Il pirata Barbarossa sul Gargano e la leggenda del tesoro sepolto a Kàlena

by Teresa Rauzino

«Is Morus! Is Morus! Li turchi Li turchi». Così gridavano i torrieri del mar Tirreno e dell’Adriatico quando avvistavano le navi dei pirati all’orizzonte. E gli abitanti dei paesi costieri fuggivano verso l’interno, cercando di salvare il salvabile… Niente di nuovo sotto il sole. La pirateria era praticata sin dall’antichità dai «popoli del mare»: i Cretesi, i Fenici, i Greci e gli Etruschi, forti della loro talassocrazia, attaccavano le navi nemiche per impossessarsi di merci e uomini. I Romani, non riuscendo a debellare il fenomeno, avevano varato un’apposita legge, la “Lex Gabinia de piratis persequendis” (67 a.C.), che diede a Pompeo i pieni poteri. Ci fu una tregua, ma a partire da VII sec. d.C. il Mediterraneo tornò ad essere “infestato” dai pirati, questa volta musulmani: la “Gihàd” islamica (lotta contro gli infedeli) si tradusse in attacchi alle navi cristiane, costrette a ridurre i traffici nel Mediterraneo. Il Gargano e le Tremiti furono più volte oggetto di questo assalto. L’abbazia di Santa Maria di Kàlena fu assalita da Khair ad- din. 

Raccontiamo qui brevemente la storia di questo mitico corsaro del Saladino.

Dopo il 1492 le isole e le coste del Mediterraneo divennero il rifugio di centinaia di migliaia di mori, cacciati dopo l’unificazione della Spagna da Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. La politica spietata dei “re cattolicissimi” contro i moriscos contribuì alla fondazione di veri e propri stati barbareschi, che trovarono nei pirati e corsari dei leader spregiudicati e intelligenti, strenui oppositori degli spagnoli.

Essi si spinsero nel Mediterraneo, effettuando sbarchi e saccheggi lungo le sue coste. I nomi dei pirati che terrorizzavano le popolazioni del Gargano sono ancora vivi nell’immaginario collettivo dei paesi di mare. Fra i più noti vi fu Kair ad-Din (1475–1546), detto il Barbarossa[1].

Non mancano suggestioni e leggende legate a questo famoso corsaro, riferibili a un luogo-simbolo dell’immaginario collettivo di Peschici. Dall’abbazia benedettina di Santa Maria di Kàlena, un camminamento sotterraneo portava alla “caletta” del Jalillo: serviva ai frati per sfuggire alle frequenti scorribande saracene. Si racconta di un antico tesoro di Kair ad-Din: un vitello d’oro posto come cuscino a una fanciulla morta e seppellita nella cripta nell’abbazia di Peschici (probabilmente la giovane moglie del corsaro). Denominato il Barbarossa [2], questi fu al servizio del sultano Solimano (1520-1566), che gli affidò il comando supremo della flotta ottomana.

Khair-ad-din e i suoi fratelli Arug e Isac ereditarono lo spirito combattivo e l’amore per il mare dal padre Giacobbe (un giannizzero musulmano che dopo aver partecipato alla spedizione per la conquista dell’isola di Lesbo, stabilita qui la sua residenza, si era trasformato in un marinaio dedito al commercio nell’arcipelago greco); la madre, figlia di un prete copto, inculcò loro una forte religiosità, che si tradusse nello stimolo alla guerra santa (gihad). Al comando di una galea, i fratelli Barbarossa esercitarono il commercio e la pirateria al largo di Rodi. In seguito ad un attacco dei Cavalieri di Malta (irriducibili nemici dei musulmani), Isaac morì; Arug e gli uomini dell’equipaggio furono catturati. Incatenati ai banchi di voga delle galee, per un paio d’anni, remarono a suon di scudisciate come tutti i “galeotti” di quel tempo.

Il pirata Barbarossa

Arug, liberato dopo il pagamento di un riscatto, si diede alla pirateria con i fratelli, concludendo un accordo con il sultano di Tunisi: in cambio di un decimo del bottino, trovò un sicuro rifugio in quel porto. Il commercio cristiano subì perdite considerevoli.

I fratelli Barbarossa spadroneggiavano sul tratto di costa da Tripoli a Tangeri. Arug si proclamò re di Algeri. Quando questi fu sconfitto e ucciso con tutti i suoi uomini, fu un momento di tragedia e di lutto per la sua famiglia. Khair ad-din dopo averlo atteso invano ad Algeri, assunse il comando della flotta. Selim I, sultano di Costantinopoli ricevette la notizia della morte di Arug da una galea inviata da Khair ad-din alla “Sublime Porta”, che gli donò le province del nord Africa da lui conquistate. Il Barbarossa sapeva che il sultano era impegnato nella conquista della Siria e dell’Egitto, e non poteva occuparsi di questi territori. Selim, infatti, lo ringraziò e lo nominò suo “Beylebey” vale a dire governatore. Khair ad-din ottenne così la protezione della potenza ottomana, e, di fatto, il riconoscimento del governo personale su queste terre. 

