La storia di Francesco Bevilacqua, il Farinelli di Manfredonia

by Maria Teresa Valente

Il fanciullo viene narcotizzato con l’oppio e immerso a sedere in un bagno di acqua molto calda, fino a quando cade in uno stato di completa incoscienza. Quindi si apre lo scroto e si asportano i testicoli”. Così il Trattato sugli eunuchi, del 1707, spiegava come procedere alla castrazione, una pratica allora corrente in Italia (seppur illegale) per allevare cantanti con qualità straordinarie (fonte: Focus.it).

E tra i ‘castrati’ più famosi d’Italia, oltre al noto Farinelli, pseudonimo dell’andriese Carlo Broschi, vi era un altro pugliese: il manfredoniano Francesco Bevilacqua.

Francesco e suo fratello Carlo nacquero rispettivamente nel 1646 e nel 1645 da Paolo Bevilacqua e Anna Cibielli. “Il primo di Aprile del 1659 Carlo e Francesco, l’uno di quattordici anni e l’altro di tredici, mercè l’interessamento dello scolopio della congregazione di San Giuseppe Calasanzio di Manfredonia, padre Antonio Civitiello, furono ammessi come figliuoli del Conservatorio della Pietà de’ Turchini di Napoli per imparar musica”. Era questo uno dei conservatori più importanti dell’epoca, il fulcro della gloriosa scuola musicale napoletana tra XVII e XVIII secolo.

Dopo circa sette anni di studio, “a dì 20 di agosto del 1666, Carlo se ne uscì da detto Conservatorio, dopo essersi istruito in musica e restituendosi alla sua città natale, si diede ad esercitare la professione di organista di cui era esperto esecutore…”. Suo fratello Francesco, invece, appena entrato in conservatorio “su consiglio di un suo precettore viene inviato a Norcia per assoggettarsi alla castrazione”, come evidenziato dallo studioso di storia sipontina Antonio Universi, per “diventare quindi un cantante castrato o, come si diceva allora, falsettista naturale, cioè un cantante maschio adulto con voce di soprano, mezzosoprano e contralto (i registri femminili), ottenuta mediante castrazione durante l’infanzia e prima della pubertà”, conseguenza della scomparsa del testosterone.

Erano i tempi in cui le voci bianche cantavano al posto delle donne. Perché se “mulier taceat in ecclesia” (trad.: la donna in chiesa deve tacere), figurarsi se poteva cantare! Ecco dunque che a cavallo tra il ‘600 ed il ‘700 i castrati (parola che oggi solo a leggerla fa rabbrividire gli uomini e storcere il muso alle donne) presero ad eseguire le parti femminili nei cori sacri e pian piano soppiantarono completamente le ‘normali’ voci maschili nei ruoli principali, anche nelle esecuzioni musicali profane, diventando delle acclamatissime star.

Certo, non tutti i castrati avevano fortuna. Molte volte nelle famiglie povere i genitori decidevano che i figli fossero sottoposti a questa pericolosissima pratica con la speranza che potessero avere una vita migliore, ma secondo quanto riportato dallo scrittore Charles Ancillon “quando amputavano i bambini nella loro più tenera infanzia, ce ne furono 200 resi eunuchi che si dimostrarono buoni a nulla, poiché quando crebbero fu chiaro che nessuno di loro aveva una voce accettabile”. E così le aspettative dei loro genitori rimasero deluse e “tanti bambini poveri furono fatti doppiamente infelici, prima straziati e mutilati nel corpo, e poi resi incapaci di procacciarsi un sostentamento decente, la loro voce essendo diventata inservibile” e anche impossibilitati a procreare.

Il Coro della Cappella Sistina nel 1904, diretto dal Castrato Domenico Mustafà (ultima fila, 5° da destra) e Alessandro Moreschi (fila centrale, 4° da destra)

Il manfredoniano Francesco Bevilacqua riuscì a sopravvivere all’intervento, cosa già non da poco (due bambini su tre morivano per infezioni ed emorragie), e ad affermarsi da soprano intraprendendo una sfavillante carriera esibendosi con gran successo nel Regno di Napoli e anche oltre, arrivando fino alla corte reale di Varsavia.

Francesco era all’epoca un uomo a metà, come erano definiti i castrati, ma non per questo meno desiderato dalle donne e anche dagli uomini. Gli eunuchi in tournée, infatti, erano “come i Beatles nel momento di massima gloria”, come disse Gérard Corbiau, regista del film su Farinelli. Erano osannati come idoli, capaci di suscitare svenimenti ed isterismi.

La pratica di utilizzare eunuchi in chiesa fu bandita solo dopo l’unità d’Italia e l’ultimo castrato fu Alessandro Moreschi che cantava in Vaticano, nella Cappella Sistina, ancora fino al 1922.

Di questo soprano sipontino dalla voce di usignolo che ebbe successo internazionale, restano purtroppo pochissime tracce. Di lui parlò all’inizio del secolo scorso lo storico Mario Bellucci nel suo libro ‘La lira di Manfredonia’ dedicata alla miriade di talenti in campo musicale nati nei secoli in riva al Golfo, che a quanto pare, a giusto titolo, può definirsi terra di santi, poeti e musicisti.

Alcuni strumenti del 19° secolo utilizzati per la castrazione

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