Viene quindi messo in atto un lavoro di rete tra l’ospedale, il territorio e le famiglie, ciò tenendo conto delle esigenze del paziente, della sua volontà e delle risorse del territorio, purtroppo piuttosto carenti. Molto spesso si tratta di persone anziane, sole, fortemente debilitate che vanno inserite in percorsi riabilitativi o in strutture in grado di fornire loro assistenza. Il nostro lavoro è quello di favorire questo passaggio, sia da un punto di vista burocratico (autorizzazioni, relazioni) sia da un punto di vista sociale, (contatto con le famiglie, colloqui col paziente, invio e segnalazione ad altri servizi). Il Covid-19 non colpisce solo persone anziane, ma anche giovani, pazienti affetti da altre patologie e a cui l’infezione virale non va che ad aggravare la situazione e anche mamme che partoriscono. La puerpera deve stare in isolamento e ciò non le consente di poter accedere al nido ad allattare il proprio bimbo o a stringerlo tra le braccia. In questi casi è richiesto il mio intervento per fare da tramite tra mamma e bimbo, almeno per i primissimi giorni. Su autorizzazione della mamma, vengono eseguiti dei piccoli filmati del neonato e inviati al suo cellulare; è l’unica modalità per consentire alla neo mamma positiva di vedere il suo piccolo, sino a quando non viene espletato tutto l’iter sanitario che consente alla partoriente la dimissione protetta col bimbo e il trasferimento presso il proprio domicilio.

Dopo l’isolamento, il ritorno ad una vita normale e alla quotidianità sarà faticoso per loro? Quali sono i suggerimenti che state dando per supportarli in questo processo?

Questa malattia lascia segni indelebili, sia nel paziente che nella famiglia. Affrontiamo quotidianamente un aumento di ansia, timori per la propria vita e quella dei congiunti. Per chi torna a casa c’è voglia di normalità, di cose semplici, di apprezzare maggiormente il quotidiano, di soffermarsi sulla semplicità delle piccole cose. Un giorno un paziente che era tornato a casa, mi ha detto: “mi sono guardato intorno e mi sono stupito dei colori, della luce del sole che illumina le cose…”. Ho riflettuto sulla sua affermazione, su quanto la nostra vita frenetica ci fa perdere l’essenza e la gioia delle piccole cose e forse questa pandemia ci dovrebbe far riflettere sulla necessità di apprezzare ciò che abbiamo, di dare una maggiore significatività alle relazioni intra ed extra familiari. Talvolta viene consigliato un percorso psicologico, anche per coloro che hanno perso repentinamente i propri cari, finalizzato all’ accettazione ed elaborazione del lutto.

Ci sono storie che l’hanno particolarmente colpita? Può raccontarcene qualcuna?

Penso spesso al primo neonato nato da mamma positiva al Covid-19, alle problematicità di riuscire a tracciare il primo percorso, reso ancor più arduo dal fatto che la puerpera non era italiana per cui difficoltà linguistiche e burocratiche; è stata una bella vittoria riuscire ad aiutarla e sostenerla nelle varie fasi. È emozionante ricevere le foto del bimbo che la mamma mi invia, felice di voler condividere con me la sua crescita! Mi porto nel cuore anche le tante storie di anziani morti in solitudine, coloro a cui non era necessario il tablet perché a casa non c’è più nessuno da chiamare, voglio pensare che anche a loro il mio aiuto, e quello di tutti i sanitari, abbia alleviato la sofferenza degli ultimi giorni di vita.

Michela Conoscitore

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.