Verso il referendum, il No di Riccardo Magi: “Un taglio algebrico che non risponde ad alcuna logica di miglioramento”

by Felice Sblendorio

A pochi giorni dal referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, in programma domenica 20 e lunedì 21 settembre, continua il confronto fra gli schieramenti del  e del No. La riforma, approvata nell’ottobre 2019, prevede una riduzione dei seggi di circa un terzo: alla Camera da 630 a 400 e al Senato da 315 a 200. 


bonculture, dopo le ragioni del  di Stefano Ceccanti, approfondisce le ragioni del No con l’Onorevole di + Europa Riccardo Magi, componente della Commissione Affari Costituzionali alla Camera e già segretario dei Radicali Italiani.

Magi, che questo pomeriggio dalle ore 15.00 parteciperà alla maratona oratoria social del No promossa dal partito di Emma Bonino, è uno dei quattordici parlamentari che votò contrariamente in Parlamento alla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. 

Onorevole, perchè voterà No al referendum?

La nostra contrarietà – a differenza di quello che è accaduto con l’opinione di molti altri partiti – non è cambiata nel tempo. Io, personalmente, ho votato contro questa riforma in tutti i passaggi parlamentari. Inoltre, sono stato anche relatore di minoranza alla Camera, e già in quella circostanza durante il dibattito erano emersi in maniera chiara e inoppugnabile i problemi, l’inconsistenza e la negatività di questo taglio. Un netto taglio algebrico, non una riforma vera e propria, che non risponde ad alcuna logica complessiva di miglioramento. 

I sostenitori del  assicurano che il taglio dei parlamentari garantirà una maggiore «efficienza e produttività» del Parlamento: è così?

Non è vero. Chi conosce il Parlamento sa bene che non abbiamo un problema di funzionamento legato a un numero eccessivo di parlamentari. La lentezza dei lavori oggi non dipende da questo fattore: semmai c’è un problema opposto. Bisognerebbe garantire al Parlamento tempi adeguati di discussione e di esame su alcuni provvedimenti molto complessi come la legge di bilancio. Questo tema non viene minimamente toccato dalla riforma. L’unico punto che avrebbe potuto modificare il funzionamento è quello che riguarda il bicameralismo ripetitivo, ma in questa riforma non viene minimamente sfiorato. 

L’altro tema è il risparmio economico. Non è rilevante questo aspetto?

Su questo punto bisognerebbe informare i cittadini perchè la cifra del risparmio è minima: siamo intorno ai cinquanta milioni di euro l’anno. È inaccettabile sviluppare una riforma costituzionale pensando solamente al lato economico. Ci sono mille modi per poter risparmiare risorse pubbliche. In tanti avevano proposto una riduzione significativa delle indennità dei parlamentari e delle spese di esercizio di mandato, ma non ci sono stati i margini per un ragionamento condiviso. Questa riforma doveva passare come un taglio netto perchè ha un valore fortemente simbolico per il MoVimento 5 Stelle. 

Criticate una visione teorica delegittimante per le istituzioni parlamentari. Una crisi del ruolo, delle funzioni e dell’autorevolezza, però, è sotto gli occhi di tutti. 

Il sistema parlamentare, ma più in generale le democrazie liberali, vivono da tempo una crisi che è dovuta ad alcune prassi che sono oramai consolidate nelle nostre democrazie: l’abuso ricorrente della decretazione d’urgenza e della questione di fiducia, ad esempio. Tutti modi per comprimere le prerogative del Parlamento e, in qualche modo, per addomesticarlo. In più, tema assente nel quadro di questa riforma, c’è il problema della qualità della classe dirigente indebolita dalla crisi dei partiti. Il problema non è il costo, quindi, ma la qualità. Per questa riforma siamo stati in 14 a votare “No” nell’ultima lettura alla Camera. C’era una sorta di rassegnazione perchè in molti hanno votato favorevolmente, pur essendo convinti che fosse una riforma negativa, per obbedire a un diktat di partito che inseguiva una misera demagogia e tentava di condividere un consenso semplice che il M5S stava raggiungendo. Questo referendum, frutto di una crisi della politica che dura da decenni, potrebbe sancire definitivamente una perdita di senso e di ruolo dell’istituzione parlamentare. È inutile negare una crisi in corso, ma questa non è la soluzione, bensì una forma estrema di accanimento su qualcosa che avrebbe bisogno di una potente trasfusione di vitalità democratica. 

