L’ovale mariano e il culto dell’Iconavetere

by Lucia Lopriore

La devozione mariana, soprattutto in ambito locale, stabilisce la totale prevalenza tra le scelte coeve dell’immagine della Madonna sotto i diversi titoli. A Foggia tale culto si estende alla Madonna del Carmine, alla Madonna Addolorata, alla Madonna della Croce, all’Immacolata, all’Incoronata, alla Madonna della Pace, alla Madonna della Neve, alla Madonna del Grano, alla Madonna delle Grazie e, per il passato, a Santa Maria in Silvis la cui icona è custodita presso la chiesa delle Croci ed infine, a Santa Maria di Costantinopoli alla quale fu intitolata una chiesa in seguito demolita.

In altri centri della Capitanata, come Bovino ad esempio, il culto di Santa Maria di Valleverde fa confluire nella storia della religiosità popolare della città le sue tradizioni, mentre a Cerignola il culto per la Madonna di Ripalta sull’Ofanto ripropone il tema religioso pagano, dal quale trae origine quello cristiano.

Luigi Marra, in un articolo apparso recentemente sulla rivista «Civiltà della tavola», parlando delle donne dei pastori e delle difficoltà che questi dovevano affrontare durante il periodo in cui dall’Abruzzo e dal Molise scendevano a valle per la transumanza, conclude il suo pensiero con una personale riflessione sul culto mariano e non solo, che recita:

«[…] il culto così intenso in Abruzzo e in Molise, professato alla Vergine e a molte Sante, non è altro che la proiezione della funzione e del ruolo preminente esercitato dalla donna nella nostra società. Fra queste ultime vanno annoverate soprattutto le Sante galattogene, come Sant’Agata, Santa Scolastica e Sant’Eufemia preposte alla salvaguardia del seno materno, perché il latte della madre era l’unico nutrimento su cui le donne dei ceti agro-pastorali potevano contare […]».

 Emblematica per il capoluogo daunio è certamente la presenza del culto per la Madonna Iconavetere. Meglio conosciuta come Madonna dei Sette Veli, è un’antica immagine raffigurante la Vergine Kyriotissa o Nicopeia.

Secondo la tradizione, le origini della città di Foggia risalgono intorno all’anno Mille con il rinvenimento della tavola raffigurante la Madonna Iconavetere, affiorata sulle acque di un pantano nei pressi del quale era stata occultata, avvolta in drappi o veli, forse per sottrarla alla furia iconoclasta.

La sua provenienza è incerta. L’icona, che secondo la tradizione fu dipinta dall’Evangelista Luca, cui sono riferite diverse icone mariane, fu portata nel 485 d. C. a Siponto dalla città di Costantinopoli, dove era oggetto di grande venerazione. Sarebbe stata consegnata, in tale circostanza, al vescovo Lorenzo Maiorano, che ne fece dono alla città di Arpi.

Durante la distruzione della città risalente al 600 d. C. circa, il Sacro Tavolo fu posto in salvo da un contadino del luogo che, avvoltolo in drappi, l’avrebbe poi nascosto nel sito del suo rinvenimento.

L’Iconavetere fu ritrovata a Foggia nel luogo oggi denominato piazza del Lago, nei pressi della cattedrale, da alcuni pastori incuriositi alla vista di un bue genuflesso al cospetto di tre fiammelle posate sulle acque del lago; i pastori portarono l’icona nella vicina Taverna del Gufo del bufo, divenuta poi una chiesa rurale, attorno alla quale si formò il primo nucleo abitativo che riunì gli abitanti dell’antica Arpi,dispersi nelle vicinanze dopo la sua distruzione.

Dai paesani e dai forestieri La Taverna del Gufo fu denominata «cappella di Sancta Maria de Focis», a ricordo della Vergine Santa e delle tre fiammelle apparse sulle acque dello stagno.

Alcuni studiosi ritengono che il Sacro Tavolo dell’Iconavetere raffiguri l’immagine dell’Assunta in cielo. Il Calvanese la descrive nel seguente modo:

«[…] La Vergine Assunta in Cielo, della quale se ne conserva l’antica Icone, volgarmente chiamata Iconavetere, e si adora coverta da sette veli, cioè tele greche intessute di seta di varii colori, oltre le preziose fatte da divoti cittadini, una di ricamo d’oro e d’argento, e l’altra tutta d’argento, e due dei regi Napoletani della Casa d’Angiò e della casa di Hohenstauffen con le loro imprese […]».

