C’era una volta lo Stato di diritto

by Enrico Ciccarelli

Salve. Non era vero niente. L’indagine che nell’ottobre del 2019 aveva portato all’arresto dell’ex-parlamentare Angelo Cera e di suo figlio, il consigliere regionale Napoleone, era fondata sul nulla cosmico. L’inchiesta, che aveva lambito anche l’ex-assessore regionale Ruggeri e il presidente della Regione Michele Emiliano, era basata sull’idea degli inquirenti che fosse stata pretesa dai Cera una nomina (il commissario di una Asp di Chieuti) in cambio di un appoggio da parte dell’Udc in una competizione elettorale amministrativa. Circostanza che mi pare non solo attendibile, ma pressoché certa.

Questa fragorosa indagine, reclamizzata con una conferenza stampa dalla vasta eco anche nazionale, non è arrivata nemmeno al processo: le indagini sono state chiuse nove mesi dopo gli arresti domiciliari e in soli sette mesi il Gip ha disposto l’archiviazione dell’inchiesta. Il fatto che la nomina controversa non sia mai avvenuta, naturalmente, c’entra poco, perché la tentata corruzione è reato come la corruzione riuscita: il problema è che questo tipo di trattativa e di scambio non è un reato, ma il normale modo di essere della vita politica, specie dalle nostre parti.

Perché nel Mezzogiorno è invertito il normale paradigma democratico. Non è il consenso a generare potere, ma il potere a generare consenso, e la vicenda che ha riguardato la Asp di Chieuti è assolutamente identica a quella che ha riguardato e riguarda tutte le nomine di sottogoverno, in Puglia come altrove. Se prendiamo la mappa di queste nomine, indipendentemente dalla personale capacità dei nominati, troviamo una precisa corrispondenza e appartenenza politica. Può piacerci o non piacerci, ma scoprirlo solo con riguardo a Chieuti e ai Cera presta il fianco a più di una perplessità.

Tanto più che l’esito finale era tutt’altro che imprevisto: la stessa ipotesi di reato era stata formulata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere ai danni di Sandra Lonardo in Mastella, con il suo arresto e la conseguente caduta del Governo Prodi e le elezioni anticipate del 2008. E a grandi linee ha avuto la stessa morfologia, anche se ha provocato più che altro il passaggio dell’interessata dalla politica a Ballando con le stelle, l’inchiesta in cui è stata coinvolta Nunzia De Girolamo. Inchieste tutte caratterizzate da grande clamore mediatico, tutte conclusesi con un non luogo a procedere o un’assoluzione.

Perché continua a succedere? Perché abbiamo magistrati che additano al pubblico ludibrio il fatto che nella segreteria dei Cera ci fosse l’eliminacode come alle Poste o in salumeria? Perché da circa trent’anni ai magistrati si chiedono cose diverse dall’applicazione delle norme: li si vuole giustizieri, castigatori, fustigatori di costumi. Ed è inevitabile che funzionari pubblici, per quanto mediamente equilibrati e nella maggior parte dei casi probi e disinteressati, si facciano prendere dalla tentazione di rovesciare le cose come un calzino, per usare un’espressione di ricorrente fortuna.
Peccato che il primo calzino a essere rovesciato in queste circostanze sia il calzino della democrazia; perché è del tutto evidente che, lo si sappia o meno, non si punta a un concreto risultato processuale, alla repressione di un comportamento criminoso, ma ad un exploit mediatico, a una gogna, a un mascariamento, come si dice in Sicilia.

Non si vuole ottenere una pena in Tribunale, ma destare, attraverso i giornali, la vindice indignazione del popolo. Per questo si danno spesso a queste inchieste titoli suggestivi, inducendo i pm o gli agenti della Polizia giudiziaria a tramutarsi in improvvisati copywriter. Questa inutile e strampalata inchiesta si è chiamata “C’era una volta”. C’era una volta lo Stato di diritto. Ed è urgente e necessario che torni a esserci. Alla prossima.

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