“Portiamo avanti un rigore eccessivo”. Colloquio con il luminare Giulio Tarro, primario emerito del Cotugno

by Michela Conoscitore

In questi mesi di pandemia sono stati molteplici i pareri di virologi ed esperti che hanno provato a spiegare quel che stava accadendo nel mondo. Abbiamo imparato l’abc di un linguaggio, fino a qualche mese fa, sconosciuto assimilando termini tecnici che in questo particolare frangente hanno assunto una valenza necessaria.

Tra i dottori che hanno cercato di dirimere dubbi e provare a tranquillizzare la popolazione c’è anche il professor Giulio Tarro: primario emerito dell’Ospedale “Domenico Cotugno” di Napoli, allievo di Albert Sabin lo scopritore del vaccino contro la poliomelite, e lui stesso in prima linea durante l’epidemia di colera a Napoli nel 1973.

In questi mesi, la voce del professor Tarro ha sempre contraddetto i pareri di altri virologi che si sono pronunciati sulla pandemia da Covid-19.

Con il passaggio alla Fase 2 dell’emergenza, bonculture ha intervistato il professor Tarro per discutere con lui di come è stata gestita la pandemia in Italia e di quel che si poteva fare ma non si è fatto:

Professor Tarro, secondo lei, complessivamente, come è stata gestita l’emergenza da Covid-19 in Italia?

Nel complesso, è stata gestita male. Purtroppo si è partiti col piede sbagliato per motivi che non riguardano l’attualità, nel senso che dal 1997 al 2015 si è verificato un taglio del 51% dei posti letto nelle terapie intensive. Quindi ci siamo trovati in una situazione particolare, che a gennaio non abbiamo cercato nemmeno di bilanciare quando i francesi, sapendo già di questa epidemia cinese, hanno raddoppiato i posti letto. Rispetto alla Francia avevamo solo ¼ dei posti letto a disposizione. Poi al blocco dei voli con la Cina, siamo stati quasi i primi a farlo, ma lo abbiamo fatto parzialmente bloccando solo quelli diretti.

Siamo entrati nella Fase 2, che prevede una parziale riapertura di attività e la possibilità di avere più libertà negli spostamenti. In molti sono convinti che questa sarà una fase molto delicata. Secondo lei, come si comporterà il virus?

Praticamente dobbiamo vedere cosa è successo nelle altre nazioni, in Europa, hanno riaperto quasi tutti. Noi stiamo portando avanti un rigore che è eccessivo, e a farne le spese è anche l’economia. In Svezia hanno condotto una vita quasi normale, in altri paesi come da noi si sono adoperati guanti e mascherine, che ci può stare.

Quindi per lei non era necessaria la suddivisione in fasi dell’emergenza?

Per esempio, il rigore di cui parlavo prima era da applicare solo in alcuni casi, dove si sono avuti i focolai, e non in tutta Italia. Nel nostro Paese c’è stata una dissociazione tra Nord e Sud. Al Sud si poteva anche evitare questa chiusura, tanto è vero che la Calabria ha deciso per una riapertura totale.

Lei è stato tra i protagonisti della lotta al colera durante l’epidemia del 1973, a Napoli. Come ha vissuto quella esperienza?

Quella volta la città affrontò bene l’emergenza, per dire non ci fu l’assalto ai supermercati. E quando ci fu la possibilità della vaccinazione, tutti si misero in fila ad aspettare il loro turno. Al contrario di quel che si può pensare di Napoli, ci fu una presa di coscienza molto valida. All’epoca, l’unico ospedale deputato a poter trattare il colera era il Cotugno: i medici furono tutti precettati, e il rapporto col paziente è stato immediato nel senso che molti arrivarono già in un notevole stato di disidratazione, e alcuni già morenti. Però, una volta stabilita la diagnosi, si trattava soprattutto di reidratare i pazienti.

La reazione all’epidemia di colera del ’73 in cosa differisce da quella attuale di Covid-19?

 La differenza secondo me è soprattutto di tipo psicologico: questa pandemia ha colpito le persone soprattutto a livello mentale, siamo stati sottoposti ad uno stress continuo, anche per le comunicazioni che venivano diramate, e a livello medico, come le ho detto prima, poteva essere gestita meglio. Pensiamo anche soltanto alla questione mascherine, prima avevano detto che le avrebbero dovute usare soltanto i malati di Covid e gli operatori sanitari. Adesso che non siamo più carenti, e ne abbiamo in abbondanza è scattato il ‘mascherine per tutti’. Inoltre, ha lasciato molto a desiderare la disinfestazione, disinfezione e nebulizzazione degli ambienti, locali ma anche le strade che sono frequentate dalle persone.

Tutti stanno aspettando il vaccino, per lei è quella la soluzione definitiva per sconfiggere il Covid?

Il vaccino è una misura preventiva, ovvero fa sì che il soggetto vaccinato sviluppi gli anticorpi e quando incontra il virus, l’organismo ne viene protetto. Il vaccino per il Covid non è ancora stato prodotto, per la pandemia non c’è da fare prevenzione, ma è necessaria la cura. I politici ne stanno parlando, ma gli stanno dando un’importanza sbagliata e magari pensano di blindare tutti fin quando non arriverà il vaccino. Bisogna pensare al presente, e abbiamo la fortuna di poter vedere come è stata sconfitta la pandemia in Cina: i cinesi hanno domato il virus, quindi sapremmo quali misure dobbiamo attuare per sconfiggerla, anche per quanto riguarda la terapia.

Si attende con molta apprensione l’arrivo dell’autunno: molti virologi si aspettano una seconda ondata pandemica, alcuni la danno già per certa. Secondo lei si verificherà?

 Ci si sta preoccupando di una eventualità, con l’epidemia ancora in corso. Comunque molto dipende da quello che facciamo adesso, perché se siamo in grado di dominare il virus, di controllarlo, successivamente avremo una popolazione già in gran parte immunizzata, come succede in tutte le epidemie di tipo influenzale. Verificandosi questo, il virus non avrà più motivo di circolare perché non troverà più soggetti adatti da attaccare.

Proprio in questi giorni è stata confermata la notizia, da lei anticipata, che il Covid produce nell’organismo colpito gli anticorpi, immunizzandolo. Perché è stata confermata solo adesso?

Esatto, una notizia importantissima. Quello che non fa il vaccino. È stata confermata solo adesso perché evidentemente chi se ne sta occupando non ha conoscenza ed esperienza necessari.

Il suo maestro, Albert Sabin, disse: “C’è sempre un intero spettro di grigi, tra il nero e il bianco”. Professore, quali sono stati i grigi nella pandemia da Covid-19?

I grigi sono stati innumerevoli. Per esempio, sui contagiati e il numero degli infettati: per affermare con sicurezza la quantità di contagiati, devo aver fatto un buon numero di tamponi, e non sono stati in grado di fare questo. Non si è potuto adoperare immediatamente un test diagnostico, e invece sempre i cinesi li avevano già adoperati. E quindi anche questo è stato un ulteriore ‘grigio’, un ulteriore ritardo, si sarebbero dovuti analizzare gli anticorpi almeno dei guariti. In ultimo, l’enorme confusione sulle vittime, abbiamo dovuto aspettare le direttive dell’Istituto Superiore di Sanità che ha ascritto solo una parte delle vittime al Covid-19. Questo stress inflitto alle persone si ripercuoterà anche a livello immunologico. La maggior parte della popolazione è terrorizzata.

Giulio Tarro con Albert Sabin

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