Un gruppo di storici dell’arte negli anni ’80 del Novecento ha effettuato un restauro sul Tavolo dell’Iconavetere, riconoscendo la Madonna riccamente abbigliata, seduta con il bambino in grembo.

In tale occasione, è stato stabilito che, dal profilo dell’aureola che emerge, è possibile collocare l’opera secondo modi diffusi in ambito abruzzese e campano.

Le tracce di lapislazzuli e di oro, gli alveoli destinati ad ospitare pietre dure intorno alle aureole, emersi nel corso di un restauro precedente, risalente agli anni sessanta del Novecento, attestano la preziosità dell’icona, databile tra l’XI ed il XII secolo.

Nel 1080 Roberto il Guiscardo volle che sullo stagno dove era stato rinvenuto il Sacro Tavolo fosse costruita una grande chiesa, che fu ampliata nel 1172 per volere di Guglielmo II detto il Buono. Con la chiesa crebbe anche la città, che divenne una delle più importanti del regno. La storia del santuario si identificò con quella di Foggia. Diverse volte i principi regnanti scelsero la chiesa di Santa Maria de Focis per celebrare i loro matrimoni. Carlo I d’Angiò fece del tempio mariano la sua cappella palatina, e qui volle che nel 1274 si celebrassero le nozze tra la terzogenita Beatrice e Filippo di Courtenay. Furono devoti dell’Iconavetere anche Carlo II lo zoppo, Roberto il saggio, Giovanna I, Giovanna II ed il consorte Ladislao, Alfonso I e suo figlio Ferrante I d’Aragona.

La prima ricognizione del Sacro Tavolo dell’Iconavetere fu effettuata nel 1667 ad opera di Mons. Sebastiano Sorrentino, vescovo di Troia. Di questo avvenimento non ci sono prove documentate fino al rinvenimento di un atto notarile risalente al 1680. L’atto, un testamento olografo rogato dal notaio foggiano Giuseppe Di Stasio, riporta le ultime volontà del canonico don Ignazio Fusco, arciprete della chiesa di San Tommaso Apostolo.

Tale documento è custodito presso la sezione dell’Archivio di Stato di Lucera, nel fondo degli atti dei notai, e parla proprio della ricognizione del Sacro Tavolo fatta di notte da don Ignazio Fusco accompagnato da due frati cappuccini, per ordine del vescovo di Troia.

Nel testamento il canonico sostiene che, tolti i veli, appare una tavola di cedro o di pino con l’immagine della Madonna sbiadita a causa della vetustà. Don Ignazio Fusco non specifica né il numero dei veli tolti né che la Madonna è detta dei Sette Veli. Si può pertanto desumere che tale appellativo sia stato dato alla sacra immagine in epoca seriore.

Nel 1731 la chiesa fu semidistrutta da un violento terremoto, ed il Sacro Tavolo fu portato nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli dove il volto della Madonna apparve per la prima volta dalla piccola finestra ogivale dell’icona. Era il 22 marzo, giovedì santo, il popolo era raccolto nella partecipazione della Santa Messa quando si verificò il prodigioso evento.

Sant’Alfonso Maria de’Liguori, appresa la notizia, volle recarsi a Foggia per rendere omaggio alla Vergine Santissima. Anche lui ebbe il privilegio di vedere la Madonna che appariva come una giovinetta di 13 o 14 anni con il capo coperto da un velo bianco. Le apparizioni si rinnovarono fino al 1745.

Nel 1767 Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, si recò in pellegrinaggio a Foggia. Più tardi ella volle che le nozze tra suo figlio Francesco I, principe ereditario, e Maria Clementina d’Austria, fossero celebrate a Foggia. Correva l’anno 1797 e per un solo giorno la città fu capitale e l’Iconavetere patrona del Regno.

Nel 1782 la sacra immagine fu incoronata con decreto del Capitolo Vaticano e nel 1806, per volere di Pio VII, la chiesa fu illustrata con il titolo di Basilica Minore.

