La leggenda del Principe Mago

by Eugenio D'Amico

All’interno dell’atrio del Castello di Torremaggiore una lapide ricorda che lì, il 30 gennaio 1710, nacque don Raimondo Sangro, principe di Sansevero, duca di Torremaggiore, marchese di Castelnuovo, principe di Castelfranco, Grande di Spagna di prima classe, il principe stregone che ancora oggi fa sentire i suoi passi nei vicoli della Napoli più antica accanto alla Cappella che fece edificare a memoria della sua Casata, e dalle cui vetrate, talvolta, il passante incauto vede di notte avvampare strani bagliori…

“Il diavolo gli ha insegnato a trasformare in pietra tutto ciò che vuole”; “Possiede una carrozza che cammina da sola e va sull’acqua senza vele e senza remi”; “Alimenta lampade a luce perpetua con sostanze estratte da crani umani”; “Ha scorticato e pietrificato ancor vivi due suoi schiavi”; “sa evocare i diavoli”, dicevano di lui i suoi contemporanei, ed ancor oggi con un brivido si racconta la leggenda della sua morte.

Come spiegano con timore e sottovoce i vecchi abitanti del Decumano, infatti la tomba del Principe, posta all’interno della Cappella è vuota e si ignora dove sia il suo corpo. Si racconta infatti che, giunto all’apice delle conoscenze ermetiche don Raimondo decise di sperimentare su se stesso la resurrezione dei corpi di cui aveva scoperto il segreto. Trasferì dunque la famiglia a Torremaggiore, e, rimasto solo a Napoli, si uccise dopo aver ordinato ad uno schiavo di sezionare il suo cadavere e di immergerne i pezzi in strane pozioni che aveva in precedenza preparato.

Per tenere tranquilla la famiglia, nel frattempo faceva inviare, a brevi intervalli, lettere già predisposte cronologicamente. Ma un errore del servo che inviò una lettera che rispondeva in anticipo a domande non ancora poste, mise in allarme i familiari che tornati a Napoli, penetrarono nel laboratorio del Principe ed aprirono la cassa in cui erano stati deposti i pezzi del suo corpo. La luce allora interruppe il processo di ricomposizione del cadavere, il corpo del principe si sollevò, la testa gettò un urlo terrificante, ed il principe ricadde nella cassa per sempre morto, ricevendo la giusta punizione per aver voluto sfidare le leggi divine.

Un monumento posto sull’ingresso principale della Cappella che mostra un guerriero mentre scavalca il bordo di un sarcofago, conferma la storia, poiché raffigurerebbe il Principe mentre esce dal sepolcro. Il racconto è così suggestivo che dispiace quasi che sia solo frutto di fantasia: come ci racconta l’iscrizione incisa sul monumento, il guerriero che uscirebbe dal sepolcro non è il Principe, ma un suo antenato, Cecco de’ Sangro, di cui viene celebrato l’eroismo raccontando l’episodio in cui, durante una campagna militare nelle Fiandre, esce da una cassa in cui si era nascosto per penetrare all’interno della fortezza di Amiens ed espugnarla.  C’è da dire però che la leggenda del Principe Mago fu alimentata in vita dallo stesso Principe che per un verso, con fine umorismo si divertiva, con non poco rischio in un’epoca ancora intrisa di superstizione, a far credere ai suoi strani, soprannaturali poteri, e per altro verso, memore del detto ermetico “Arcana rivelata vilescunt” manteneva il più assoluto segreto sulle sue ricerche che perciò ai più apparivano come opera di magia.

Per questo nulla sappiamo dei procedimenti chimici che hanno permesso la linea di marmo bianco continua e senza giunture che disegna i quadrati concentrici e le croci gammate del pavimento originale della Cappella, né di quelli che hanno permesso la scritta in rilievo della lapide della tomba del principe che è tutt’uno con il marmo sottostante, come se fosse stata ottenuta “scavando” la pietra con uno sconosciuto acido, così come ignoriamo il segreto dei colori della volta della Cappella che dopo oltre 250 anni si presentano straordinariamente brillanti e vivaci e non hanno mai richiesto alcun intervento di restauro, o ancora quello delle lampade perpetue che avrebbero dovuto illuminare la Cavea e che fanno pensare che il Principe avesse sfruttato la luminescenza di un qualche minerale radioattivo.  

Filosofo ermetico, accademico della Crusca con il nome di Esercitato, Gran Maestro della massoneria, profondamente colto, tanto che di lui si disse che non fosse un accademico, ma l’intera Accademia, in realtà don Raimondo fu uno dei rappresentanti più geniali di quel Settecento napoletano fervido di studi e di cultura radunato intorno alla splendida corte di Carlo III di Borbone. “Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere […] celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”, come recita l’epigrafe sulla sua tomba da lui stesso dettata, conobbe il greco, il siriano e l’arabo e le maggiori lingue occidentali e spaziò dalla filosofia, alla storia, alle matematiche alla fisica, all’ingegneria militare, alla balistica, alle lettere, alla chimica. E forse proprio per un avvelenamento da prodotti chimici morì, ancor giovane, il 22 marzo 1771.

E se le sue invenzioni e la sua genialità gli valsero l’amicizia di spiriti illuminati, tra cui lo stesso Re, il suo anticonformismo ed il suo irridente disprezzo per gli ignoranti gli procurarono non pochi problemi. Peraltro non giovarono alla sua fama la sua adesione ai Liberi Muratori, associazione massonica e scomunicata, anche se professò sempre di essere buon cristiano, nè la famosa “Lettera Apologetica” nella quale prendendo in giro i pedanti dell’epoca, sosteneva di aver sciolto l’enigma dei quipu, cordoni colorati in uso tra le popolazioni inca forse come rudimentali calcolatrici, che a suo dire costituivano un alfabeto cifrato, ed in cui i suoi avversari, forse non a torto, ravvisarono oscuri messaggi cabalistici, tanto da farla mettere all’Indice.

Ma, al di là della figura storica di un genio della scienza settecentesca, la leggenda vive ancora intorno al Principe ed alla Cappella da lui voluta, che contiene bellissimi esempi dell’arte barocca, ma che per lo scoperto simbolismo alchemico ed iniziatico delle opere, è circondata ancora oggi da un’atmosfera di mistero, se è vero che dopo il terremoto del novembre del 1980 si narrò di apparizioni di don Raimondo che chiedeva il restauro della sua Cappella gravemente danneggiata e se è vero che ancor oggi i vecchi napoletani evitano di notte le strade intorno alla Cappella per timore di incontrare il Principe mago e di restar vittime di un suo qualche oscuro esperimento.

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