Franco Metta, Cerignola e la vendetta della politica

by Enrico Ciccarelli

Dopodomani Cerignola sceglierà il proprio “sindaco di ripartenza” dopo l’onta dello scioglimento per mafia decretato nell’autunno del 2019. Le persone di quella città che conosco danno come più probabile la vittoria di Franco Metta, candidato civico, rispetto a quella di Francesco Bonito, candidato dell’alleanza Pd-Cinquestelle, ma si tratta di umori e sensazioni, perché nessuno è in grado di formulare una previsione attendibile.

Di sicuro c’è già uno sconfitto: una legge improvvida, autolesionista e controproducente come quella che scioglie i Consigli delle Amministrazioni Comunali ritenute infiltrate dalla criminalità organizzata. Come tutti i provvedimenti concepiti come lotta al Male Assoluto, questa norma nella pratica genera disastri e –per eterogenesi dei fini- finisce per alimentare i fenomeni che è nata per combattere.

È un rilievo che si può muovere alla quasi totalità delle novelle legislative introdotte dopo la fondamentale legge Rognoni-La Torre, che permetteva finalmente (e ha solo quarant’anni) l’individuazione specifica del modello mafioso. Si tratta di provvedimenti caratterizzati da demagogia, incoerenza sistemica, abuso interpretativo. La legge che autorizza lo scioglimento dei Consigli Comunali, la cui laboriosa costruzione è durata dal 1991 alla riforma del Testo Unico degli Enti Locali del 2000, è la peggiore di tutte.

Perché? Perché in una città come Cerignola, popolata da diverse decine di migliaia di persone, è illusorio credere che il Comune possa essere gestito secondo i criteri dell’ordinaria amministrazione. È una scelta possibile in un piccolo o piccolissimo centro, dove fra l’altro la minaccia di condizionamento del voto è particolarmente realistica, ma non ha alcun senso in dimensioni più grandi, dove la gestione dell’Ente Comune implica scelte, valutazioni, discrezionalità che non sono consentite a un pubblico funzionario privo di legittimazione popolare come il Commissario prefettizio.

Se a questo si aggiunge la schizofrenia della mancanza di agganci e di sinergie fra iter amministrativo e accertamento di eventuali reati, si realizza un corto circuito paradossale: posso impedire a un sindaco eletto di portare a termine il suo mandato, perché lo commissario, ma non posso impedirgli di ricandidarsi. Certo, su questo ci sono pareri e interpretazioni diverse, e c’è chi sostiene che in caso di elezione di Metta le elezioni verrebbero invalidate. Peggio mi sento! Non solo perché una condizione di ineleggibilità che non poggi su una sentenza di condanna penale mi sembrerebbe potenzialmente pericolosissima; ma anche perché determinarla a cose fatte segnalerebbe un disprezzo del processo democratico davvero impressionante.

E se gli amministratori che non sono riusciti a impedire l’infiltrazione mafiosa o addirittura l’hanno favorita possono essere rimessi in sella dal voto popolare, la politica viene tenuta per diciotto mesi nel limbo, spossessata del suo ruolo di rappresentanza e mediazione degli interessi, senza nessuna possibilità di incoraggiare e far prevalere gli interessi leciti su quelli inquinati. A Cerignola il pratico effetto è stato quello di impedire qualsiasi rinnovamento e dannare i partiti alla coazione a ripetere: a sinistra la puntata numero mille della telenovela Elena Gentile vs Vertici Pd (con il sacrificio del bravo Tommaso Sgarro, forse la candidatura più credibile dell’intero lotto) e a destra, specularmente, il fallito tentativo di nascondere contraddizioni e faide dietro il volto rassicurante di Antonio Giannatempo.

E mentre i partiti se ne stavano al calduccio dei loro riti autoreferenziali, il satanasso Franco Metta faceva quello che da trent’anni sa fare benissimo: la politica. Attaccando i commissari, mettendone in ridicolo o sotto tiro le manchevolezze, dando voce a una città che aveva bisogno di rappresentanza e non di burocrazia. Perché la politica messa nello sgabuzzino si vendica, e se non lo avesse fatto tramite la grinta, la facondia, l’intelligenza di Metta (indiscutibile, si condividano o meno le sue scelte e le sue frequentazioni) avrebbe trovato un altro volto, un altro modo, un’altra strada. Perché le dinamiche sociali non svaniscono per ordine prefettizio.

Se il presunto infiltrabile Metta dovesse tornare a sedere sulla sedia che fu di Salvatore Tatarella e Matteo Valentino non sarà perché Cerignola è mafiosa, malgrado la presenza della criminalità organizzata, come in tutto il nostro territorio, vi sia forte, aggressiva e pericolosa. Ci tornerà perché lo Stato ha usato la sua forza e la sua autorevolezza in modo scriteriato e illogico. E perché la politica è stata ridotta a vaso di coccio senza coraggio e senza dignità tra i vasi di ferro dello Stato e degli interessi oscuri.

D’altronde basta dire che, se il ritorno di Metta fosse scongiurato e toccasse invece a Bonito, magistrato e deputato di lungo corso, avremmo in Consiglio quel simpatico medico, protagonista di un video diventato virale in cui si rivolgeva agli uomini dei clan con espressioni come “noi non ci interessiamo dei vostri affari, voi non vi interessate ai nostri”. Scherzava, povero. Ma obiettivamente non è che lo scherzo facesse ridere a crepapelle.

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