La corona d’oro fu sottratta da ignoti il 6 marzo 1977. Il popolo foggiano si offrì di provvedere all’acquisto della nuova corona, così la Madonna fu nuovamente incoronata il 22 marzo 1982.

Infine, nel 1855, con l’istituzione della diocesi di Foggia, la chiesa di Santa Maria de Focis fu elevata a cattedrale della nuova diocesi.

Vennero a Foggia anche Vittorio Emanuele II di Savoia che venerò l’immagine della Madonna nel 1863. Tre anni dopo fu la volta dei principi Umberto ed Amedeo di Savoia, mentre nel 1928 venne anche Vittorio Emanuele III.

Molti furono anche i santi venuti da lontano per venerare l’immagine della Vergine. La tradizione ricorda i nomi di san Francesco d’Assisi, san Giovanni di Matera, san Tommaso d’Aquino, san Pietro Celestino, san Vincenzo Ferreri, sant’Antonino, san Gerardo Majella, oltre al già citato sant’Alfonso Maria de’ Ligori ed i santi Guglielmo e Pellegrino di Antiochia.

Le celebrazioni festive si svolgono due volte all’anno: dal 20 al 22 marzo per ricordare le apparizioni avvenute nel secolo XVIII. Per l’occasione il Sacro Tavolo viene prelevato dalla Cappella e portato nel presbiterio e qui alla presenza del popolo, è coperto da una teca d’argento cesellata e sbalzata: la piasora,eseguita dal famoso artista napoletano Giovan Domenico Vinaccia nel 1691. Poi la Madonna viene portata in processione nella chiesa di San Giovanni Battista, dove ha sede la confraternita dell’Annunziata. In questa chiesa, dopo il terremoto del 1731, la Madonna fu esposta alla venerazione.

Il giorno seguente, dal duomo parte un’altra processione, con l’urna contenente le reliquie dei Santi Guglielmo e Pellegrino diretta anche quest’ultima verso la chiesa di San Giovanni Battista; da qui con l’urna ed il Sacro Tavolo si snoda il corteo che percorre le principali vie della città fino alla cattedrale. Il 22 marzo, anniversario della prima apparizione della Madonna, l’arcivescovo presiede una solenne celebrazione eucaristica, cui assistono le autorità civili. Pochi giorni dopo la festa, il Sacro Tavolo è spogliato della piasora argentea e riposto nella sua cappella.

La seconda celebrazione si svolge dal 13 al 16 agosto. In questa occasione si vuole ricordare il rinvenimento dell’Iconavetere. Preceduta da un novenario, la festa incomincia il 13 agosto con una processione durante la quale la Madonna, avvolta in un lenzuolo bianco, è sorretta dai sacerdoti. La processione parte dalla cattedrale; il Sacro Tavolo è portato nella chiesa di San Tommaso, simboleggiante la Taverna del Gufo. Nel pomeriggio del 14 dal duomo si avvia la processione con le reliquie dei Santi Guglielmo e Pellegrino, giunto il corteo a San Tommaso, viene prelevata l’Iconavetere, e con essa si attraversa la città per ritornare nella cattedrale. Il 15 agosto, con una solenne celebrazione religiosa si continuano i festeggiamenti patronali.

Per la devozione di questa Sacra Immagine, la Chiesa ed Capitolo di Foggia ebbero alcune rendite annue attraverso una serie di privilegi concessi già in epoca angioina con i vari diritti quali quello sullo scannaggio, la decima sopra il dazio e la bagliva, alcune rendite sopra le gabelle della carne, della neve, della farina e forno, ecc. e tali privilegi furono confermati anche dai Regi successori e fino agli albori del secolo scorso.

Dal Catasto Onciario della città, risalente al 1741, si evince che il Reverendissimo Capitolo di Foggia era proprietario di beni mobili ed immobili. Tra questi ultimi sono evidenziati: palazzi, fondaci, stalle, masserie, terreni coltivabili e vigne, dati in censuazione a terzi, su cui riscuoteva i canoni. Molti commercianti erano tenuti al versamento di alcuni censi all’altare della Cappella Iconavetere, o ad una quota che sarebbe servita per i festeggiamenti della sua ricorrenza.

