Kabul, i vaccini e il primato dell’Occidente

by Enrico Ciccarelli

L’immagine delle madri di Kabul che cercano di passare i loro figli ai soldati statunitensi attraverso il filo spinato che circonda l’aeroporto della capitale afghana, ha in sé un orrore e un raccapriccio superiore ai filmati delle esecuzioni dell’Isis, della Shoah e del vasto repertorio delle atrocità umane.

Madri che estirpano da sé le loro creature, contravvenendo al comando biologico e culturale di proteggerle, pur di sottrarle a un destino di sofferenza e sventura; difficile immaginare cosa più inumana e crudele. Sappiamo da tempo, tuttavia, che le lacrime, lo strazio e il rimorso dell’Occidente non produrranno altro che -forse- qualche aiuto umanitario. Da quando nel 1848 un ministro francese riferì alla Assemblea Nazionale “L’ordre regne à Varsovie”, l’ordine regna a Varsavia, a significare che le armate russe avevano represso nel sangue la coraggiosa rivolta dei patrioti polacchi, nessuno è disposto a morire per Danzica; e di questi tempi, nemmeno per il vicino di ballatoio. 

La disfatta afghana, di un territorio e di un popolo che non sono stati sopraffatti dai poderosi eserciti zaristi, da quelli dell’Impero Britannico e dall’Armata Rossa, è stata ereditata più che provocata da Joe Biden. Ha il solo triste merito di avere dopo vent’anni mandato in soffitta Enduring Freedom, la dottrina Bush dell’esportazione della democrazia liberale sulle ali dei B-52. Ma seppellisce anche, probabilmente, la comfort zone in cui si è cullata l’Europa Occidentale dal 1945, protetta dall’ombrello nucleare statunitense e ben lieta di ridurre le spese militari nei propri bilanci. 

I ragazzi dello Zio Sam non saranno più mandati a morire in giro per il pianeta se non per la stretta tutela degli interessi americani, dice l’inquilino della Casa Bianca. Intendiamoci, è sempre stato così, e l’interpretazione del concetto di “interesse americano” è da sempre assai flessibile ed estensibile. Ma Biden la enuncia con inedita nitidezza. Per l’Unione Europea, da tempo in mezzo al guado fra pulsioni unitarie e risorgenti nazionalismi, può essere l’ultima chiamata. Essere allo stesso tempo un nano demografico e militare e un gigante economico e culturale è un lusso che non ci si può più permettere. Stati Uniti d’Europa, nelle forme possibili, e Difesa Comune Europea (quella che Alcide De Gasperi propose inascoltato nel 1953!) sono percorsi e traguardi ineludibili, se si vuole essere argine non solo rispetto alle ambizioni panslave della Russia (da Pietro il Grande a Vladimir Putin poco cambia, per i calendari della geopoliica) ma anche rispetto al neosultanato che è nelle trasparenti intenzioni di Erdogan e della sua Turchia. Il necessario ridisegno dell’Occidente, che per vincere la competizione nell’età del multilateralismo, ha bisogno di articolarsi su due gambe e non più su una soltanto provvista di appendice, passa anche per una decisione a suo modo storica come quella sui vaccini anti-Covid.

Premesso che, variante Delta o meno, la pandemia è tutt’altro che sconfitta (l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che provocherà più morti nel 2021 che nel 2020), e premesso che, con buona pace dei vari imbecilli pericolosi in circolazione, il vaccino è la risposta migliore che abbiamo, per contenere le perdite umane e garantire la ripresa delle attività e dei commerci, non siamo nelle condizioni, anche spingendo al massimo la nostra capacità produttiva, di garantire dosi sufficienti all’immunizzazione di una consistente quota della popolazione mondiale.Possiamo dire ai Paesi poveri “mettetevi in coda” oppure convincere Big Pharma a sospendere il copyright dei brevetti e concedere licenze di fabbricazione. L’India e il suo miliardo di abitanti ne avrebbero un bisogno estremo, ad esempio. E possiamo farlo solo noi, perché, a parte quello cubano di cui si sa troppo poco, gli altri vaccini, soprattutto quello cinese, funzionano assai meno dei vari Pfizer, Moderna e Astrazeneca.

Non è un caso, ma di questo a un prossimo articolo.Qui basti dire che solo questo gesto storico di grande generosità e coraggio ci permetterà di “tornare a Kabul”. Perché sarà un pratico esempio di quello che Rudyard Kipling chiamava “il fardello dell’uomo bianco”, la capacità e il dovere dell’Occidente di prendere per mano il pianeta intero, di sottrarre le moltitudini alla fame e alla sete, di dire a ogni singolo membro dell’umanità che il destino non è scritto, che nessuno è inerme. Nei pochi decenni nei quali la modernità è stata un punto di riferimento universale, quando a Kabul le ragazze portavano la minigonna e i capelli alla maschietta, questa credenza, questa fiducia erano assai più importanti delle baionette e dei carri armati. Poi hanno prevalso gli aspetti predatori e feroci, le devastazioni identitarie che hanno causato il risorgere dei fondamentalismi.

La Storia, proprio come la Rivoluzione, non è un pranzo di gala, e sarà lungo e difficile risalire la china e invertire la tendenza. Ma non c’è supremazia dell’Occidente (evidente da un gran numero di punti di vista) senza legittimazione morale. Non è questione di Prodotto Interno Lordo, ma di valori smarriti. Un primato non devi solo conquistarlo o mantenerlo, ma meritarlo.

I vaccini anti-Covid ci danno un’occasione irripetibile per farlo. E coglierla potrebbe essere il canto del cigno di Angela Merkel, con Barak Obama l’unica statista occidentale di questo periglioso e controverso Terzo Millennio.

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