Il taglio – in termini numerici – modificherà il rapporto fra cittadini-eletti da circa 96mila abitati a deputato a circa 151mila. È una distorsione della rappresentanza?

Il taglio creerà dei problemi. Non si capisce, su questa linea, perchè 400 e 200. Si sarebbe potuti tornare – anziché stabilire un plenum fisso – a un rapporto stabile fra numero di elettori ed eletti com’era fino al 1973. Decidendo questo rapporto si riduceva sicuramente la rappresentanza, ma non in maniera così netta. Questa riforma, in particolare al Senato, ridurrà l’assemblea creando di fatto delle soglie di sbarramento implicite. Ci sarà un problema di pluralismo delle idee politiche e un vulnus della rappresentanza dei territori. 

Teme una sottorappresentazione delle regioni più piccole?

Certamente: ci sarà un problema di disuguaglianza del valore del voto fra cittadini che andrà a impattare su altri articoli della Costituzione. Il voto avrà sensibilmente un valore diverso rispetto alla zona di residenza. Questo è sempre un po’ vero, ma mai con questi livelli di distorsione. 

I partiti di maggioranza assicurano che alcuni correttivi potrebbero limitare queste problematiche. 

Questi correttivi non correggono nulla perchè le toppe sono peggiori del buco. Il primo correttivo è la legge elettorale che, a mio avviso, se è quella bozza che conosciamo ovvero un sistema proporzionale con uno sbarramento molto alto e liste bloccate, provocherebbe un effetto oligarchico molto forte. Rischieremmo di avere un Parlamento la cui composizione sarebbe conosciuta già in precedenza dai tre o quattro capi dei principali partiti italiani. Gli altri correttivi sono l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo e l’eliminazione della ripartizione dei seggi su base regionale al Senato. Queste ultime riforme ci consegnerebbero un bicameralismo più paritario e ripetitivo di ora. Allora non si spiega perchè avere una Camera di 400 parlamentari e un Senato di 200 se la base elettorale è la stessa e i requisiti per essere eletti sono gli stessi. 

Lunedì, dopo molte incertezze, Nicola Zingaretti ha confermato il voto favorevole alla riforma del Pd. Ha aggiunto che la vittoria del  aprirebbe una stagione ulteriore di riforme e bloccherà «l’inarrestabile vento del populismo». Condivide? 

Questa è l’ultima espressione di uno sbandamento continuo del Partito Democratico. Come si fa a dire che con questo taglio inizia un percorso di ulteriori riforme? Quali sono? Sono nelle buone intenzioni di Zingaretti o di altri esponenti del Pd? Lunedì Zingaretti ha fatto propria la proposta di Luciano Violante che auspicava su Repubblica un superamento del bicameralismo paritario dando al Senato alcuni compiti. Se è questa la proposta del Pd, perchè nei mesi scorsi non si è lavorato su questo punto con l’altro partner della maggioranza? E su questo, cosa ne pensa il M5S di questa proposta? Credo sia poco utile parlare in maniera così superficiale e caotica di una riforma della costituzione che, sicuramente, meriterebbe maggiore rispetto. 

Il No, quindi, non bloccherà ulteriori riforme?

E per quale motivo? Si blocca questa che non è affatto una riforma ma semplicemente un’amputazione demagogica del parlamento e una fregatura per i cittadini presentata in maniera semplicistica. Si possono fare facilmente altre riforme. Perchè non si cerca un consenso in parlamento se c’è qualche disegno di riforma interessante anziché inseguire questo taglio solo perchè è stato posto come base del contratto di governo? In politica le buone intenzioni sono sempre fragili e il contesto di questa maggioranza non lascia intravedere nulla di serio. 

La partita non è ancora chiusa, ma è innegabile un sentimento ostile nei confronti delle istituzioni, della rappresentanza e dei partiti politici. Come si ricompone questa frattura?

Si riparte provando a difendere le nostre istituzioni e il loro funzionamento non negando che ci siano dei problemi. È in atto una crisi molto grave che potremmo oltrepassare pensando, ad esempio, in maniera diversa ai partiti. Oggi, i partiti politici oggettivamente non sono più né luoghi di analisi, di proposte e soluzioni e né luoghi di formazione della futura classe dirigente. Sono oramai delegittimati e si sono ridotti a manutenere poteri personali e leaderistici. Bisognerebbe ripartire da una regolamentazione dei partiti sia nella loro vita interna che esterna, ma dubito che le formazioni politiche con maggior consenso nel Paese condivideranno questi spunti necessari.

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