“Salvare le cellule sane senza passare dalla chemioterapia”. La scoperta del team di ricercatori pugliesi

by Andrea Giotta

Salvare le cellule sane evitando di passare per la chemioterapia. Come? Attaccando, con dei farmaci specifici, una proteina, SMYD3 nello specifico, attuando così terapie farmacologiche mirate.

Cos’ è questa proteina, quali sono le sue funzioni e soprattutto, che ruolo ha nelle neoplasie? Lo abbiamo chiesto al dottor Cristiano Simone, ricercatore Airc che, insieme ad un team multidisciplinare di esperti, ha scoperto come attaccare questa proteina. Varie figure professionali come genetisti, biologi, medici, si sono raggruppati intorno a un tavolo e,  negli scorsi  mesi, hanno studiato questa proteina. I lavori, condotti nel laboratorio di genetica dell’ospedale  “Saverio De Bellis” di Castellana Grotte,  sono stati finanziati dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e successivamente pubblicati sulla rivista di caratura internazionale iScience. Hanno contribuito anche ricercatori Airc di Roma, Milano e Bologna.

Già da 10 anni a questa parte – afferma Simone –  su SMYD3 si sono concentrati gli studi di ricercatori di tutto il mondo. Classificato come istone metil transferasi, si pensava inizialmente fosse un oncogene, un gene che traduce una proteina indirizzante verso le caratteristiche proprie del cancro, perché la sua presenza era notevole in vari tipi di tumori. Nel 2015 abbiamo partecipato alla creazione di inibitori farmacologici sui quali, nel giro di alcuni mesi, si sono imbattute le grandi case farmaceutiche e le università americane. A seguito di questi studi si è visto che, non essendoci un coinvolgimento nella proliferazione cellulare, il ruolo di SMYD3 non era quello di oncogene.

Per accertare la sua funzione dunque sono stati condotti  screening di peptidi, attraverso i quali si è voluto verificare con quali e quante superfici questa proteina interagisse. Una vera e propria “esca” per lanciarla sul proteoma umano.  Tratto il dado, gli esiti degli studi hanno dato parere inequivocabile: SMYD3 interagiva con solo 24 proteine, pochissime se si considera che l’insieme di proteine mappate nell’uomo è 17.0000, tutte appartenenti alla stessa famiglia ovvero quella di BRCA2, ATM e CHK2  le quali cooperano nel processo di ricombinazione omologa al fine di riparare danni a doppia elica che  il DNA subisce”.

Di qui l’intuizione alla base della scoperta fatta dal team guidato dal dottor Simone: “SMYD3 è una sorta di riparatore – prosegue Simone –  di cui si servono  le cellule neoplastiche per ripristinare il proprio DNA e evitare così la morte cellulare, facendo progredire un quadro clinico canceroso”.

C’è di più: studiando dei casi clinici, riguardanti una famiglia in cui era presente, in maniera congenita, un cancro al seno, si è visto che in questi soggetti SMYD3 era mutata. Nelle cellule normali, quindi non neoplastiche, come si è potuto constatare,   oltre ad essere poco espressa, SMYD3 collabora con le proteine del riparo del DNA, mentre una sua mutazione predispone a un cancro della mammella . Di contro invece, cellule tumorali, indipendentemente dal tipo di cancro, sia esso all’ovaio, al pancreas o al seno, con geni del riparo del DNA (ATM, CHK2 e BRCA2) funzionanti presentavano una grande percentuale di espressione di SMYD3,  che per di più  rende immuni  le cellule tumorali alla chemioterapia. 

Sulla base di queste considerazioni si giunge a una conclusione. Evitare la morte di cellule sane, ma indurla solo in quelle neoplastiche. Questo è l’aspetto pratico  alla cui base sono le scoperte fatte dal team pugliese, basate sul concetto di farmacologia del doppio letale sintetico. Studiando dei modelli di cancro al seno, colon, ovaio e pancreas, tenendo conto che, per ripristinare un danno a doppia elica del DNA le cellule hanno due possibilità, usufruire dell’azione di geni come BRCA1, BRCA2, ATM, CHK2 oppure sfruttare la via dei PARP inibitori, i ricercatori hanno visto che in casi in cui nell’ambito  della neoplasia i geni BRCA1 e 2 fossero  mutati, il paziente era sensibile alla via dei PARP inibitori. Anche qualora BRCA1 e 2 fossero funzionanti ma venisse prodotta SMYD3, si può utilizzare la via dei PARP inibitori.  

Si può dunque uccidere, in maniera selettiva le sole cellule mutate. Come? Bersagliandole con i PARP inibitori. Cosa sono? Sono dei farmaci mirati che colpiscono specificatamente le cellule tumorali, inducendone la morte  evitando così  di colpire anche le cellule sane. Cosa significa? Significa – spiega Simone – che il paziente, beneficiando di queste terapie faramacologiche personalizzate, evita di dover sostenere cicli di chemioterapia.

Che accezione ha, al giorno d’oggi la ricerca in campo oncologico?

“È fondamentale,  soprattutto in oncologia, campo in cui si scoprono e si testano sempre più nuovi farmaci a bersaglio, ovvero molecole chimiche in grado di colpire dei punti di vulnerabilità delle cellule tumorali inducendole a morte selettiva.

Ciò è  da considerarsi come un  passaggio fondamentale della medicina di precisione nell’ambito della terapia personalizzata delle malattie oncologiche, le quali  possono essere sensibili a terapie diverse e innovative.

Tutte le molecole che noi introduciamo nel copro vengono modificate e attivate.

Oggi sappiamo grazie alla caratterizzazioni genetiche dei pazienti che ognuno di essi avrà capacità differente di attivare o di eliminare i farmaci, in questo senso sono importanti  gli studi di farmacogenetica che  permettono di disegnare terapie personalizzate.  Sono auspicabili sempre maggiori investimenti nel campo della ricerca

L’oncologia italiana raggiunge risultati straordinari, su tutti cito le  percentuali di guaribilità, che ad oggi sono molto alte. Una delle frontiere che si stanno sempre più implementando è l’immunoterapia, lavori di  immuno chekpoint  evitano l’elusione da parte delle cellule tumorali alla risposta immunitaria”.

Infine cosa si sentirebbe di dire a un giovane studente desideroso di fare ricerca? “Dico di seguire questa strada. Innanzitutto è un grande privilegio poter fare questo mestiere mettendoci tanta passione, tanta forza. Nonostante vi sono insite frustrazioni,  esse sono compensate da soddisfazione come può essere la riuscita di un piccolo esperimento. La ricerca ha assolutamente bisogno di giovani, che io personalmente caldeggio fortemente”.

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