Una preferenza

by Lea Durante

Un  giorno bisognerà pur scriverla, questa storia. Scriverla per intero, dico. Le circostanze, i nomi, gli interessi  in gioco, le implicazioni sociali, politiche, culturali, istituzionali. Proprio tutto. 

La cronaca, infatti, è già alle spalle: la Regione Puglia,  amministrata da una coalizione di centro-sinistra (uso per brevità e per convenzione questa formula ormai del tutto inadeguata a rappresentare la situazione) non ha recepito la norma nazionale del 2016 che introduce la doppia preferenza di genere  nella legge elettorale, quel dispositivo, cioè, che permette a chi lo voglia di votare due nomi, purché di sesso diverso, per facilitare il superamento della predominanza maschile nelle cariche elettive, in un Paese in cui le donne esercitano tutte le professioni eagiscono in ogni campo della vita associata. Il Governo interviene per sanzionare l’inadempienza e per sollecitare una soluzione, a poche settimane dalle elezioni.  Non è solo la Puglia a mancare all’appello, ma anche la Liguria, una regione amministrata dal centro – destra che velocemente si mette in pari.

A Bari no. Eppure le donne sono storicamente  impegnate su questo fronte da lunghi anni, avendo proposto una legge di iniziativa popolare nel 2012 che raccolse ben 30000 firme, eppure  la Commissione pari opportunità dello stesso Ente regionale ha lavorato nella direzione giusta, eppure le elezioni comunali già si svolgono secondo la nuova legge, eppure sono sorti comitati che non hanno esitato a minacciare ricorso in caso di mancato adempimento, eppure, eppure, eppure.

Ieri l’ultimo atto. In una mattinata bollente, il fior fiore delle professioniste, delle attiviste, delle donne da sempre in prima linea per i diritti uguali, ha atteso in una piazza metafisica che l’ultimo consiglio regionale della legislatura iniziasse alle 11,00 come da programma, per discutere fra l’altro del punto in questione.  Lorena Saracino, Magda Terrevoli, Maria Pia Vigilante, Anna Losurdo, Veralisa Massari, Patrizia del Giudice fra le altre. Diverse decine in collegamento streaming per assistere a quella che già si annunciava come l’ultima farsa prima della indecorosa chiusura. Voci di corridoio si susseguono, i consiglieri tardano in riunioni e telefonate, il consiglio inizia con un ritardo di quattroore, mentre le “signore”, le “nostre donne”, vengono tenute fuori con la provvidenziale complicità delle norme di distanziamento.

Il resto è un ormai leggendario gioco delle parti fra maggioranza e opposizione, un esercizio della retorica, della dissimulazione e della tecnica parlamentare dell’ostruzionismo, attuate attraverso interventi alessandrini, migliaia di emendamenti  tesi alla vaporizzazione del centro del problema, gaffe grammaticali e sintattiche tenute a stento a bada dalle trascrizioni,  barocchi scambi di ruolo. A notte fonda, come nel teatro dell’assurdo, i consiglieri lasciano l’aula alla spicciolata, facendo mancare il numero legale per  votare.  Hanno sonno, sono stanchi per l’impresa vinta: aver conservato tutti per uno e uno per tutti lo scranno della prossima assemblea che si voterà a settembre. 

Si attende ora un provvedimento sostitutivo del Consiglio dei ministri. Ma intanto la politica, ridotta già da tempo a buona posizione personale, a  posto fisso, perde clamorosamente. Non è un mistero dell’aritmetica che in un consiglio già ristretto da 70 a 50 unità sarebbe rischioso offrire posti alle donne.  Alzarsi dalla sedia per farle accomodare è un vezzo maschile buono forse ancora per il ristorante, per la metropolitana, non certo per i luoghi dove si decide e si sceglie. 

Molte sono le considerazioni che la vicenda sollecita. La prima è la necessità  che il movimento delle donne, già attivissimo, trovi ragioni e forme di maggiore coesione. E’ chiaro che la battaglia civile in corso per una rappresentanza paritaria, ben lontana dalle quote rosa a cui ancora qualcuno vuole assimilarla strumentalmente, andrà avanti in tutte le sedi necessarie e possibili. Ma è anche chiaro che gli spazi politici delle donne subiscono una ridefinizione, si ridisegnano con pericolosi rischi di abbandono dei luoghi delle istituzioni. Sarebbe sbagliato:  con ledonne che hanno lottato per il diritto di votare siamo in debito della lotta per il diritto di essere votate. E dobbiamo saldarlo. E’ un altro dei doni che solo noi possiamo fare alla democrazia.

La seconda considerazione è legata al ripensamento del rapporto fra regioni e Stato. E’ un tema con molti risvolti: mentre un fronte conservatore trasversale impone con determinazione una autonomia differenziata che avvantaggi le aree più ricche, da più parti si reclama che punti strategici  fondamentali siano restituiti a una autorità comune e centrale, perché siano garantiti diritti uguali a cittadini e cittadine di aree anche diverse. Se la sanità è stata negli scorsi mesi il cuore di questa discussione, certamente anche l’accesso alle assemblee elettive è un tema caldo in questo senso, come dimostra proprio l’intervento del Governo in materia.

La terza considerazione riguarda l’esplicitezza del trasformismo cui assistiamo, che assume una particolare connotazione di gravità a due mesi dal voto regionale  quando, al di là delle apparenze, risulta davvero difficile fare distinguo saldi e convincenti fra le proposte in campo. Non solo per ragioni di opportunismi  noti da tempo, ma proprio per una reale sovrapposizione e confusione di orientamenti a tutti i livelli, anche quello centrale, come dimostrano provvedimenti e posizionamenti pure recentissimi su partite delicate come per esempio i rapporti con la Libia in materia di profughi. Eppure lo sforzo va fatto, in politica si lavora con quello che esiste per trasformarlo.

Un discorso articolato andrebbe fatto per inserire la questione della doppia preferenza nel più vasto tema della invisibilizzazionedelle donne: un filo rosso unisce la differenza delle retribuzioni fra uomini e donne, il rifiuto del linguaggio di genere, la questione toponomastica e monumentale, il  mancato riconoscimento dell’autorità femminile nei canoni letterario, filosofico, scientifico, e persino il femminicidio.  Facciamo un altro giorno. Oggi amarezza e rabbia prevalgono. Due voti sarebbero meglio di uno.

PH Olga Diasparro

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