Dalla cospicua documentazione custodita presso l’Archivio di Stato di Foggia, nel fondo delle Obbliganze Penes Acta, si evince che per l’anno 1771 i fornitori di neve, che avevano stipulato i contratti di appalto con il Comune di Foggia, dovevano versare alla Cappella Iconavertere alcune libbre di cera. In particolare, nel documento è riportata una richiesta: poiché quell’anno il prodotto non era dei migliori, ed i guadagni erano insufficienti al fabbisogno delle famiglie dei fornitori di neve, questi ultimi chiedevano, solo per quell’anno, di essere esonerati dal pagamento delle once di cera dovute.

Sempre dai documenti d’archivio si evince che nel il 1810 Donato Rutigliano ed Antonio Paciello di Foggia stipulano un contratto con l’Università cittadina per vendere la neve al minuto nel posto detto largo Saggese. Tra i tanti obblighi imposti, nel documento si legge che essi devono versare la somma di 3 cavalli in favore dell’altare della Basilica Iconavetere.

Le quote versate dagli appaltatori di neve aumentarono con il trascorrere del tempo. Negli anni compresi tra il 1852 ed il 1855, si apprende che l’appaltatore Michele Gabriele di San Marco in Lamis, oltre a versare la quota ammontante a ducati 2400 annui all’Università di Foggia per garantirsi il diritto di privativa per la vendita del prodotto, è obbligato a versare anche la somma di 700 ducati a beneficio della Cappella Iconavetere ed altri 50 ducati per i festeggiamenti del 15 di agosto.

Riguardo all’appalto della gabella della farina e forno, per gli anni 1797-1798, si stabilisce che i gabellieri devono versare alla Cappella dell’Iconavetere la somma di due terzi della gabella in moneta d’argento ed un terzo in rame, oltre a corrispondere uno stajo di olio al mese occorrente per le lampade della chiesa madre e quanto altro, rispettando i soliti patti.

Nel Rendiconto annuale delle spese per i festeggiamenti della Madonna relativo all’anno 1888, nella voce “Commissioni nei Ceti” sono riportare le decime riscosse dalla chiesa presso varie categorie di lavoratori. Una lunga lista, con gli introiti riportati, evidenzia il modo in cui ciascuno contribuiva ai festeggiamenti patronali di quell’anno. Nel documento si legge ad esempio che i massari di campo corrispondevano la somma di 225 lire, era la quota più alta versata in quell’anno. I venditori di neve versavano lire 5,45 cent.; i versurieri lire 57,10 cent.; i curatoli lire 39,30 cent.; gli orefici lire 27; i panettieri ed i venditori di pasta lire 33,50 cent. E curiosità… non mancavano all’appello neppure i ricevitori del lotto che versavano la somma di lire 15. A queste categorie bisognava aggiungere anche quelle dei venditori di carboni, i lavandai, i carrettieri, gli acquaioli, i pescivendoli, i falegnami, i ferrai, i macellai, i pizzicagnoli, ma anche gli agrimensori, e tante altre.

Al 1° settembre 1888 il bilancio si chiudeva con un attivo in cassa di Lire 4.197,92 centesimi di cui lire 1.535,40 cent. rappresentavano gli introiti complessivi rivenienti dalle “Limosine”.

Alla banda musicale proveniente dalla città di Canosa per i festeggiamenti dell’anno precedente furono versate dal cassiere della Congregazione, Michele Altamura lire 515 ed in più, altre 50 lire per l’alloggio ai suoi componenti. Altre somme furono destinate ai lavori di falegnameria.

Nel 1888, per i fuochi d’artificio fu versata la somma di lire 1.000 più lire 400 per la batteria colorata, al fuochista Gaetano Buonpensiero; e 12 lire per il Padiglione a San Tommaso.

Un altro aspetto interessante del culto per la Madonna dei Sette Veli emerge dall’analisi della storia religiosa popolare, dalla quale si sviluppa il tema attraverso l’espressione religiosa ed architettonica, volta al raggiungimento di un unico obiettivo che introduce un nuovo capitolo nella storia patria: la religiosità popolare attraverso le edicole devozionali e dei santi sotto campana. Solo per Foggia si contano circa 13 edicole dedicate alla Madonna.

