La storia di Marie Curie, del genio e della tenerezza degli Sklodowski

by Federica Carretta

La Varsavia della seconda metà dell’Ottocento non rappresentava un territorio semplice da abitare; ancor meno lo era per le donne, specie per quelle ambiziose. Marya Salomee Sklodowska, meglio conosciuta come Marie Curie, è un fulgido esempio di come la determinazione, l’intelligenza e la dedizione allo studio costituiscano un deterrente contro i muri innalzati dal pregiudizio e dal maschilismo dilagante.

Figlia di due insegnanti, ultima di cinque fratelli, dimostra sin da subito di avere la stoffa per imparare “cose da uomini”: si appassiona, sull’esempio del padre, alla fisica e alla chimica. Marie viene cresciuta secondo una rigida educazione cattolica, sebbene atea. Nel 1874, a soli sette anni, perde – a causa del tifo – sua madre e sua sorella. Questo comporterà un profondo stato di tristezza nell’animo della piccola, che si tradurrà in depressione in età adulta. Tuttavia, nemmeno questo riuscirà a fermare il suo genio.

A soli ventisei anni prende la license in fisica; vince il concorso di aggrégration, classificandosi come prima, per l’insegnamento nella medesima materia. Fu anche la prima donna ad essere ricevuta, nel 1903, alla Royal Institution di Londra; nello stesso anno ottiene il premio Nobel. Questi sono solo alcuni dei successi che hanno investito Marie Sklodowska, nonostante i quali, rimase sempre umile e dedita alla ricerca scientifica. Adottò il cognome del marito, Pierre Curie, capo di laboratorio della Scuola di Fisica e Chimica industriale di Parigi e nonché scopritore, assieme al fratello Jacques, della piezoelettricità. I due si innamorano, ma Marie non ammette distrazioni: per circa un anno Pierre cercherà di convincerla a sposarlo. Tuttavia, le origini francesi di lui non collimano con l’ambizione di lei di voler tornare in Polonia. Eppure, amor vincit omnia. Pierre era innamoratissimo di quella donna dall’intelligenza sopraffina: le scrisse lettere appassionate per molto tempo, fino a quando i sentimenti della donna si videro costretti a cedere. Nel luglio del 1895 Marie scrisse a un’amica:

Quando riceverai questa lettera, la tua Mània avrà mutato nome. Sposo l’uomo di cui ti ho parlato l’anno scorso a Varsavia. M’addolora molto rimanere sempre a Parigi, ma che fare? Il destino ha fatto sì che ci attaccassimo profondamente l’uno all’altro e che ci fosse impossibile sopportare l’idea di separarci.

Nel 1897 inizia a compiere, assieme al marito, degli studi sulle sostanze radioattive: fu proprio lei a proporre il termine “radioattività” per indicare la proprietà comune che hanno l’uranio e il torio di emettere spontaneamente radiazioni ionizzanti invisibili che impressionano le lastre fotografiche. Da queste conclusioni, Marie annota un’ulteriore osservazione: i minerali di uranio contengono – in piccola proporzione – un elemento sconosciuto. In una nota firmata dalla stessa Curie, questi risultati furono presentati all’Accademia delle Scienze; per questa sostanza sconosciuta – molto più radioattiva dell’uranio e del torio – viene suggerito il nome di “Polonio”, per onorare la madrepatria. Nel giro di poco tempo, i coniugi scienziati estrassero dalla Pechblenda (un minerale di nome Uranite) il solfuro di bismuto e trovarono che la radioattività specifica aumentava ulteriormente, fino a 400 volte quella dell’uranio, se facevano sublimare il preparato.

La scoperta del “Radio” fu annunciata all’Accademia delle Scienze il 26 dicembre 1898 in un lavoro dal titolo “Su una nuova sostanza fortemente radioattiva contenuta nella pechblenda” che era firmato, oltre che dalla coppia, dal chimico Gustave Bémont, il quale li aveva aiutati in alcune operazioni chimiche.

Marie e Pierre, per dovere morale – come da loro stessi affermato – decisero di non trarre profitto dalla sensazionale scoperta e di mettere i propri studi a completa disposizione della comunità medico-scientifica.

Tutto sembrava andare per il verso giusto: la vincita del premio Nobel comportò l’offerta di una cattedra alla Sorbona, creata apposta per Pierre Curie, accompagnata da un posto di direttore di ricerca per Marie. Purtroppo, però, il fato beffardo non risparmiò nemmeno loro; il 19 aprile 1906, quando Marie aveva trentanove anni, Pierre Curie morì investito da un carro pesante tirato da due cavalli. Marie venne a saperlo la sera, una volta rientrata a casa. Sua figlia Eva, poco dopo, descriverà così la reazione della madre:

Marie rimane talmente immobile, talmente rigida, che si potrebbe credere non abbia capito nulla. Essa non si abbatte tra braccia affettuose, non geme, non piange. Si direbbe sia inanimata, insensibile come una bambola di stoppa. Dopo un lungo silenzio atterrito, le sue labbra si muovono finalmente per chiedere a bassa voce, sperando follemente chi sa quale smentita: “Pierre è morto? Morto? Proprio morto?.

Fu un colpo durissimo per Marie, la quale, poco dopo aver realizzato che il marito non sarebbe mai più tornato a casa, scriverà sul suo diario:

“Pierre, mio Pierre, tu sei lì, calmo come un povero ferito che si riposa dormendo, col capo bendato, il tuo volto è dolce e sereno, sei ancora tu, chiuso in un sogno dal quale non puoi uscire. Le tue labbra, che chiamavo ghiotte, sono pallide e scolorite. La tua barbetta è grigiastra. Si vedono appena i tuoi capelli… Che colpo terribile ha subito la tua povera testa, che accarezzavo così spesso prendendola tra le mani. Ho baciato le tue palpebre che tu solevi chiudere perché le baciassi, offrendomi il capo con una mossa familiare.”

Il mese successivo, la Sorbona decise di incaricare Marie Curie di succedere al marito e le propose la cattedra del corso di Fisica. Anche dopo l’incolmabile vuoto lasciato dall’adorato marito, la donna continuò a produrre lavori di altissimo valore scientifico. Marie Sklodowska Curie morirà in un sanatorio svizzero di anemia perniciosa fulminante, scambiata dai medici parigini per tubercolosi.

Una donna straordinaria, timida, sofferta, geniale. Con questi pochi aggettivi è possibile ricostruire la vita di Marie Curie.

Eva Curie, nella conclusione della biografia di sua madre, scriverà:

“Strane, anormali famiglie questi Sklodowski, questi Curie, nelle quali genitori e figlioli non si detestano, nelle quali la tenerezza conduce gli esseri, nelle quali nessuno ascolta alle porte e non si pensa né a tradimenti né a eredità e non si uccide nessuno; nelle quali si è persino perfettamente onesti”.

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