Mamma li Turchi…..la storia degli schiavi riscattati ai pirati barbareschi

by Carmine de Leo

La storia molte volte si nasconde in poche parole, in un detto, un proverbio, un’esclamazione, questo è il caso di Mamma li Turchi… tre parole che la dicono lunga sulle vicende passate delle coste dell’Adriatico infestate un tempo dai pirati turchi e barbareschi; un avviso, un pericolo annunciato che spesso si traduceva nel rapimento di molti cittadini inermi fatti schiavi e venduti nei mercati d’Oriente e del Nord Africa.

Uno dei simboli più visibili della lotta ai pirati turchi e barbareschi nel Mediterraneo sono senza dubbio le numerose torri costiere che, ancora oggi, ben conservate o ridotte a rudere, costellano tutte le coste dell’antico Regno di Napoli.

Di queste torri, numerose sono ancora mute sentinelle dei litorali del meridione, dalla Campania, fino alla Calabria, per poi risalire tutta la Puglia fino allo Sperone d’Italia, ovvero il promontorio del Gargano.

Per la maggior parte queste antiche torri costruite in gran parte verso il Cinquecento, sono in buon stato di conservazione; esse non erano, per la maggior parte, strutture difensive, ma torri di vedetta che annunciavano alle popolazioni costiere e dell’entroterra, l’avvicinarsi di navigli sospetti.

Nonostante questa vera e propria catena di torri di avvistamento, però, molto spesso le coste del mar Mediterraneo furono oggetto di razzie da parte dei pirati, che seminarono morte, distruzioni e terrore tra le comunità costiere; ancora oggi è infatti molto d’uso il detto: Mamma li Turchi” proprio a ricordo di tali sventure!

Uno dei più lucrosi commerci di questi pirati era la tratta degli schiavi, liberi cittadini rapiti e venduti senza pietà nei mercati d’oriente.

Di questo commercio si hanno numerose testimonianze, in varie occasioni, peraltro, le nazioni europee avevano intrapreso delle operazioni militari per eliminare la tracotanza dei pirati turchi e barbareschi, sempre protetti dal’impero ottomano; ma le divisioni all’interno della coalizione cristiana, ne avevano spesso sminuito i buoni risultati nel campo militare.

I pirati, in tal modo, almeno fino ai primi anni dell’800, continuarono a scorazzare impuniti nel mare Mediterraneo ed in tutto l’Adriatico.

Altre volte, però, le potenze europee preferirono la via diplomatica e riscattarono i loro compatrioti ridotti in schiavitù, umiliandosi a trattare con i vari sultani di turno dell’impero Ottomano, soprattutto a Tunisi, Algeri e Tripoli, sedi storiche delle flotte della mezzaluna e territori dipendenti da questo impero.

Nel fondo Esteri dell’Archivio di Stato di Napoli, si conservano documenti del 1816 relativi all’attività diplomatica di delegazioni del Regno delle Due Sicilie, Francesi ed Inglesi inviate in oriente ed in Africa per riscattare cittadini di queste nazioni in cattività presso l’impero Turco.

Tra i numerosi schiavi, pagando esosi riscatti, la delegazione del Regno di Napoli riuscì a far liberare centinaia di suoi connazionali, di cui ben 86 originari della Puglia ed altri della Campania, della Calabria e della Sicilia.

Tra i fortunati riscattati, si annoverano  anche alcuni della provincia di Foggia, tutti ridotti in schiavitù già da circa 15 anni, come tal Luigi Cianti, di professione pittore, originario di Manfredonia ed anche alcuni altri di Monte Sant’Angelo, forse già abitanti lungo la costa, nell’allora frazione di Mattinata ed oggi comune autonomo, tra cui: il giovane diciottenne Filippo Pizzi, i quarantenni Michele Tavaglione e Simone Trotta, tutti terrazzani ed il ventenne Gaetano Corsi, definito campagnolo, oltre al marinaio Matteo Trotta, la minore Raffaella Trotta di soli sei anni, nata in cattività ed alla diciottenne Giovanna Trotta, definita filatrice come la quarantenne Vincenza Franaci.

La liberazione di questi schiavi dovette costare non poco alla corte Borbonica, tanto che il governo dell’epoca fu anche costretto ad aumentare alcune tasse per ammortizzare la somma spesa!

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