La storia delle divina e scandalosa Sarah Bernhardt

by Germana Zappatore

Henriette-Rosine ‘Sarah’ Bernhardt (Parigi 1844-1923) fu attrice dalla vita scandalosa, regista, proprietaria di un teatro, scultrice, pittrice, scrittrice e abile manager di se stessa (insieme ad Edward Jarrett ed Henry Abbey curò personalmente le campagne pubblicitarie che dovevano renderla popolare, come la diffusione della famosa foto in cui era ritratta mentre dormiva in una bara).

Ma Sarah Bernhardt era prima di tutto una donna che viveva nella Francia del Codice Napoleonico che considerava il gentil sesso evoluzionisticamente inferiore, e in un’epoca in cui era opinione comune che la sua (presunta) indole passiva la rendesse un essere imitativo incapace di pensare e agire, ma abile nel sostenere qualunque ruolo le venisse assegnato: angelo del focolare, madre premurosa, moglie devota o inferma. A tal proposito la scrittrice e giornalista britannica Eliza Lynn Linton a fine Ottocento scriveva che nel XIX secolo le bambine venivano ‘educate’ ad essere malate (muscoli, nervi ed arti venivano appositamente intorpiditi con le costrizioni di abiti) perché la malattia era considerata un ‘segno di finezza e distinzione’ della classe borghese.

A Sarah Bernhardt, però, questi ruoli stavano decisamente stretti e perciò decise di farli a pezzi per mostrare alla società che maschile e femminile sono solo maschere costruite a tavolino perché l’essere umano è, invece, un insieme di passioni non riconducibili ad un sesso specifico.

Per farlo si servì della stessa arma che la società aveva usato fino a quel momento contro le donne: la loro predisposizione ‘naturale’ all’imitazione, ovvero all’astrazione da se stesse per assimilarsi ad altro (la Bernhardt parlava rispettivamente di abstraction de soimême e assimilation). Utilizzò quest’arma avvalendosi del teatro, il luogo per eccellenza dove il doppio gioco di ‘uscita’ ed ‘entrata’ è possibile. Ma la Bernhardt lo sublimò piegandolo al suo scopo.

Per la Divina Sarah, infatti, l’arte del travestimento tipica del teatro andò oltre la semplice imitazione. Accanto a donne innamorate, prostitute, sante, regine e rivoluzionarie, interpretò anche ruoli maschili (furono questi ultimi che la resero famosa e immortale) che le permisero di dimostrare che il femminile e il maschile non erano altro che un travestimento sociale che impediva all’io di auto-costruirsi in maniera completa e autentica.

Non a caso, infatti, preferì ruoli maschili tormentati (Amleto, Lorenzo De’ Medici e Napoleone II, Werther, Giannetto) nei quali non dominava alcuna brutalità virile, ma solo sentimenti comuni ai due sessi e spesso contrastanti tra loro come l’amore e l’odio, il disprezzo e la pietà, il terrore, la vendetta, il dubbio. Proprio per questo i suoi personaggi sulla scena avevano fattezze androgine: i costumi erano volutamente equivoci e per mettere in risalto questa compresenza dei due sessi, la Bernhardt faceva intravedere le sue sinuose forme femminili grazie all’uso di calzamaglie. Erano quelli che lei chiamava insexués, l’essere umano che non è né maschio né femmina.

In questo modo Sarah Bernhardt contribuì al processo di emancipazione femminile. Con i suoi ruoli insexués aveva abbattuto finalmente ‘le leggi patriarcali del teatro’ che proponevano alle donne ruoli scenici quasi sempre aderenti ai ruoli sociali: giovani innamorate (Giulietta), mogli e madri votate alla famiglia, femmes fatales dedite al lusso e al piacere (Salomè), regine corrotte e divoratrici (Lady Macbeth). Era andata oltre le concezioni dell’identità sessuale del tempo: chi la osservava sulla scena ne ‘L’Aiglon’, ad esempio, non vedeva sul palco una donna o un uomo, ma il figlio di Napoleone che in uniforme teneva discorsi altisonanti sulle glorie della Francia. Divenne così ‘la Divina’, la più grande attrice francese di tutti i tempi.

Per conoscerla “intimamente” e capire il processo mentale e artistico che la portò ad interpretare quei ruoli, consiglio la lettura della sua autobiografia ‘La mia doppia vita’ (ed. Lantana, 2013).

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