Salvini, Renzi, Conte. Sul Quirinale la sfida all’ok Corral fra sovranisti ed europeisti. Le elezioni 2023 come il 18 aprile 1948

by Enrico Ciccarelli

Come tutti, non so cosa succederà nelle prossime ore per la scelta del nuovo inquilino del Colle più alto di Roma. Non è la prima volta che la scelta del presidente della Repubblica si rivela un puzzle complicato. Ma solo nel 2013, a mia memoria (ho seguito queste vicende dall’elezione di Giovanni Leone in poi), si è visto un tale imbarazzante dilettantismo nella conduzione, vuoi per l’insipienza dei “detentori del boccino”, ieri Pierluigi Bersani, oggi Matteo Salvini, vuoi per l’evidente decadere della qualità delle nostre rappresentanze parlamentari.

Il massacro della seconda carica dello Stato, la candidatura a mio avviso improvvida e improcedibile della capo dei servizi segreti, il clima di veleni e sospetti all’interno delle coalizioni e dei gruppi, le ridicolaggini come quella del dem Borghi, che esigeva l’allontanarsi della Casellati dalla funzione di passare le schede da una mano all’altra sono le conseguenze di questo combinato disposto. Non so se alla fine si riuscirà a frenare la caduta verticale della dignità della politica, già largamente verificatasi durante l’epopea Ciampolillo.

Di sicuro que e sta legislatura sconsiderata si chiude nello stesso modo aberrante con cui si era aperta, grazie alla terribile sbronza degli Italiani, divenuti nelle urne del marzo 2018 “punitori di se stessi”, per dirla con Menandro e Terenzio. Quel voto, cascame e conseguenza del suicidio consumatosi il 4 dicembre del 2016, ultimo autobus per dotarci di un sistema istituzionale in grado di funzionare, ha portato sovranisti e populisti a percentuali mai raggiunte nella storia, facendo di una ciurma casuale e raccogliticcia il gruppo di maggioranza relativa. Ed è la stessa maggioranza della demagogia e dello scasso che ha cercato di prendere nelle ultime ore il timone, con la non casuale e ostentata benedizione del principale responsabile delle nostre sciagure, il signor Grillo Giuseppe da Genova.

Il ritorno dell’aggressione populista, che sogna la rivincita contro la salvifica e provvidenziale condotta di Sergio Mattarella e del suo incarico a Mario Draghi (cercato, voluto e promosso da Matteo Renzi e profondamente apprezzato sia nelle cancellerie europee che Oltreoceano), spacca irreversibilmente le coalizioni: è plastica la dissoluzione del centrodestra, che non poteva sopportare a lungo l’ambiguità della Lega bifronte; e sono sotto gli occhi di tutti le macerie dell’alleanza Pd-Cinquestelle, con il presunto punto di riferimento dei progressisti che alla prima occasione inciucia con le destre e con quel Matteo Salvini che è stato peraltro un suo vice.

Quanto accaduto, che contraddice e sbugiarda l’idea di comodo secondo cui sarebbe stato Renzi a fare da sponda e supporto al centro-destra, dice anche che siamo in realtà di fronte alla replica dei fasti del Papeete: come allora una destra istituzionalmente immatura è pronta a far ripiombare l’Italia nel caos portandola su una linea avventurista e antieuropea, assai discutibile dal punto di vista della fedeltà atlantica, pronta a flirt filorussi e filocinesi. Punta, per accrescere il suo potere, su un Movimento Cinquestelle al di sotto delle parti, che non può camuffare con qualche spruzzata di ambientalismo la sua natura intimamente retriva e reazionaria.

Dall’altra parte c’è la maggioranza Ursula (dal nome della presidente della Commissione Europea) con l’aggiunta casuale e ininfluente dei grillini, che sostenendo Mario Draghi ha l’ambizione di traghettare il Paese fuori dai disastri strutturali che la pandemia ha solo evidenziato e di aspirare alla leadership del continente. Le elezioni del 2023 (perché non credo che la triade sfascista Conte-Salvini-Meloni ce la faccia a provocare le urne in anticipo) sembrano profilarsi come una sorta di 18 aprile tre quarti di secolo dopo. Gli Italiani fecero allora la scelta che la storia ha dimostrato migliore. Ce la faranno anche questa volta?

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