Alan Fletcher abitò a Peschici finchè la sua splendida vista sulla baia non gli fu preclusa

by Teresa Rauzino

Alan Fletcher (Kenya, 27 settembre 1931 – Londra, 21 settembre 2006) è stato, negli ultimi cinquant’anni, uno dei più straordinari progettisti sulla scena internazionale del design. 

Aveva la non comune abilità di trasformare le piccole cose in progetti visuali significativi: da una macchia di caffè su un tovagliolino di carta a un segno di penna sul suo inseparabile sketchbook (album degli schizzi).

Mosso da una straordinaria passione e da una completa identificazione nel progetto grafico, Fletcher soleva ripetere: “Design is not a thing you do. It’s a way of life” (Il design non è una cosa che si fa. E’ uno stile di vita). “Every job has to have an idea” (Ogni lavoro deve avere un’idea). In “Graphic Design: Visual Comparisons” del 1963 puntualizzava che qualsiasi  problema grafico aveva un numero infinito di soluzioni; molte erano valide, ma dovevano derivare dalla natura del tema; il progettista non doveva avere uno stile grafico preconfezionato.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, con il suo particolare approccio, fu capace di fondere la tradizione della grafica europea con l’emergente cultura pop degli USA, diventando il “pioniere” per eccellenza del design grafico indipendente in Gran Bretagna.

Nel 1956 aveva sposato Paola Biagi, e si era trasferito per una specializzazione all’università di Yale negli Stati Uniti dove incontrò Paul Rand e Joseph Albers.

Fletcher iniziò la sua carriera a New York, dove lavorò per Fortune magazine, the Container Corporation e IBM.

Ritornato a Londra nel 1959 avviò un piccolo studio con il suo amico Colin Forbes. Fondatore della Fletcher/Forbes/Gill nel 1962, tra i clienti più noti ebbe la Pirelli, Cunard, Penguin Books, BP e Olivetti, per i quali creò dei logo irriverenti, intelligenti e spiritosi, che diventarono icone della grafica e del design.

In seguito, nel 1970, come partner fondatore di Pentagram, Fletcher seppe coniugare il lavoro commerciale con l’indipendenza e la creatività.

Nel 1970 Fletcher disegnò la nuova immagine coordinata per l’agenzia di stampa Reuters. Il logo si ispirava al nastro delle telescriventi (macchine che venivano allora  utilizzate per trasmettere le notizie internazionali): una griglia di ottantaquattro punti per evocare la società commerciale. Semplice e suggestivo, questo logo è sopravvissuto fino al 1996 quando fu ‘pensionato’ perché i puntini erano poco visibili sullo schermo dei computer.

Tra i lavori più noti di Fletcher, ricordiamo i logo del Victoria and Albert Museum, del “IoD”per l’Institute of Directors, ancora in uso.

Nel 1992 Fletcher lascia  lo studio Pentagram e crea il suo studio al pianterreno della sua abitazione a Notting Hill Gate, per dedicarsi “… alla grafica e al disegno”, dopo i tanti anni passati a Pentagram ad occuparsi,sempre di design certo, ma anche di budgets e di business.

Nel 1996, per realizzare il famoso manifesto per il cinquantesimo anniversario della Vespa, Alan Fletcher  con pazienza certosina, girò per tutte le vecchie tipografie londinesi alla ricerca di desueti e sbertucciati caratteri di scatola per ricomporre la parola e l’idea grafica della Vespa, lemma e icona al tempo stesso. Consegnò il suo progetto con un ‘esecutivo’ su cartoncino,debitamente protetto da una carta  da lucido con sopra le indicazioni per realizzare il progetto, colori pantone inclusi.

Nell’ultimo periodo della sua vita, Fletcher diventa consulente (art director) per la casa editrice Phaidon press: vi pubblica i suoi libri: “Beware Wet Paint”(1996), “The art of Looking Sideways on Fletcher’s visual philosophy” (2001), il cui titolo riassume tutto il suo programma di vita, la sua ‘way of life’: la capacità (laterale) di mantenere uno sguardo critico, senz’esser vecchio, sul mondo. L’ultimo libro di Fletcher, pubblicato da Phaidon, è “Picturingand Poeting“ (2006).

