Matteo Renzi, la connection mediatico-giudiziaria e lo Stato di diritto

by Enrico Ciccarelli

Ha ragione chi dice che l’inchiesta Open rappresenti un punto di non ritorno nei rapporti fra la magistratura e gli altri poteri dello Stato. Esiste una legge che disciplina il finanziamento dei privati ai partiti politici: per applicarla, valutandone eventuali infrazioni, alla Fondazione Open è necessario qualificarla come partito politico.

Operazione assai scivolosa e finora inedita, che di necessità costringe la magistratura a un ruolo politico esplicito, tanto più sinistro e pericoloso perché nessuna delle molte Fondazioni (su tutte ItalianiEuropei) vicine a esponenti o partiti politici, e spesso esplicito strumento per agevolare o ampliare le loro attività sono state passate al pettine fine come quella presieduta da Alberto Bianchi. Inoltre l’apertura di questa indagine ha comportato perquisizioni a tappeto in tutta Italia, con sequestri di notebook e altro in danno dei finanziatori della Fondazione. Attività che la Corte di Cassazione ha severamente censurato perché immotivate e sproporzionate.

È più di un’impressione, insomma, che il procedimento sia uno di quelli in cui si individua prima il colpevole e poi la colpa. D’altronde è stato il capo di una corrente della magistratura ad auspicare che intorno a Renzi si stendesse un cordone sanitario. Ed è nota l’aperta ostilità verso l’ex-presidente del Consiglio di una parte consistente dell’informazione italiana, in particolare del Fatto Quotidiano e delle testate del Gruppo Cairo, ostilità rinfocolata anche dai diversi risarcimenti che Renzi ha ottenuto in sede civile per articoli e titoli ritenuti diffamatori.

Succede così che i pm acquisiscano informazioni bancarie su Renzi, che le ritengano prive di qualsiasi rilievo penale, ma ciò non pertanto le mettano agli atti (e quindi a disposizione delle parti) con ciò consegnandole ai giornali, che non mancano di imbastire sulla cosa un ampio clamore mediatico, quasi ad accusare il leader di Italia Viva di avere svolto –beato lui- delle attività ben remunerate in Italia e all’estero, attività del tutto lecite sulle quali ha regolarmente pagato le tasse. Immaginiamo, per capire la portata dell’abuso, che i magistrati dispongano la sorveglianza dell’abitazione di un privato cittadino, magari noto, che da quella attività di sorveglianza si ricavino immegini che provino o facciamo credere che quel cittadino o sua moglie coltivino una relazione extraconiugale e che quelle immagini prive di rilievo penale vengano messe agli atti. È logico? È normale? Direi di no.

E c’è di più: il cittadino perseguitato in queste forme violente è un parlamentare della Repubblica. Nei confronti del quale l’ordinamento prevede alcune specifiche garanzie, che sono correntemente riassunte con il termine improprio di immunità parlamentare. Sciaguratamente modificata nel 1993 in piena bufera giustizialista, l’immunità parlamentare è un ovvio e antichissimo requisito della democrazia: prevede che i parlamentari non siano responsabili per i voti e le opinioni espresse nell’esercizio del loro incarico (sarebbe un voto assai poco libero quello che esponesse a ritorsioni) e che non possa essere privato della libertà se non in applicazione di sentenza definitiva o previo l’assenso della Camera di appartenenza, che deve anche deliberare sul possibile utilizzo processuale di intercettazioni ambientali e telefoniche in cui si ritrovi casualmente il parlamentare (perché per intercettare direttamente lui serve un’autorizzazione preventiva).

Sembra quindi chiaro che, prima di chiedere alla banca l’elenco dei bonifici ricevuti dal senatore Matteo Renzi, i giudici avrebbero dovuto chiedere al Senato di essere a tanto autorizzati: autorizzazione che non risulta non dico concessa, ma nemmeno richiesta. Ora, l’istituto dell’immunità parlamentare serve per l’appunto a proteggere i membri del Potere Legislativo dai possibili abusi di altri poteri dello Stato. Del Re, all’origine, poi dell’Esecutivo. A maggior ragione del potere giudiziario, sia o meno in vario modo soggetto al Governo.

È per questo che suona particolamente assordante il silenzio di alcuni leader politici, da Giuseppe Conte a Enrico Letta. Perché il punto non è affatto quanto ci sia simpatico Matteo Renzi e quanto si condividano le sue posizioni e la sua azione politica: il punto è se vogliamo restare una democrazia e uno Stato di diritto o divenire un Paese in balia della trasparente, pericolosa, spudorata connection fra settori criptoeversivi della magistratura e giornali-partito. Sarebbe utile capire se il manettarismo e l’aggressione al Parlamento, che hanno sempre caratterizzato i fascismi, sia oggi la nuova bandiera della sinistra o sedicente tale. Per potersi regolare, mica per altro.

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