“Il figlio dell’uomo”, dai tableaux vivants al film garganico sulla Passione di Cristo del 1953

by Teresa Rauzino

È del 1897 il primo film sulla Passione di Cristo: il fotografo parigino Léar dirige “La passion du Christ”. Si tratta di alcuni “tableaux vivants” allestiti in occasione della Pasqua. Sono passati appena due anni dalla nascita della macchina da presa. I fratelli Lumière si rendono conto del grande impatto sul pubblico del tema religioso: ecco nascere il cortometraggio “Passion Lumière”.Tredici episodi, dalla adorazione dei magi alla resurrezione. La supervisione alla regia di Hatot e Breteau è curata dal padre dei fratelli Lumiere, Antoine. La pellicola è lunga soltanto 230 metri. L’immaginario popolare trova in quei pochi spezzoni di celluloide la rappresentazione scenica di temi decisamente familiari.

Hollywood si butta a capofitto sul quel proficuo filone. Un‘attenzione mai venuta meno fino ai nostri giorni, confermata dal successo di tanti film sulla vita di Gesù, riproposti puntualmente in occasione della settimana santa.

Un radicale cambiamento nell’approccio ai temi della “passione” si registra con “Il Vangelo secondo Matteo” del 1964: Pasolini ribalta canoni formali e stilistici, usando un linguaggio realistico in cui si fondono atmosfere arcaiche e riferimenti pittorici rinascimentali. Il tutto accompagnato da una colonna musicale a base di spiritual e blues. Subito criticato, il film guadagna credito col tempo. Un capolavoro, che è stato possibile rivedere anche a Foggia grazie al restauro del Centro sperimentale di cinematografia.

Ma nella rassegna dei film sulla Passione, ci piace inserire un film che vide come location Peschici e dintorni: è “Il Figlio dell’Uomo (Ecce Homo)”, un film in bianco e nero di Virgilio Sabel della durata di 73 minuti, prodotto in Italia nel lontano 1954 e girato interamente a Peschici un anno prima.

Gli esterni sono stati girati tutti nel Gargano nord, tra Peschici e Rodi Garganico. Si riconoscono: il Monte d’Elio, tra i due laghi di Lesina e Varano, la spiaggia di Capoiale, la Torre di Monte Pucci e l’Abbazia di Calena. Nel cast degli interpreti, attori professionisti come Fiorella Mari (Maria), Eugenio Valenti (Gesù), Franca Parisi (Eva) Jenny Magetti (Maddalena), Antonio Casali (Adamo), recitano con gli attori dilettanti di Peschici, scelti dopo un provino: tra di essi spiccano Elia Del Duca (Pietro), Raffaele Costante (Giuda), Gaetano Diana (Giuseppe) e Antonio Vigilante (Caifa), Tommasina Vera (una delle pie donne).Parteciparono anche alcuni attori dilettanti di Rodi Garganico, tra cui Antonio Gallo (Ponzio Pilato).

Tra i doppiatori, troviamo i mitici Stefano Sibaldi (voce narrante), Emilio Cigoli (Adamo), Lydia Simoneschi (Eva), Giulio Panicali (Dio). Fra gli assistenti alla regia troviamo il documentarista Elio Piccon, che diventerà noto al grande pubblico con “L’Antimiracolo”.

Il 22 feb 2019 è l’attore Matthew Page (@MattPage) a segnalare con entusiasmo su twitter una nuova recensione del film: “This is a great, little-known, #JesusFilm from Italy. IL FIGLIO DELL’UOMO (Son of Man, 1954) has many of the traits of #neorealism with a touch of expressionism & avant garde thrown in for good measure”. (Questo è un grande, poco conosciuto, #JesusFilm dall’Italia. IL FIGLIO DELL’UOMO (Figlio dell’Uomo, 1954) ha molti tratti del #neorealismo con un tocco di espressionismo e avanguardia introdotti per buona misura).

Recensione che abbiamo letto e tradotto in alcuni passaggi: “E’ davvero un film raro e importante. È raro, forse, perché era in anticipo sui tempi – sottolinea il critico cinematografico di Biblefilm, dedicandogli due approfondite schede.

(Recensioni Biblefilms: https://biblefilms.blogspot.com/2019/02/il-figlio-delluomo-1954.html ; https://biblefilms.blogspot.com/2019/02/il-figlio-delluomo-scene-guide.html

“A Hollywood e altrove i film basati sui Vangeli erano stati in gran parte assenti durante gli anni della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale. – scrivono su biblefilm- Nonostante un fiorente periodo di film biblici italiani tra la prima e la metà del Novercento, il fascino del “Figlio dell’uomo” sembra aver fermato quello con oltre trenta anni trascorsi tra l’ultimo film muto di Gesù e il “Mater Dei” degli anni ’50. Ma la sua rarità è forse anche una riflessione sul suo stile. Sabel e il suo direttore della fotografia Oberdan Troiani hanno creato un film espressionista che in alcuni punti rasenta quasi l’avanguardia. Proprio lo stile è ciò che lo contraddistingue. Sabel era stato un documentarista prima di ricevere l’incarico di regista, vincendo due volte il premio per il miglior cortometraggio (Atkinson, 63)”.

