Conte si è fermato a Eboli

by Enrico Ciccarelli

La perfidia di Matteo Renzi nel sottolineare in tv il risultato di Eboli, dove Giuseppe Conte ha riempito la piazza ma nelle urne la lista del Movimento Cinquestelle ha preso poco più della metà dei suffragi della lista di Italia Viva, è certamente una rappresaglia per i sarcasmi e peggio che l’ex-premier, Rocco Casalino e i pentastellati riversano sul suo presunto uno per cento. Fotografa però con buona chiarezza due cose di una certa evidenza: la prima è che la popolarità indubbia dell’avvocato di Volturara Appula non si traduce in consensi, tanto meno in elezioni locali; la seconda è che Conte, in quanto capo politico dei Cinquestelle non ha la funzione di rilanciare il Movimento, ma di essere il commissario liquidatore.

Non è colpa sua, benché certamente dipenda in parte anche dalla vacua inconsistenza del personaggio, che piace molto più per i suoi modi e per il suo aspetto che per le sue idee (ove si sia tanto bravi da rinvenirne nei suoi discorsi fumosi). Il fatto è che, collocando il Movimento all’interno di uno dei poli dello schieramento politico italiano, ne certifica la totale inutilità. L’abbandono della sua main promise, cioè quella di essere oltre le antiche divisioni in nome di valori pre-politici come l’onestà e l’odio per la Casta, toglie agli interpreti nostrani del populismo qualunque tratto distintivo, né possono bastare a restituirglielo le sempre più precarie “restituzioni” o le episodiche campagne d’odio su twitter e sui social.

Anche l’eventuale ingresso di Conte in Parlamento (tramte suppletive, nel caso Gualtieri dovesse spuntarla a Roma) saremmo di fronte a un altro passo verso l’omologazione, visto che il fatto che Beppe Grillo non fosse e non volesse essere in Parlamento è stato un tratto caratteristico dello spirito delle origini. Freddo e lontano il Garante, precipitato in un gorgo di contenziosi il rapporto con Rousseau e Casaleggio Jr., il M5S, da forza antisistema è divenuto palestra di privatisti che cercano di farsi promuovere alla scuola dei grandi: Conte incoronato da Bettini, Di Maio elogiato da Letta e pochi altri salvati, con gli altri ricacciati nel buio della storia. Il resto nella diaspora verso la Lega, Verdi, Italexit e varia cianfrusaglieria.

Certo, Conte può vantare un personale ruolo nella vittoria di Napoli, per la scelta del candidato (ma che prova di pusillaminità meschina andare a pavoneggiarsi nel luogo della vittoria lasciando sola Virginia Raggi nel giorno più amaro!), ma il bilancio è fallimentare sotto ogni profilo, con il Movimento estraneo o irrilevante nelle vittorie del centrosinistra e presente ai ballottaggi, se non ho letto male, in meno di un quinto dei Comuni interessati al secondo turno.

La speranza accarezzata da Conte e Casalino, di un trionfale ritorno a Palazzo Chigi come candidato premier del centrosinistra sembra oggi molto più pallida. Perché, ammesso che Enrico Letta riesca a costruire il nuovo Ulivo di cui vagheggia o delira, e ammesso che questo schieramento trionfi su un centrodestra tanto confuso quanto maggioritario, sarebbe complicato spiegare perché la premiership dovrebbe andare non a una figura terza, ma al capo di uno dei partiti della coalizione, e per giunta con una quota sociale di larghissima minoranza. Ciò che non riuscì a un Di Maio fresco del 32% riuscirebbe a un Conte con il 10 (se va bene)?

Per carità, la politica ci ha abituato a ben altri paradossi. Ma l’impressione è che l’avvocato del popolo, il sovranistapopulistamoderatoprogressista Giuseppe Conte, la figura più simile a Zelig che il nostro Paese abbia mai conosciuto, sia già al passo d’addio. Forse gli converrebbe andarsene a casa e restare lì in attesa di tempi migliori, come riserva della Repubblica (un ruolo che in Italia è di grande e ricorrente successo). Ma il rischio di essere rapidamente dimenticato, e di sopravvivere solo nella memoria del povero Pierluigi Bersani è molto alto. Perché è vero che il titolo di questo articolo, sull’onda delle suggestioni del bel romanzo di Carlo Levi, inserisce Conte in una similitudine che probabilmente soddisfa il suo ego non precisamente minimo. Il problema è che non ci sono più i Redentori di una volta. Spiace.

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