Due secoli fa nel Sud Italia la prima vaccinazione di massa

by Maria Teresa Valente

“La vaccinazione di massa è l’unica pratica per sconfiggere il temibile morbo”. Quante volte abbiamo ascoltato questa frase nelle ultime settimane da virologi, medici, politici ed esperti (o pseudo-tali). Eppure, incredibilmente, queste parole non riguardano la lotta al Covid-19 e sono state pronunciate da un medico pugliese, Antonio Miglietta, ben due secoli fa.

Alle soglie degli anni Venti del secondo millennio, eravamo tutti convinti che il progresso e la scienza ci avessero ormai preservato dalle pandemie. Poi è arrivato il Covid e ha sconvolto le nostre certezze. E oggi, che la soluzione all’attuale emergenza sanitaria è stata trovata, le nostre ataviche paure riemergono con tutta la loro forza, catapultandoci indietro di duecento anni, quando altri medici ed esperti si affannavano a spiegarci che la vaccinazione era l’unico rimedio per non soccombere.

La grande impresa dell’innesto del ‘novello vaccino’ ebbe inizio a Palermo nel 1801. Ebbene sì, fu proprio nel Sud dell’Italia che si ebbe la prima vaccinazione di massa in Europa e nel mondo. Era il 14 marzo quando con un vascello della Royal Navy il dottor Joseph Andrew Marshall, un ufficiale medico inglese che aveva vaccinato i soldati inglesi di stanza a Malta con il metodo Jenner, approdò in Sicilia su invito di Ferdinando IV di Borbone.

Ma facciamo un passo indietro. Cos’era il metodo Jenner e soprattutto chi era Jenner? Edward Jenner era un medico di campagna che nacque a Berkeley, in Inghilterra, nel 1749. Egli osservò che le mungitrici spesso venivano colpite dal vaiolo delle mucche (detto appunto vaccino), che si manifestava in una forma molto leggera, ma che poi risultavano protette da quello umano, assolutamente devastante.

Il dottor Jenner decise di effettuare un coraggioso esperimento sull’esempio della variolizzazione, innovativo metodo importato dalla Turchia che consisteva nella inoculazione, tramite un graffio sul braccio, di una piccola quantità di pus estratta dalle pustole di un malato di vaiolo. Jenner estrasse del materiale da una pustola di una mungitrice colpita dal vaiolo vaccino e lo inoculò in un bambino sano. Dopo una settimana il bambino cominciò ad avvertire mal di testa, sensazione di freddo, dolore all’ascella, ma nel giro di qualche giorno guarì e risultò, da successivi esperimenti, essere divenuto immune al vaiolo umano. Era il 1796 ed era nata la ‘vaccinazione’.

Torniamo ora a Palermo in quel catastrofico 1801, quando la città fu funestata dal vaiolo che portò ad una vera e propria strage con circa 8.000 morti. In quegli anni in città si trovava Ferdinando IV, che aveva abbandonato Napoli per sfuggire all’invasione francese. Il re borbone rimase molto impressionato dalle migliaia di morti, specie di bambini. Egli stesso, in precedenti ondate dell’epidemia, aveva perso un fratello e due suoi figli. Il re Ferdinando, che su se stesso aveva già praticato la variolizzazione, avendo appreso del metodo Jenner e sapendo della presenza a Malta di Marshall, lo invitò a Palermo e, a sue spese, gli chiese di procedere con una vaccinazione di massa.

Fu messa in piedi un’organizzazione di tutto rispetto che coinvolgeva anche i medici delle altre città, chiamati a vedere come il “pubblico inoculatore” compiva le varie operazioni per formare così altri esperti.

Negli anni successivi, sulla spinta del sovrano, questa prima forma sperimentale di vaccinazione di massa divenne sempre più precisa. Nel Regno di Napoli il medico Antonio Miglietta venne denominato l’apostolo della vaccinazione e di questa pratica fece lo scopo della sua vita. Per far comprendere l’importanza dell’inoculazione vaccina, Miglietta in un suo scritto dichiarò: “In queste vittime, che si consegnano al più desolante flagello, o perde affatto lo Stato un numero calcolabile di sudditi, o rimane aggravato dal doloroso spettacolo di più individui mutilati ed inutili che ne avrebbero formato anch’essi un giorno il sostegno. Perde l’agricoltura, ed il commercio un’infinità di braccia, che ne avrebbero potuto rendere florido, e vantaggioso l’aspetto: perdono le Lettere, e le arti e i loro Cultori: perdono le Famiglie i teneri rampolli, su cui fondavano la base delle loro speranze; e perdesi sovente il più onesto dei padri, la più amorosa delle madri per gittare nella desolazione tanti orfani figli”. Debellare il vaiolo divenne quindi un affare di Stato per garantire nel futuro l’esistenza stessa del Regno e dei suoi sudditi.

Antonio Miglietta

Nel 1806 Antonio Miglietta divenne Direttore degli Stabilimenti vaccinici di Napoli e del Regno. Egli aveva individuato nella mancanza d’istruzione, oltre che nella calunnia (le attuali fake news), i motivi principali del ritardo del successo della vaccinazione, soprattutto nelle province. Anche all’epoca non mancarono i No Vax.

Per migliorare l’avanzamento della vaccinazione, pubblicò numerosi opuscoli e chiese aiuto a persone degne di fiducia, come le levatrici, ad esempio, considerate “organo immediato della persuasione popolare”, e proponendo al Ministro dell’Interno di renderle inabili al lavoro qualora si fossero rifiutate.

Un vero e proprio anatema contro le vaccinazioni era giunto dalla Chiesa, secondo la quale anche le morti provocate dal vaiolo erano volute da Dio e bisognava rassegnarsi. Fortunatamente le notizie non viaggiavano come oggi alla velocità della luce e astutamente venne diffuso un falso storico ai parroci, importanti figure di riferimento per il popolo, intitolato ‘L’Omelia del vescovo di Goldstat’ che spiegava i benefici della vaccinazione prendendo spunto dal Vangelo della XIII domenica dopo la Pentecoste.

Ieri come oggi, si riscontrò scetticismo anche tra alcuni medici. E qui fu decisivo l’intervento dello stesso sovrano. Nel 1812, infatti, Ferdinando IV di Borbone dispose che non ci si potesse laureare in medicina se non si dimostrava di “essere appieno versati nell’esercizio pratico dell’innesto” cioè appunto nelle vaccinazioni.

Nelle province più periferiche del Regno di Napoli, come la Capitanata, Miglietta riuscì in un’opera immane, regalando con la sua caparbietà un futuro a chi il vaiolo rischiava di toglierlo per sempre. Dal rapporto al Ministero dell’Interno che il medico stilò nel 1810, risultarono essere ben 1.242 i vaccinati in provincia di Foggia. L’auspicio del medico pugliese, riportato in premessa, era che grazie al lavoro della scienza e all’aiuto di un illuminato Governo, un giorno il vaiolo sarebbe stato debellato per sempre. Ciò accadde soltanto nel 1980.

Purtroppo, disattendendo un altro grande desiderio di Miglietta, non è stato ancora debellato “il pregiudizio di resistere irragionevolmente a qualunque novità” e i discendenti di coloro rimasti in vita anche grazie a quelle prime vaccinazioni di massa fanno parte oggi di una società che, dopo la fatica compiuta e il progresso della scienza, dopo ben due secoli risulta essere ancora “disingannata in se stessa dei mali chimerici di cui si osa incolpare la più salutare scoperta”.

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