La tragica storia di Frances Farmer, da Hollywood all’inferno in manicomio

by Daniela Tonti

Forse era la sua voce gutturale e sensuale, o il modo in cui la luce le colpiva gli zigomi, o la particolare cadenza della sua voce, ma una volta che Frances Farmer arrivò a Hollywood nel 1936, nulla intorno a lei sarebbe mai più stato uguale a se stesso complice la tremenda esperienza che visse in manicomio.

Venne subito definita da Louella Parson “la nuova Garbo”. Bellissima ma individualista e anarchica veniva da Seattle da una famiglia molto difficile, con una madre severa e super patriota. Amava fare lunghe passeggiate in montagna e si interessava poco agli abiti femminili optando per pantaloni e camicie da lavoro. La sua figura è stata riscoperta nel 1982 grazie anche al biopic di Graeme Clifford sulla sua vita interpretato da Jessica Lange che le valse una nomination agli Oscar come migliore attrice protagonista.

E’ famosa una foto scattata in un momento in cui stava scappando da sua madre e dagli psichiatri che la mostra con un’aria particolarmente indurita e mascolina, con indosso una tuta da lavoro, una camicia militare e con una sigaretta nella mano sinistra.

I fan la adoravano e giornalisti si nutrivano delle sue disgrazie mentre passava da un marito all’altro senza disdegnare una serie di amanti. Poi c’erano gli psichiatri che, durante la sua lunga e forzata degenza, le davano in pasto ogni pericolosa droga sperimentale sul mercato, l’avevano picchiata, l’avevano sottoposta a trattamenti con il ghiaccio e, alla fine, l’avevano derubata della sua immaginazione e del suo cervello, attraverso una lobotomia transorbitale.

Frances voleva fare la giornalista non l’attrice e aveva già scandalizzato la sua città natale, Seattle, vincendo un concorso di saggistica nazionale con una poesia dal titolo “God Dies” e grazie al quale vinse un viaggio in Russia. Aveva irritato la Paramount rifiutando di cambiare il suo nome in qualcosa di più affascinante, preferiva abiti vecchi, un po’ di trucco e una parrucca rattoppata come effetti personali e divenne associata a cause politiche impopolari – come i lavoratori migranti e la Spagna franchista.

L’unica cosa buona di Hollywood era il denaro, disse in un’intervista. Tra i suoi film migliori c’è sicuramente Ambizione diretto da Howard Hawks nel 1936.

Contro i desideri di sua madre e dello studio, Frances lasciò temporaneamente il cinema per il teatro entrando a far parte dell’Actor Studio politicamente attivo a New York e ottenendo il ruolo di protagonista nel film “Golden Boy” di Clifford Odets.

Ma aveva una calamita per i problemi. Dopo un paio di flop con il gruppo – in parte attribuibili alla sua storia d’amore con Odets – Frances finì nei guai.

Nel 1942 il suo matrimonio con l’attore Leif Erickson era naufragato e aveva disperso energie nella causa di divorzio, la sua dipendenza dall’alcol e dalle nuove anfetamine stavano diventando incontrollabili e Frances era sull’orlo di esaurimento nervoso.

Una notte fu fermata dalla polizia per un reato minore ricevendo una multa per guida in stato di ebbrezza cui reagì con sprezzanti insulti. Quello fu solo l’inizio. Dopo alcuni mesi e alcune brutte esperienze, l’attrice ebbe uno scatto violentissimo sul set di un melodramma intitolato “No Escape” litigando con una parrucchiera alla quale slogò una mascella con un colpo. Quell’incidente diede il via a un lungo processo legale che la vide approdare in vari manicomi dove rimase per la maggior parte dei successivi sette anni.

Dopo essere stata curata senza successo con lo shock insulinico e l’idroterapia, i successivi sette anni furono un inferno.  Oltre al catalogo completo degli abusi psichiatrici, ha subito anche abusi sessuali – inclusi stupri da parte di detenuti, inservienti, persino bande di soldati ubriachi provenienti da una vicina base dell’esercito.

Non sono pochi ad aver messo in relazione il tremendo destino toccatole in sorte in manicomio – e cioè una serie spietata di esperimenti sulla sua pelle messi in atto nel tentativo di “ammansire” il suo carattere – con l’ambiguità sessuale che la caratterizzava anche nell’abbigliamento e per questo è stata assunta a simbolo della lotta per i diritti civili dalle comunità gay e lesbo di Seattle.

In qualche modo, Frances Farmer sopravvisse e uscì dal manicomio nel 1950 con brandelli della sua personalità intatti e inventandosi un’esistenza pacifica per se stessa durante gli ultimi anni della sua vita. 

Alla fine si trasferì a Indianapolis, dove, dopo un altro matrimonio fallito si costruì una nuova vita come segretaria e commessa arrivando poi a  condurre anche un programma su una TV locale per cinque anni. Nonostante il programma avesse ottenuto un discreto successo, quella parentesi si chiuse per sempre nel 1964 quando fu licenziata per i problemi legati al suo alcolismo cronico ormai totalmente ingestibile. Morì di cancro a soli 57 dopo aver scritto la sua biografia da cui fu tratto il film del 1982.

Frances tornerà come fuoco per bruciare tutti i bugiardi
e lasciare una coltre di cenere sul terreno
.

Kurt Cobain – Frances Farmer will have her revenge on Seattle – In Utero 1993

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