I tempi bui dei manicomi: la storia di Don Uva, un innovatore

by redazione

L’Opera Casa della Divina Provvidenza in un primo tempo fu ideata per il ricovero e l’assistenza dei deficienti, paralitici, epilettici ed encefalitici.

Era un’opera grandiosa ma oltre alla piaga della deficienza c’era quella dei pazzi. All’epoca i malati di mente venivano inviati al manicomio di Nocera Superiore e non se ne sapeva più nulla. Le famiglie, vista la distanza, non potevano recarsi a trovarli e rimanevano quindi soli e internati, fino alla morte. Senza considerare le condizioni in cui partivano, reclusi in camicie di forza per un viaggio lunghissimo che prevedeva molti cambi di treno e scortati da due guardie che non avevano nessuna minima nozione infermieristica. La necessità di creare un luogo più facilmente raggiungibile per gli internati pugliesi e le loro famiglie e la necessità di fornire assistenza spirituale e morale spinsero Don Pasquale Uva ad avviare nel 1931 le pratiche con l’amministrazione provinciale di Bari per istituire il manicomio e pianificare il rientro di 700 pazzi internati a Nocera.

Una statistica del 1926 dava esistenti 160 ospedali psichiatrici in Italia, di cui 86 al nord, 50 in centro Italia e solo 17 in Italia Meridionale.

L’istituzione di un ospedale Psichiatrico e le conseguenti entrate economiche delle rette che la provincia di Bari avrebbe versato rappresentavano una boccata d’ossigeno anche per l’Istituto Ortofrenico. Mentre per i folli il pagamento della retta era obbligatorio da parte della provincia, per i deficienti era facoltativa. Abbiamo già parlato dell’organizzazione del personale della struttura affidata quasi interamente alle suore che non solo svolgevano senza sosta tutti i lavori da quelli assistenziali, alle cucine, all’amministrazione ma che con il loro impegno gratuito permisero di abbattere totalmente i costi del personale.

Il primo trasferimento di pazienti psichiatrici da Nocera fu predisposto con ogni cura personalmente da Don Pasquale che chiese due carrozze riservate che fosse possibile sganciare dal convoglio per permettere di scendere senza fretta e disagi per gli altri passeggeri e di evitare inutili cambi di treno noleggiando un autobus apposito. Nel 1936 fu inaugurato un secondo padiglione e nel 1940 un terzo.

La Seconda Guerra Mondiale diede al presidio di Bisceglie moltissimo lavoro. C’era il problema dei militari impazziti e provenienti dai vari fronti e da terribili periodi di prigionia. Ne arrivavano a migliaia, oltre 6500 secondo i documenti dell’epoca.

L’Ospedale Psichiatrico di Foggia

Nel 1944 l’opera di Don Uva viene estesa oltre i confini di Bisceglie, puntando su Foggia nel cuore della Capitanata. Nell’agosto del 1944 riuscì ad acquistare, non senza difficoltà da parte dei proprietari, terreni per oltre 12 ettari.

Nel 1945 il sindaco Luigi Sbano aveva pubblicato un manifesto ricordando come solo due anni prima nella stessa data, erano crollate “in macerie le case di Foggia” e i cittadini erano caduti a migliaia e che un mese dopo un altro bombardamento sterminatore si era rovesciato sulle rovine polverizzandole e annunciava che quel giorno si dava inizio a “una grande opera, dovuta alla volontà creatrice di un Sacerdote benefattore, cui il popolo di Foggia dovrà riconoscenza grandissima”.

Nel 1946 sullo sfondo dell’orrore delle macerie delle case distrutte dai bombardamenti, sotto un sole implacabile, un vento caldissimo e contro ogni logica di opportunità economica, Don Pasquale pose la prima pietra sia dell’Ospedale Psichiatrico che dell’Istituto Ortofrenico di Foggia, dove trovarono asilo pochi anni dopo oltre 1000 ortofrenici e centinaia di pazzi internati a Nocera. Sui cantieri erano impegnati anche una trentina di minorati psichici ricoverati a Bisceglie e lo stesso Don Pasquale che lavorava in prima persona.  Una delle prime opere fu la realizzazione di una colonia agricola dell’Ospedale.

L’impresa di Foggia fu su senza dubbio la più difficile da realizzare sia per le difficoltà burocratiche che per la reticenza dei proprietari terrieri a vendere e per la volontà di Don Uva di non ricorrere all’esproprio. Ma c’era un altro problema: la scarsità delle materie prime come ferro, cemento, la mancanza di mezzi di trasporti e l’inflazione monetaria.