Per quanto riguarda il culto dei santi all’interno del focolare domestico, emerge la tradizionale usanza di creare gli altarini devozionali, preservando da possibili danneggiamenti le statuette votive dei santi inserendole sotto le campane di vetro.

A tale riguardo la tradizione narra che la famiglia devota era solita nascondere sotto le vesti del santo tutelare della casa, l’immagine ricamata o dipinta di un altro santo o di un’altra Madonna, quasi a voler scongiurare il pericolo che quel tal santo o Madonna potessero offendersi per la negata preferenza di metterli sotto campana.

L’usanza di riunirsi la sera dopo cena, intorno al braciere per recitare il rosario, rivolgendosi alla Madonna sotto campana, è osservata fino agli anni ‘20/’30 del secolo scorso. Ancora oggi, qualche famiglia foggiana conserva l’immagine dell’Iconavetere sotto la campana di vetro, mentre l’abitudine di pregare intorno al braciere è ormai scomparsa.

Per quanto attiene alla diffusione dell’iconografia della Madonna dei Sette Veli, si può affermare che essa è orientata in due momenti: il primo si basa sulla raffigurazione del Sacro Tavolo, accompagnato o meno dai santi Guglielmo e Pellegrino, portato in gloria dagli Angeli, sullo sfondo della città di Foggia, scossa dal terremoto.

Il secondo è costituito dalla rappresentazione della tavola nel momento in cui la Madonna appare per la prima volta nell’ovale.

Artisti come: Girolamo Starace, Cecilia Bianchi, Iannantuoni, Saverio Pollice, solo per citarne alcuni, hanno lasciato una traccia visibile della loro vena artistica attraverso dipinti, incisioni, acquerelli e quanto altro, aventi per oggetto il tema dell’Iconavetere.

Numerose sono inoltre, le preghiere dedicate alla Madonna. Tra le tante, si segnala quella del card. Salvatore De Giorgi, Vescovo Metropolita della Diocesi Foggia – Bovino dal 1981 al 1987, che recita:

O Vergine Santissima dei Sette Veli, che
nel segno del Sacro Tavolo hai dato origine
alla nostra Città e le hai lasciato un pegno
della Tua materna Presenza, ascolta la nostra
preghiera.
Tutto dobbiamo a Te noi Foggiani, o Maria!
E Tu hai voluto manifestare la Tua predilezione
Per noi apparendo, confortatrice e sorridente,
ai nostri padri, da quel segno di consolazione
e di speranza, l’Iconavetere, meta di pellegrini
e di santi.
Nel ricordo di quelle Apparizioni, memoriale
di un passato che rivive nel presente, noi ci
rivolgiamo fiduciosi al Tuo amore di Madre,
affinché siamo liberati dai mali presenti non
meno gravi di quelli del passato.
Consapevoli che essi hanno la radice nei
Nostri cuori, Ti chiediamo anzitutto la grazia di
Convertirci al Vangelo del Tuo figlio; solo così
La nostra Città sarà ricostruita e rinnovata nella
verità e nella giustizia, nell’onestà e nella pace.
E fa’ che dopo il cammino sulla terra
Possiamo raggiungerTi in cielo, nella Casa del
Padre, per contemplare senza veli, il Tuo Volto
Con quello di Gesù, il frutto benedetto del Tuo
Seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

Spesso il popolo durante le processioni era solito dedicare alla Madonna le canzoni in vernacolo; questa tradizione si ripete anche ai giorni nostri.

Silvia Marangelli e Roberto Carreca hanno voluto dedicare alla Madonna la canzone, recentemente pubblicata nel volume di Rita Borgia, ed interpretata da Giovanna Marini durante una serata. Gli autori raccontano di un dialogo immaginario tra Gaetanine, una popolana foggiana, e la Madonna. La donna chiede di essere ascoltata dalla Madonna raccontando le sue disavventure; la Madonna, quasi seccata dell’invadenza della donna, le racconta del suo rinvenimento nel pantano e delle tre fiammelle che ella ha dovuto accendere per richiamare l’attenzione dei pastori, visto che si erano dimenticati di lei. La conclusione confluisce in un’univoca considerazione: «Chi poche e chi tante…tutti hanno le loro disgrazie”»:

‘A MADÒNNE D’ ‘I SÈTTE VÈLE
  
GAITANINE
Bonasèra Madònne d’ ‘i Sètte Vèle,
T’ agghij purtàte quàtte cannèle.
Nu garofàne rusce e iianghe,
M’è stà a sènd ‘na vòta tand.
Sope e sotte è passàte a vita mia,
Sènza cunfort e così sia.
Bijàte a tè chè stàij là ‘ssòpe
tutta bèlle e sota sote.
  