“Le credenziali neorealiste del film – prosegue la recensione di biblefilm – sono ulteriormente rafforzate dalla scelta di affidare le musiche a Renzo Rossellini, fratello del famoso pioniere Roberto, l’uomo che aveva girato la rivoluzionaria “Roma, città aperta” otto anni prima. (…) Il neorealismo con i suoi filmati in stile documentario aveva dominato la fine degli anni Quaranta nel cinema italiano e, sebbene avesse già iniziato a perdere un po’del suo fascino, era ancora alla ribalta della coscienza pubblica. “Il figlio dell’uomo” è un film neorealista. Oltre al suo aspetto documentario e alla sua fotografia in bianco e nero, ha principalmente utilizzato location all’aperto e un cast “proletario” non professionale. I titoli di coda annunciano che, a parte alcuni dei personaggi principali, gli “altri interpreti sono … pescatori e contadini”, gli abitanti di due villaggi locali (Peschici e Rodi) in cui gran parte del film fu girato. Particolarmente significativo in questo senso è il modo in cui le immagini di apertura del film sono primi piani dei “pescatori e agricoltori” che eseguiranno le varie parti del film. Un chiaro indicatore che questo film su Gesù è un film sulla gente comune, realizzato dalla gente comune”.

E ancora: “L’ultimo respiro di Gesù — è accompagnato da un fulmine, che viene sfruttato per dare al momento una sensazione espressionista, arricchito da un montaggio quasi d’avanguardia di brevi scatti sovrapposti su uno sfondo nero”.

“Dalla macchina cinematografica di Sabel – scrivono ancora nella recensione- è stato fatto il possibile per enfatizzare l’imponente natura dell’architettura imperiale e le imponenti statue, dalla dichiarazione del censimento fino al processo nel cortile di Pilato (con forti echi del dipinto di “Ecce Homo” di Antonio Ciseri)”.

Una recensione davvero interessante, che mette a confronto alcune scene del film di Sabel con quello di Pasolini, ritrovandovi alcune impressionanti analogie.

https://biblefilms.blogspot.com/2019/02/il-figlio-delluomo-1954.html

Di questo film ci siamo occupati anche noi, fin dal 5 aprile 2007. Il mio articolo fu pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno- Corriere della sera» con il titolo “Le immagini in bianconero del «Figlio dell’uomo», una memoria da riscoprire”.

Riprendevo uno stralcio di “Pèschici come la Palestina”, tratto dalla recensione di Domenico Ottaviano e Raffaele D’Amato, studenti del Liceo Scientifico di Pèschici, pubblicata sul Giornale interscolastico “Ottoetrenta”, Anno II, n. 2.

“Nel film – scrivevano i ragazzi – sono visibili parti dell’antico paese; si riconoscono scene girate nell’antica Abbazia di Kàlena (l’Annunciazione e il Tribunale) o nella Chiesa della Madonna di Loreto (l’Ultima Cena), mentre le prediche fatte da Gesù Cristo (impersonato dall’attore professionista Eugenio Valenti) sono state ambientate sulla Torre di Monte Pucci, da dove è visibile la costa che va fino a Rodi Garganico. Insieme a pochi attori professionisti, Sabel ha utilizzato molte comparse di Pèschici. Altre persone del posto appaiono in ruoli secondari, come, ad esempio, i centurioni. La trama e la recitazione sono per l’epoca molto avanzate e propongono una realtà ancora sconosciuta di un piccolo villaggio di pescatori, che si cimentò per la prima volta nella recitazione di un film. Forse anche per questo, “Il figlio dell’uomo” ha suscitato nella popolazione grande interesse e disponibilità. Il film ha un grande valore documentale, perché mostra come era Pèschici cinquanta anni fa, nel suo incontaminato splendore, con le piccole casette a cupola di Via Kennedy e del Borgo di S. Nicola, con le rispettive grotte per gli asini e le bestie da latte, che rappresentano il profilo ormai perduto del nostro paese”.

La pellicola nasce come cortometraggio sulla Passione. Durante le riprese il regista amplia la narrazione e inserisce il girato già pronto in un film dedicato all’intera vita di Gesù. La sinossi del film parte dalla Genesi per arrivare ai giorni della vita, della Passione e della Resurrezione di Gesù Cristo: dopo la caduta di Adamo ed Eva, Iddio promette un Redentore. La visita dell’Angelo alla Vergine Maria, sposa di Giuseppe, segna l’inizio del mistero dell’Incarnazione. Gesù, nato in una stalla di Betlemme, dopo trent’anni di vita anonima, inizia il suo ministero di redenzione e d’amore; attraverso la predicazione e i miracoli entusiasma il popolo. Catturato al Getsemani, viene condannato a morte ed ucciso sul Calvario. La resurrezione segna il trionfo di Gesù, che ascende al cielo per sedere alla destra del Padre.