Tutti sono documenti straordinari delle sue ricerche grafiche, durate una vita.

Fletcher, negli anni Settanta, amò soggiornare con la famiglia a Peschici, sul Gargano.  La casa del grande designer inglese, in un servizio, datato marzo 1974,  dal titolo “Come scavarsi una nicchia nel medioevo mediterraneo” pubblicato sulla rivista ABITARE (n.123) interamente dedicata allo studio PENTAGRAM, viene descritta così: 

«I criteri dell’abitare, che Fletcher insieme agli altri componenti del Pentagram ha applicato nel proprio paese e per la sua abitazione di città, li ha estesi anche in un paesaggio del tutto diverso da quello britannico, quale il Mediterraneo per la sua casa al mare.  Nel cuore di Peschici, in Italia,  Alan Fletcher ha sistemato una casa di pescatori ancora intatta, che gode della splendida vista del Gargano  nel modo più adatto a rispettare e a mettere in valore la particolare ricchezza formale e intelligenza razionale di questa architettura cosiddetta spontanea. Ad aumentare la preziosità degli ambienti, Fletcher ha aperto un arco tra due locali attigui, creando un’unica grande cucina-soggiorno. Semplici assi di legno servono per appoggiare piatti,vasellame, bottiglie. Il tavolo della cucina, dipinto di azzurro vivo, è stato acquistato sul posto. La casa si articola su due livelli. Una scala interna li mette in comunicazione. Al livello inferiore c’è la cucina, a quello superiore le camere da letto (due) e il bagno. Qui i pavimenti sono stati rifatti in piastrelle e sono stati creati i letti attraverso un semplice rialzo pure piastrellato del pavimento. Sul rialzo sono stati appoggiati i materassi. Gli ambienti sono arredati quasi interamente con oggetti trovati in luogo o fatti fare da artigiani locali: tali sono ad esempio le lampade – che sono quelle usate per la pesca notturna – le cassettiere e gli armadi a muro, le scaffalature della cucina, i cesti e i paralume in paglia. Altri oggetti, invece, frutto del più raffinato design sono le seggioline in ferro e tela ripiegabili, sono le lampade da tavolo, sono tante altre piccole suppellettili. Antico e moderno si fondono armoniosamente.  L’ambiente nitido mette in risalto la forma “spontanea” o “colta” dell’oggetto e la inserisce in un linguaggio unitario espressione di una apparentemente comune e continua civiltà non solo formale».

Lo scrittore Francesco Paolo Tanzj, nel suo racconto amarcord  “La zuppa di Elia”,  pubblicato il 25/05/2013 su puntodistella.it, a proposito della venuta e del soggiorno di Alan Fletcher a Peschici, riferisce la testimonianza del pittore milanese Luigi Bettini:

«Si presentò un giorno con una vistosa cicatrice e una canotta stracciata. Sembrava un poveraccio poco raccomandabile. Poi scoprimmo che era un personaggio famoso, uno dei più grandi artisti dell’epoca. Ricordo ancora che era un appassionato di triglie alla livornese. In seguito rimanemmo legati a lui da una profonda amicizia. Più volte siamo stati ospiti a casa sua a Londra. Anche lui comprò una casa vicino alla chiesa di Sant’Elia, con una bellissima vista sul mare, dove veniva anche d’inverno insieme alla figlia fotografa. Un giorno però, tornando dopo un lungo viaggio per il mondo, trovò che avevano costruito abusivamente un piano rialzato proprio davanti a lui che gli avrebbe impedito per sempre di vedere la splendida vista della baia. Rimase talmente deluso e offeso da quest’atto mafioso e criminale che vendette subito la casa e non tornò più a Peschici».

In realtà, quella casa non è stata mai venduta, è ancora proprietà dei Fletcher. Raffaella, figlia di Alan,  vi passa abitualmente le sue vacanze.

Sarebbe interessante intervistarla, per farci raccontare la verità sul rapporto che legò Alan Fletcher a Peschici.  

Sarebbe bello se il Comune di Peschici ricordasse il geniale designer inglese, e magari gli conferisse la cittadinanza onoraria, come ha fatto per Bortoluzzi e Conversano, due  grandi artisti che hanno amato questa nostra Terra.

Una cittadinanza, stavolta, solo alla memoria.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.