Mario Nero, il colore dell’oblio

by Enrico Ciccarelli

Salve.
È sorta una querelle anche in ambito giornalistico a proposito dei manifesti funebri che sarebbero stati negati a Mario Nero, il testimone oculare che permise di far arrestare gli assassini di Giovanni Panunzio, colpito a morte per la sua opposizione al racket il 6 novembre del 1992. Premesso che non ho alcuna cognizione diretta dei fatti, a me pare difficile che la notizia sia inventata di sana pianta. E ritengo che non possa riguardare l’intero settore delle onoranze funebri della città.

Mi pare verosimile che in questo settore, come in tutte le città meridionali, ci siano operatori e aziende in cario modo collusi con la malavita, e ne fanno fede diverse inchieste passate e recenti.

Allo stesso modo mi pare ce ne siano di assolutamente trasparenti e perbene, che certo non avrebbero avuto difficoltà a onorare la memoria di Nero. Sinceramente non credo neanche che, malgrado l’avversione a chi per la cultura mafiosa è un infame, i clan avrebbero obiettato più di tanto. Penso si sia trattato, eventualmente, di un eccesso di zelo; perché non credo che la mafia foggiana, malgrado la sua indiscutibile pericolosità, abbia una tale consapevolezza identitaria da imporre l’interditio nominis ai suoi nemici, specialmente se scomparsi.

E tuttavia l’episodio ci rivela una verità impietosa non sulla forza della mafia, ma sulla nostra debolezza. Perché i nostri eroi civici, i Giovanni Panunzio, i Mario Nero, i Francesco Marcone, sono relegati nel dimenticatoio. In una città la cui toponomastica celebra l’inutile strage della prima guerra mondiale o le truci avventure del colonialismo, a loro spettano, quando va bene, viottoli periferici. Non è strano. Quand’è che abbiamo onorato Maldacea Moisé, l’unico garibaldino foggiano? Chi si ricorda di Silvestro Fiore, gagliardo eroe proletario assassinato per molto presunti motivi passionali? E perché c’è scarsa traccia nel nostro presente del martire delle Fosse Ardeatine Ugo Stame, un tenore cui non siamo riusciti a intitolare un auditorium? Perché nessuna strada ricorda il partigiano gappista Pasquale Balsamo?

Naturalmente non sono le strade, cari amici: è la memoria. Il nome di Giovanni Panunzio vive grazie alla benemerita associazione formata dai suoi familiari, quello di Francesco Marcone nell’esempio di sua figlia Daniela, vicepresidente di Libera. Quasi che sia questione privata, che la comunità subisce con comprensione o educazione, ma senza farla propria. In una città i cui social rigurgitano di proclami antimafiosi, che invoca a ogni pié sospinto pena di morte, gogna pubblica, lapidazione, questi eroi scomodi non hanno onore di pianti se non in ristretti circoli di anime salve. Sono i clan a volere l’oblio per Mario Nero, per la sua vita devastata dal dovere e omaggio allo Stato e alle sue leggi? No. È la nostra indifferenza, la nostra ipocrisia, la nostra colpevole distrazione. Vogliamo applaudirli alle feste comandate e poi dimenticarcene. Credete che basti? Alla prossima.

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