Carlo V di Spagna corse ai ripari: nel 1519 incaricò l’ammiraglio Ugo de Moncada di procedere alla riconquista d’Algeri, ma la sua flotta fu distrutta da una violenta tempesta. Khair ad-din consolidò il suo potere conquistando, tra gli anni 1520 al 1529, tutta la costa africana. Organizzò una flotta potente, che operò nel Mediterraneo con azioni mirate, seguendo un piano generale, e attaccando le navi cristiane dalle Baleari alla Sicilia, dalla Sardegna al Lazio e alle coste spagnole. Con lui vi erano i migliori marinai musulmani: Draguth; Sinam (“l’ebreo di Smirne”); Aydin (cristiano rinnegato detto il “terrore del diavolo”) e molti altri. Tutte le navi che incapparono nella potente flotta dei luogotenenti di Khair ad-din furono saccheggiate e gli uomini dell’equipaggio schiavizzati.

Nel 1533 Solimano invitò a corte Khair ad-din, affidandogli un incarico importante: la ricostruzione e l’organizzazione della flotta ottomana. Il Barbarossa si gettò con entusiasmo in questa nuova impresa. Gli arsenali della Sublime Porta lavorarono a ritmo serrato per tutto l’inverno del 1534: in primavera più di 80 navi furono pronte agli ordini del nuovo ammiraglio. Quando Khair ad-din lasciò il “Corno d’Oro”, accompagnato dall’ammirazione dei figli di Maometto, il terrore corse lungo le isole cristiane dell’Egeo, e si propagò man mano sui lidi più lontani dove, dalle torri di guardia, vedette timorose scrutavano il mare. Le acque azzurre dello Ionio furono rotte dalla voga ritmata dei turchi, il Barbarossa si diresse a nord, mise a sacco le coste italiane, attaccò Sperlonga. A Fondi (in provincia di Latina) cercò di rapire Giulia Gonzaga, augusta preda destinata a Solimano, che riuscì a fuggire nella notte.

La Tunisia in mano del Barbarossa era una minaccia talmente grave per i possedimenti spagnoli di Sicilia e dell’Italia meridionale che Carlo V ordinò un attacco decisivo. Una spedizione al comando di Andrea Doria investì La Goletta : il 14 giugno del 1535, navi spagnole, del papa, del vicerè di Napoli e dei cavalieri di San Giovanni, sbarcarono uomini e cannoni. Una sommossa interna di schiavi cristiani accelerò la caduta di Tunisi. In Europa un sospiro di sollievo salutò questa vittoria cristiana. A Bona, dove si era ritirato, il Barbarossa armò prontamente 26 galeotte e prese il mare, arrivò alle Baleari. Il saccheggio fu spietato, uomini e donne trasportati ad Algeri, furono rivenduti come schiavi.

Il Doria e il Barbarossa non si scontrarono mai direttamente: ora è Andrea Doria che cattura navi turche nello Jonio, ora è il Barbarossa che infierisce sulle coste pugliesi.

Nel 1537 i turchi cinsero d’assedio Corfù con un grande spiegamento di forze, 100 galee e 25.000 uomini, i cristiani resistettero. Nel 1538 una nutrita flotta di navi venete, genovesi, spagnole e pontificie si concentrò nei pressi dell’isola, e attese Andrea Doria con i suoi 50 galeoni. Khair ad-din aveva già schierato le proprie navi, 150 galee nel golfo di Arta, su una linea a mezzaluna che consentiva di concentrare il fuoco di tutti i cannoni sullo stretto canale d’ingresso. Gli avversari studiarono le rispettive mosse: Andrea Doria si diresse verso sud con l’intenzione di attaccare i possedimenti del sultano, Kair ad-Din salpò e inseguì la flotta cristiana, che per il cattivo tempo si disperse lungo le coste.

Solo a Lepanto ci sarà la riscossa cristiana. Il 19 ottobre del 1540, 200 galeoni, 50 galee, 25.000 uomini al comando di Andrea Doria circondarono la città. Barbarossa era assente: il suo vice Hasan assunse la difesa, le navi spagnole furono disperse da un’improvvisa tempesta. Carlo V non aveva seguito i consigli di chi riteneva la stagione inadatta alla spedizione, e si ripetè il disastro della spedizione di Moncada: il vento di burrasca distrusse 140 navi. Gli equipaggi spagnoli furono decimati dai turchi. I Cavalieri di Malta furono gli ultimi a lasciare il campo, coprendo la ritirata. Ancora oggi quel luogo è chiamato “sepolcro dei cavalieri”.

Un fatto nuovo portò la costernazione nel mondo cristiano, Kair ad-Din si alleò, per conto del Sultano, con la cattolicissima Francia di Francesco I: nel 1543, 100 galee turche aiutarono i francesi contro Carlo V.

Mentre navigava alla volta di Marsiglia, Khair ad-din assalì Reggio Calabria dove rapì un’avvenente fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia di un governatore spagnolo, e la sposò. Assalì poi Gaeta e Nizza. Nella primavera del 1544 saccheggiò le isole d’Elba, di Ischia e Procida, e impose dei tributi alle isole Lipari. Il suo rientro a Costantinopoli fu un vero trionfo: venne acclamato “re del mare”. Per merito suo, la potenza ottomana si impose su tutto il Mediterraneo. Nel luglio del 1546, una violenta febbre lo uccise, all’età di 63 anni. Ancora oggi i Turchi ne ricordano le gesta. Nelle vicinanze di Galata, ad Istanbul, una maestosa cupola ricopre la tomba del protettore dell’Islam: il suo spirito indomito aleggia ancora sul Mediterraneo.

1 Cfr. M. VERONESI, Storia della pirateria. in http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pirati3.htm; BONAFFINI GIUSEPPE (a cura di), La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, Sellerio Editore, Palermo, 1993.

www.corsaridelmediterraneo.it.

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