Alcune recensioni, presenti sui siti specializzati Internet, sottolineano che alcune vicende del film come la nascita nella grotta di Betlemme, la predicazione, il martirio del Cristo sono narrate con “discreta dignità artistica”. Non ce ne stupiamo: la sceneggiatura è opera di don Giacomo Alberione (1884-1971), il fondatore della Famiglia Paolina, che aveva affidato come mission alla Parva-San Paolo Film “l’evangelizzazione con i moderni mezzi di comunicazione”.

Dietro la forte spinta della leadership di don Alberione, che affermava: “La macchina, il microfono, lo schermo sono nostro pulpito; la tipografia, la sala di produzione, di proiezione, di trasmissione sono la nostra Chiesa”, la San Paolo Film divenne la più grande organizzazione cattolica esistente al mondo per il cinema. Il grande successo della San Paolo Film ricevette il definitivo riconoscimento il 2 giugno 1957, quando Giovanni Gronchi, presidente della Repubblica Italiana, conferì a don Alberione il diploma di prima classe quale “benemerito della scuola, della cultura e dell’arte”, col diritto di fregiarsi della medaglia d’oro.

Don Alberione si era lanciato nel mondo della celluloide il 18 marzo 1938; fino ad allora aveva limitato il suo campo d’azione apostolica nella carta stampata. In quell’anno in Italia le sale cinematografiche erano 4049 e i cattolici ne gestivano quasi la metà. Le organizzazioni cattoliche non avevano ancora un proprio spazio in un ambito di importanza strategica come quello della produzione e distribuzione del film, limitandosi a interventi censori e moralistici sulla “nuova arte”, ormai divenuta un fenomeno di massa. La parola d’ordine di Don Alberione fu deporre le forbici della censura e prendere in mano la macchina da presa.

Negli anni del secondo dopoguerra, le settanta Librerie delle Edizioni Paoline, sparse in tutta Italia, furono attrezzate per diventare luogo di distribuzione delle pellicole ma anche centri di consulenza, di assistenza tecnica e di irradiazione sul territorio della nuova proposta. Le riviste della Società San Paolo, soprattutto “Vita Pastorale”, scatenarono una formidabile campagna di convincimento nelle parrocchie perché appoggiassero in modo concreto la nuova “via paolina” al cinema.

Il 19 dicembre del 1947 venne costituita una nuova società, la Parva Film, che aveva tra i suoi scopi, oltre alla produzione, acquisto, vendita e sfruttamento dei film, anche quello di realizzare e gestire “stabilimenti per la produzione e riduzione di film da passo normale a passo ridotto”. L’idea consisteva nell’acquisire dalle Case cinematografiche di produzione i diritti di riduzione a passo 16mm della pellicola originale a 35mm già sfruttata nei normali circuiti delle sale cinematografiche; per proporre al mercato uno strumento più duttile e snello rispetto alla pellicola in 35mm.

Nell’arco dell’anno 1948, la Parva Film, con un catalogo di 40 film, era già diventata leader del mercato.

“Vita Pastorale” nel gennaio 1949 registrava che la società aveva approntato “il gruppo di film più numeroso, più buono moralmente ed artisticamente che esista in Italia… e l’organizzazione di noleggio più vasta, più comoda, più economica, più comprensiva”.

La Parva Film specializzò l’ambito della sua produzione nel settore del cinema religioso. L’esperienza deludente nell’uso del colore suggerirono alla casa cinematografica (che nel 1952 adotta la ragione sociale Parva-San Paolo Film), di girare due film in bianco e nero: “Il Figlio dell’Uomo” (1953), che abbiamo qui analizzato, ed “Ho ritrovato mio figlio” (1954), la storia di un dramma familiare. Entrambi furono distribuiti sia in 16 che in 35mm. Fu in questo periodo che nacque la “scheda filmografica”, uno strumento indispensabile per la presentazione, soprattutto in sede di cineforum e di pubblico dibattito, dei film di una certa levatura artistica. La scheda, oltre a contenere tutti i dati tecnici della pellicola e il giudizio del Centro Cinematografico Cattolico, forniva chiavi di lettura a livello morale, estetico e di linguaggio cinematografico, necessari per una più profonda comprensione del film. Presente oggi in tutti e cinque i cinque continenti, la Società San Paolo si serve di riviste, libri, cinema, radio, televisione, dischi, musicassette, compact disc, siti Internet e di ogni tecnologia comunicativa per cristianizzare le masse lontane dalla vita parrocchiale.

Il Film è visibile a questo link

https://gloria.tv/post/rqTkLSzo2AfW1KkPe3ved1sBD

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