‘A MADÒNNE
” Guarda un pò questa qua!”
Chè se vène a lagnà.
Pe ‘na malasorte “mendre la mia
dura l’eternità'”
Te vulèsse accuntà…
Quànne avèva brucià…
Ind’ ‘u pandàne m’hànne ijettàte
“Tanta secola fa”.
  
GAITANINE
Quanda storije hagghij fàtte p’ ‘a figghija mia
Chè vulèva ‘nu strazzafadighe.
Mànche ‘u padre se canuscève,
e ‘a vulèva pe’ migghijèra.
” Figghia mia stàtte accòrte, t’ he ruvenà”.
Mànche pe ‘a càpe se l’è fàtte passà.
Mò chè a Biànche s’è spremute,
A mucciùne se n’è gghijùte.
 
‘A MADÒNNE
Nun ce pòzze penzà
M’hànne avuta scurdà
Trè fiammàte c’ agghij ‘ appicciàte
Pe venirme a pigghijà.
Quànne avèva guardà
senza vèle ‘a rialta’
‘na luce “improvvisa” a l’ucchij è salita,
“Che faceva” ceca’.
 
GAITANINE
‘A fùrtune Madònne me tène cuntrarij
Mò chè agghij pèrz ‘u figghij Marij,
Chè ‘na bòtte l’è venute,
‘N mizz ‘e paccij se n’ è gghijùte.
‘I ‘nfirmijre hànne ditte chè s’e’ sfrenàte,
Cumme a ‘na bèstije l’hànne attaccàte.
Pe ‘na càpe arruvenàte,
‘Amma ij pè numenàte.
  
‘NZIME
Sòra mia i disgrazije chè ce vuij fà,
sò ‘a semènze pè campà.
Chi pè pòche e chi pè sèmpe,
Stime tutte malamènde.

La presenza del culto mariano attraverso le icone è molto sentita anche in altre parti d’Italia: un’immagine simile alla nostra Madonna dei Sette Veli, è venerata a Bologna dove si trova un santuario sotto il titolo della Beata Vergine di San Luca25.

Secondo la tradizione il pellegrino greco Teocle Kmnega ricevette, dai canonici della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, una immagine della Vergine dipinta dall’Evangelista Luca. Si impegnò a portarla sul Monte della Guardia. Quando egli giunse a Roma, seppe che quel monte si trovava a Bologna. Qui la tela giunse nell’anno 1160. In omaggio a quell’immagine fu poi costruita la chiesa.

Le origini del santuario che sorge sul Monte della Guardia risalgono all’anno 1192 quando Angelica di Caicle, poi Beata, donò il terreno ai Canonici di S. Maria di Reno per la costruzione di un monastero. La costruzione iniziò con la posa della prima pietra il 24 agosto 1194. All’interno si collocò l’immagine della Madonna con Bambino.

Nel 1433 il popolo portò la Madonna in processione per implorare la cessazione delle rovinose piogge. Giunti a porta Saragozza la pioggia cessò; per ringraziamento gli anziani decretarono che la processione si sarebbe dovuta ripetere ogni anno. La devozione aumentò ma la chiesa era in uno stato di degrado tale che si decise di ristrutturarla ed ampliarla; la nuova chiesa fu consacrata il 1 luglio 1481 dal vescovo di Sarsina. Tra il 1674 e il 1732 si costruì il portico, progettato da Gian Giacomo Monti, che si estende dalla chiesa fino a porta Saragozza, lungo un tracciato di quasi 4 km coperto da 666 archi. Il 26 luglio 1723 su progetto dell’architetto Francesco Dotti iniziò la costruzione del nuovo santuario che fu poi consacrato il 25 marzo 1765.

Il culto della Beata Vergine di San Luca è presente anche a Bagolino (BS) ed a Guiglia (MO). Quello della Madonna Iconavetere a Ciorani (SA).

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