Francesco Traiano e Bussolotto, se Foggia balla al ritmo di sette Ottavia

by Enrico Ciccarelli

Non si può definire oceanica, ma nemmeno irrilevante, la partecipazione alla manifestazione di sabato sera in piazza Cesare Battisti, a ricordo di Francesco Traiano, il titolare di un bar tabaccheria della nostra città. L’incontro è stato organizzato nel primo anniversario della sua morte, causata dalle ferite riportate durante un tentativo di rapina del 17 settembre precedente. Rapina e atroce omicidio compiuti da quattro balordi, che hanno confessato dopo essere stati inchiodati dalle indagini di polizia.

Traiano, martire nel senso etimologico del termine, testimone della violenza criminale arrogante e insensata, è stato così velocemente dimenticato? No, non è vero, anche se si può capire l’amarezza di suo nipote Alfredo (figlio di un’altra martire, la soave Giovanna, vilmente assassinata diciotto anni fa da un uomo indegno di essere chiamato tale) nel vedere che solo poche decine di foggiani, in maggioranza giovani, hanno aderito all’appello degli organizzatori.

Amarezza e delusione che dipendono, anche per colpa di noi giornalisti, da una falsa rappresentazione della realtà. Perché noi continuiamo a raccontarci la favola bella dell’antimafia, continuiamo a raccontare il male come eccezione singolare e perversa, destinata a essere sconfitta dalla marea dell’onestà, dall’enorme numero di persone perbene e virtuose. Ma le cose stanno diversamente.

La mafia non ha solo le pistole, la paura, il potere dell’intimidazione. Ha il consenso esplicito o implicito di molti. Propone valori, appartenenze, fedeltà, vincoli che appaiono assai più saldi di quelli, sempre più pallidi e precari, che ci legano allo Stato, alla comunità dei riti e delle leggi, alle categorie.

Ne volete una prova? Nella ricorrenza del primo anniversario della morte di Francesco Traiano, nessuno ha pensato (se mi è sfuggito, me ne scuso) che valesse la pena di ricordarlo con un manifesto, di quelli che la pietas familiare dedica ai lutti privati. Non un fiato dal Comune di Foggia (quasi che sia stato commissariato anche il dovere di ricordare i nostri figli migliori), da nessuna forza politica, da nessuna organizzazione del commercio. Paragonate questa colpevole inerzia alla vitalità con la quale i ragazzi del “Rione” hanno commemorato Alessandro Lanza, detto “Bussolotto” un 43enne affiliato ai clan mafiosi e morto suicida in carcere. Avrete il senso della gigantesca dismisura, del peso profondamente diverso di queste due tragedie e di come la comunità di riferimento li vive.

Mario Cagiano dell’associazione Ottavia

Ma le ragazze e i ragazzi che hanno organizzato a mani nude la manifestazione di sabato 9 ottobre, erano più di quelli che hanno come loro idolo Bussolotto. Sono giovani come loro, ma in modo diverso da loro, e migliore. Le sette persone che hanno preso la parola davanti al “Giordano” (dal loro numero e dal nome di una delle associazioni organizzatrici viene il discutibile gioco di parole del titolo, tratto da una magnifica canzone del Maestro Battiato) sono i mattoni di un nuovo pavimento per la nostra convivenza civile, dopo che il precedente è miseramente crollato sotto i colpi dell’ingordigia, dell’ignoranza e dell’incoscienza.

Mario Cagiano di Ottavia, Samira Carità di Sfoggia, Francesca Stella di Link, Sabrina Menna dell’Unione degli Studenti, Michele Ferrantino del Gruppo Scout Foggia1, Maria Antonietta Castagni de La Società Civile, Pippo Cavaliere, della Fondazione Antiusura “Il Buon Samaritano”. Ciascuno di loro ha detto cose giuste, condivisibili, importanti, mosse da sete di giustizia e verità. Non solo per Francesco Traiano, ma anche per Marco Ferrazzano, il giovane disagiato psichico che secondo l’accusa sarebbe stato bullizzato, rapinato e indotto al suicidio da sei ragazzi fra i ventitré e i ventisei anni.

Perché è importante partire da questo? Perché non si tratta di crimini di mafia in senso stretto: sono tragedie determinate dai disvalori della mafia, dalla sua subcultura, dalla sua arrogante egemonia simbolica. Proprio per questo combattere su questo terreno è non meno importante che decapitare le cosche, impoverire i clan, contrastare le loro fonti di approvvigionamento, dalla droga alle estorsioni alla prostituzione.

È un derby che riguarda tutti noi, nessuno escluso. E non è fatto di proclami, di indignazione un tanto al chilo sui social. È fatto di ascolto, di intelligenza del reale, di umiltà. Perché dobbiamo essere grati allo sforzo di queste persone e chiedere loro come possiamo dar loro una mano, non dargli lezioni. Il deserto istituzionale e politico in cui Foggia è precipitata fa ancora in tempo a non divenire deserto e disastro morale. Per scongiurarlo dobbiamo metterci tutti a ballare al ritmo di sette Ottavia.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.