Quando l’opera fu completata fu circondata da oltre 25 ettari di orti, vigneti, frutteti. Le cronache nazionali spesero parole di apprezzamento e stupore per il fatto che gli oltre 50 operai impiegati nella costruzione degli edifici erano dei pazzi ospiti della struttura. Il primo padiglione è un edificio a tre piani che

Gli infermi di mente generalmente hanno fisico resistente al lavoro e il lavoro non nuoce e non li debilita anzi li irrobustisce quando venga corrisposta buona alimentazione e che si ridesta negli infermi la volontà e il desiderio del lavoro mediante la compartecipazione ai frutti che producono onde procurarsi i mezzi per procurarsi piccole cose

I malati ortofrenici ricevevano un modesto compenso in denaro che non solo implicava una gratificazione personale ma che non aveva precedenti in nessun altra parte del mondo. In quegli anni erano oltre 200 i ricoverati ortofrenici che lavoravano regolarmente all’interno dell’Ospedale.

Mentre a Foggia si puntava sull’agricoltura, a Bisceglie vennero realizzati allevamenti di bovini, suini, pollame, conigli e oche. Vennero istituiti due forni, lavanderie, cucine, laboratori artigianali e persino una tipografia nell’ottica dell’auto-approvvigionamento delle risorse necessarie alla comunità. Don Uva fece costruire a Foggia persino una cabina di trasformazione con accomulatori di energia elettrica per ovviare il problema delle oscillazioni di corrente dovute alla rete stradale e un pozzo artesiano.

Dopo poco più di un anno dalla piantagione del vigneto, l’agricoltore Don Uva recò, sorridente e beato, in omaggio al Preside della Provincia un grappolo d’uva di due chili e mezzo a testimonianza che la volontà e l’iniziativa tecnica possono estrarre vino ed acqua anche dalle sassaie.

Giuseppe Dell’Olio

Gli ultimi progetti

Appena ebbe fondato la Casa della Divina Provvidenza meno di due anni dopo Don Uva pensò ad una casa del Clero che raccogliesse i sacerdoti vecchi, inabili e privi di assistenza famigliare

In ogni struttura la rieducazione al lavoro dei malati di mente era uno degli obiettivi primari. L’importante era che il lavoro fosse non solo una occupazione ma un impegno, con responsabilità tecnica e finalità produttiva che gli sono proprie a vantaggio della comunità.

Oltre alla Casa del Clero di Guidonia, Don Pasquale iniziò i lavori del presidio manicomiale di Potenza che però non riuscì a vedere terminato. Morì nel settembre del 1955, a causa di una malattia alla spina dorsale che lo aveva afflitto negli ultimi anni. La sua eredità fu raccolta da Monsignor Luigi Sposito e dalle Ancella della Divina Provvidenza.

La Legge Basaglia

Nel 1978 l’avvento Legge Basaglia determinò la chiusura dei manicomi in Italia in favore di servizi di igiene mentale pubblici. Molti manicomi, come testimoniano le inchieste giornalistiche dell’epoca, versavano in condizioni disastrose. Il caos che generò l’applicazione della legge, in un territorio certamente mai preparato fino in fondo alla riconversione, è ancora oggi materia di rovente dibattito. La legge prevedeva che la presa in carico dei pazienti psichiatrici divenisse appannaggio di strutture territoriali, di dimensioni ridotte e quindi a misura più umana, la cui mission doveva essere la riabilitazione e il recupero dei soggetti afflitti da patologie mentali. Il fallimento dell’applicazione della Legge Basaglia ha fatto sì che il carico maggiore di assistenza ai malati ad oggi sia appannaggio in alcuni casi qausi esclusivo delle famiglia.

La maggior parte dei pazienti ortofrenici del Don Uva non aveva famiglia e dunque tramite accordi con gli enti istituzionali come Stato e Regioni agli ospiti è stato consentito di rimanere nelle strutture. Tuttavia l’eredità di Don Uva è stata dispersa nel tempo sopratutto a causa del terribile crack finanziario agli onori delle cronache che ha minato quello che era lo spirito della missione del “Padre”.

Nel 2015 l’Opera è stata rilevata da un gruppo privato, il Gruppo Universo Salute, che ha perseguito un’idea ritenuta da molti “una follia” ovvero riuscire a risanare non solo le casse ma riprendere i principi che avevano ispirato il suo fondatore, Don Pasquale Uva. I ricoveri per gli ultimi, costruiti da Don Pasquale nell’arco di tutta la sua vita, oggi sono residenze sanitarie assistite, centri di riabilitazione, centri di cure palliative e di assistenza al “fine vita” e sopratutto non hanno mai smesso di essere la casa di oltre 600 pazienti ortofrenici. Gli stessi accolti da Don Pasquale Uva. 

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