Come viaggiavano gli agrumi di Rodi Garganico

by Teresa Rauzino

I nomi di Ciampa & Sons, De Felice, Ricucci, Ruggero, Del Giudice, Pacifico, Russo, Ognissanti, Gramigna, Carnevale, Giovannelli, oggi poco o niente ci dicono, ma un tempo, singolarmente o uniti nella “Società Agrumaria di Rodi”, erano “premiate ditte”, che partecipavano con successo alle fiere internazionali di Parigi, Londra e New York.

E già dalla fine dell’Ottocento, le suggestive, coloratissime locandine in inglese, con in primo piano procaci bellezze al bagno, raccolte oggi nel catalogo “Rodi for ever, Splendori di un passato”, ne costituirono gli accattivanti promo. I pubblicizzati aranci, limoni e cedri, trasportati in Dalmazia e a Trieste da otto trabaccoli e da numerosi barconi, venivano smistati in Germania, Austria, Jugoslavia, Ungheria. Nel 1870 Isidoro Tomas aprì un canale commerciale con gli Stati Uniti d’America.

Ma ricostruiamo la storia dell’oasi. Si racconta che Melo di Bari, dopo l’incontro con i Normanni nella Basilica dell’Arcangelo Michele, per invogliarli alla conquista della Puglia, inviò loro, nella lontana Normandia, i pomi citrini del Gargano.

Fino al 1500 il melangolo, un arancio amaro, era l’unica qualità coltivata in Europa. L’arancio dolce introdotto in Portogallo nel 1520 fu impiantato sul Gargano solo alla fine del Seicento.

Fu nel Settecento che i giardini fecero la fortuna di Rodi: un continuo traffico commerciale vide impegnati gli abitanti con i Veneziani e gli Schiavoni, che vi approdavano ogni giorno a caricare vini, arance, limoni.

La piccola oasi produttiva di circa mille ettari, per gli avanzati metodi colturali adottati, rappresentò un perfetto modello d’arboricoltura intensiva: secondo Serafino Gatti, era il tesoro dei paesi della costa. Nel 1848 vi si coltivavano diverse specie di agrumi. Francesco La Martora ne elenca addirittura nove: tra le varietà di Portogallo l’Arancia acre e l’Arancia dolce; tra quelle di Limone, la Limoncella, il Limone dolce, il Bergamotto, la Lima di Spagna, il Barberino; tra quelle di Cedro, il Bulsino ed il Belvedere. I giardini producevano 100 milioni di frutti all’anno, circa 150 mila quintali.

Una vera e propria “divisione del lavoro” impegnava gli operai specializzati: dai raccoglitori ai ragazzini che, con sporte e cuffine trasportavano il prodotto al munton’, alle scapatrici che con i calibri (ferritte) separavano i frutti a seconda della pezzatura, alle incartatrici che, sulla filiera del canalone, prima di riporli nelle cassette di legno di faggio, avvolgevano gli agrumi in preziose veline, con i logo delle ditte … Una confezione accurata, che meravigliò i Savoia per la bella immagine del prodotto. Il ministro Ponzio Vaglia nel 1905 si complimentò con la premiata ditta Ricucci che aveva inviato in dono alla famiglia reale i suoi fragranti e profumati frutti.

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